Alea iacta est: il Rubicone dell’Esecutivo

Alea iacta est, ci capita oggi di essere considerati criminali pur essendo innocenti. In una situazione che non ha precedenti, solo evidenti analogie con il ventennio del secolo scorso, stiamo accettando imbelli l’apartheid sanitario.

Evidenze inquietanti se si va ad analizzare il nostro Esecutivo e il suo modo di operare.

Dopo un golpe bianco capitanato da Italia Viva, siamo stati gettati in un Governo autodefinitosi degli aristoi che ha reso il Parlamento un complemento accessorio della cabina di regia, in una sorta di democrazia guidata che non può essere legittimata in alcun modo.

L’altra analogia è l’utilizzo della propaganda in luogo della normale informazione.

Non lo dico io, lo afferma Santoro il 25 maggio in televisione ove lamenta la mancanza di studi propriamente nostri sul virus e la mancata evidenza di diffusione del virus in occasione d’assembramenti.

Allarmante è il continuo ricorso a metafore di guerra, la sostituzione di Arcuri con Figliuolo, la velata militarizzazione di uno Stato che fu una democrazia.

Per non parlare della manipolazione dei dati per cui a Foggia, in Puglia, il direttore della Asl ha stabilito quanto segue (lo trovate dal minuto 33 del video proposto): i pazienti Covid non vaccinati vengono trattati in reparti Covid, quelli vaccinati seguono un percorso No Covid e vengono messi in corsia con i non malati.

Perché? Per fare in modo che nei reparti Covid ci siano solo i non vaccinati.

Siamo alla follia.

Il cosiddetto Governo di unità nazionale sta portando il Paese sull’orlo della guerra civile e molte famiglie sul baratro del divorzio; mentre dà il via alla più grande discriminazione della storia, costringendo gli esercenti a divenire sceriffi, l’Italia si divide:

Metterò tutti i tavoli fuori, non ho intenzione di far lo sceriffo

un barista

Basta un giro su Facebook e gli amici si ritrovano: oggi sulla rete, domani in piazza.

Intanto nella prima metà di luglio si sono registrati 199 decessi, tutti accomunati da quell’unico fattore V che qui non si può manco scrivere altrimenti viene bloccato l’articolo.

Cantiamo guerre più atroci di quelle civili, combattute sui campi

d’Emazia, e il delitto divenuto legalità e un popolo potente che si è

rivolto contro le sue stesse viscere con la destra vittoriosa e i

contrapposti eserciti appartenenti allo stesso sangue e – infranto il

patto della tirannia – tutte le energie del mondo sconvolto che lottano

per un comune misfatto e le insegne che vanno contro quelle avversarie e

le aquile contrarie alle aquile e i giavellotti minacciosi contro i

giavellotti.

Lucano

Versi di Lucano che descrivono una Roma in cui la guerra civile è divenuta regola ma che ben presto andranno bene anche per l’attuale Italia.

Oggi non abbiamo Cesare e Pompeo, non abbiamo Catilina né i Gracchi.

Abbiamo un solo assioma: Draghi è ragion pura.

Si sta costruendo intorno a quest’uomo una mitizzazione, una divinizzazione che non prevede contraddittorio: ciò che dice è giusto e non prevede discussione.

E dove siamo arrivati?

No piscine, no palestre, no sport di squadra: tutto questo colpisce e limita i minori.

Il resto colpisce gli adulti: adulti colpevoli di attuare una scelta libera, ponderata, studiata.

Perché non c’è alcun obbligo vaccinale, c’è solo un’arbitraria attuazione di divieti che porterà gli uni inevitabilmente contro gli altri.

Se noi adulti possiamo reggere, che dire dei bambini? A ottobre la sperimentazione sarà diretta alla fascia 0-12.

In un momento in cui si discute il DDL ZAN, a mezzo del decreto legge 105 si attua la più grande discriminazione della nostra storia repubblicana che non risparmia neppure gli adolescenti.

Come possiamo reagire a tutto questo?

Le vie sono tre: manifestazioni, ricorsi, disobbedienza civile.

Perché, ricordiamocelo, questo farmaco ha ancora un’autorizzazione condizionata e Aifa aggiorna il bugiardino giorno per giorno; è grazie a questo meccanismo di trasparenza che noi conosciamo alcuni degli effetti avversi di questi sieri:

  • trombosi per Astrazeneca;
  • miocardite per Pfizer.

Se gli effetti sono sui bugiardini, non si sono riscontrati in poche persone ed è per questo che lo Stato preferisce legiferare a favore di un apartheid sanitario piuttosto che di un obbligo vaccinale.

Apartheid che colpirà anche i vaccinati se, allo scadere dei nove mesi di vita normale concessa, non si sottoporranno alla terza dose di vaccino.

E’ incredibile che la lotta contro la discriminazione sia condotta dall’estrema destra mentre la sinistra sorride al ricatto ma questi sono i tempi.

Giorgia Meloni e Matteo Salvini sono stati palesemente costretti a vaccinarsi, tanto che la prima ha dichiarato al Messaggero:

Non sono no vax. Ma se chiedono di farlo a mia figlia neanche in catene.

Giorgia Meloni

Qualcuno può onestamente affermare che questo modo di procedere sia diverso dalle Leggi Fascistissime?

Vi ricordate la tessera del pane?

La tessera fu uno dei metodi più efficaci per controllare, inquadrare ed assoggettare le masseLa tessera del PNF venne soprannominata “Tessera del Pane” per l’importanza che assunse in uno degli aspetti più importanti della vita sociale del Paese: il lavoro.

Le tessere del fascismo-storie di pianura

Spero vi rendiate conto di quanto stia accadendo e che siate consapevoli del fatto che, le condizioni per cui giunsero al potere le dittature, non sono dissimili da queste.

Sappiate che nessuno è innocente se decide di voltarsi dall’altra parte e proseguire la sua comoda vita allineata.

E’ il momento di scegliere tra un regime che nasconde le sue imposizioni nei cavilli della legge e la difesa di una democrazia sull’orlo del baratro.

Alea iacta est, il dado è tratto, è giunto il tempo di fermare questa barbarie che paragona i liberi cittadini a sorci, parallelo fatto dal Colonnello Landa in “Bastardi senza gloria” di Quentin Tarantino prima ancora di Burioni.

Rosa J. Pintus


Il ragazzo che cavalca la tigre: saggio filosofico di un under 17

Due occhi attenti alla ricerca della verità, una verità assoluta e propria di chi è giovane e la pretende, di chi si ritiene messo all’angolo dalle generazioni più anziane e dispotiche, la pretesa di una risposta alle ragioni dell’ipocrisia, della prepotenza, dell’economia. Alberto non ci narra in queste righe il suo pensiero riguardo la pandemia, punta dritto alla shock economy, cuore dell’attuale situazione e sembra affermare, senza mai dichiararlo, che le crisi sono indotte e che c’è una tigre terribile, invincibile adesso ma che, cavalcata nel modo giusto, verrà sconfitta.

A voi il saggio di un giovanissimo amante della filosofia che ha ottenuto il suo podio.

R.J.Pintus

Saggio a cura di Alberto Giannattasio

La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere “superato”. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle Nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie d’uscita. Senza la crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. Parlare di crisi significa incrementarla e tacere nella crisi è esaltare il conformismo, invece, lavoriamo duro. È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lieve brezze.

Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.

(A. Einstein, Il mondo come lo vedo io)

In questa dichiarazione Einstein elogia la crisi in quanto darebbe la possibilità di migliorarsi, se si riesce ad affrontarla correttamente. Mi trovo in buona parte d’accordo con questa affermazione, poiché ritengo anch’io che la crisi, se affrontata con giuste scelte, può dare un beneficio. La parola crisi deriva dal greco κρίσις ( krisis) ovvero scelta; questa può essere o positiva, e portare dunque a un miglioramento, o negativa, e portare dunque a un peggioramento.

Far vivere una persona, o un gruppo di persone, continuamente in crisi però è disumano poiché questo a lungo andare non farà altro che portare a un logoramento e degrado; l’essere umano non è fatto per vivere continuamente in uno stato di crisi, tensione, lotta con sé stesso contro gli altri e contro il mondo circostante, altrimenti si estinguerebbe. Bisogna anche precisare che non esiste un solo tipo di crisi, ma molti tipi di crisi; esempi sono le crisi politiche, economiche, sociali, spirituali. Crisi che sono prima di tutto individuali, e poi possono essere collettive.

Per crisi individuale si intende una crisi che riguarda il singolo individuo, che lo obbliga a mettere in discussione molte delle sue certezze e che lo obbliga a prendere un altro percorso nella sua vita.

Per crisi collettiva si intende una crisi che riguarda una moltitudine di individui che fanno parte di una stessa società, comunità, Nazione o che può riguardare anche tutti gli abitanti di uno stesso pianeta. 

Come già detto le crisi sono diverso tipo e alcune possono portare a un miglioramento tecnologico e scientifico. Questo si è potuto osservare per esempio durante le guerre, in particolar modo durante la prima e seconda guerra mondiale; basti pensare che nei primi anni del ‘900 gli aerei erano scarsamente usati ed erano ancora biplani o triplani, mentre con le due guerre mondiali si è passati ai monoplani, o si pensi al fatto che verso la fine della seconda guerra mondiale sono stati usati per la prima volta dei missili, i razzi V2.

Altre crisi possono portare a un rinnovamento spirituale, come per esempio accadde all’impero Romano; il non riconoscersi più nelle antiche divinità pagane portò le autorità imperiali ad abbracciare il credo cristiano, facendolo diventare religione di stato.

Ulteriori crisi possono essere politiche e possono portare a un cambio di regime, che può essere migliore o peggiore del precedente, ma che comunque cerca di portare “innovazione” all’interno dello stato; esempi molto conosciuti, per diversi motivi, sono comunismo, fascismo, nazional-socialismo, regimi che si sono contrapposti durante il ‘900, in diversa maniera, alle democrazie rappresentative occidentali, diventando delle alternative politiche. Infine, crisi gravi, sul piano collettivo, sono le crisi economiche, che possono portare ad adottare nuove formule economico-sociali a vantaggio della popolazione aumentando per esempio i salari, i livelli di occupazione, la ricchezza media, oppure ad adottare soluzioni a danno della popolazione, impoverendola. Le crisi appena citate sono prima di tutto su un piano individuale, devono riguardare il singolo individuo, e possono essere risolte esclusivamente da soli; sarebbe assurdo pensare che un individuo, senza essere riuscito a risolvere i propri problemi, possa pensare di aiutare gli altri a risolvere i loro. Dunque le crisi devono essere prima risolte a livello individuale, e poi, se possibile e necessario, il singolo individuo può cercare di risolverle a livello collettivo.

Come dice Einstein la crisi è una rottura degli schemi quotidiani, che ci permette di affrontare continue sfide, e questo, se fatto per il tempo giusto e in modo corretto può portare a un rafforzamento dell’individuo e della collettività; in natura gli animali sono costantemente sottoposti al pericolo di morte e devono in continuazione competere per sopravvivere. L’uomo, tuttavia, come dice Aristotele, è un animale politico, ovvero per natura tende a stare, collaborare e organizzarsi spontaneamente con i propri simili, e per fare ciò ha bisogno naturalmente di stabilità e calma e non di un ambiente caotico, pericoloso e disordinato, a differenza delle bestie. La dimostrazione è che l’uomo ha creato una propria civiltà, mentre gli animali no, nonostante siano su questo pianeta da più tempo di noi, secondo la storia ufficiale. La cosa migliore sarebbe dunque insegnare ai membri di una società come affrontare periodi di crisi e grave crisi e sottoporli sporadicamente a periodi di prova, cercando di trovare gli individui migliori per metterli al comando della Nazione, in modo che si possano ridurre le possibilità di decadenza tramite individui non idonei.  

Si potrebbe controbattere che certi tipi di crisi possono essere indotte, per poter poi controllarne la reazione per ottenere lo scopo voluto in partenza, usando la formula hegeliana “problema, reazione, soluzione”. Questo è innegabile. Si prendano per esempio in considerazione le crisi economiche; queste, come sostenne lo stesso Milton Friedman con la sua “shock economy”, possono essere indotte e sfruttate per poter poi introdurre riforme, altrimenti prima troppo impopolari, presentandole come indispensabili. Altri esempi possono essere le crisi sociali; anche queste possono essere indotte, come fecero per esempio i colonizzatori in Africa, aizzando lotte interne tra gruppi etnici che abitavano uno stesso Stato. In ogni caso, per quanto certe situazioni possano essere indotte volontariamente da una certa persona o un certo gruppo di persone, non si può comunque affermare che le reazioni possano essere sempre quelle volute; per esempio le stragi compiute contro la popolazione civile, di un paese occupato, dagli eserciti occupanti, allo scopo di indurre a una minore resistenza, spesso producono l’effetto opposto. Si potrebbe anche obiettare che l’uomo non è fatto per vivere in stati di crisi ma è fatto per vivere in un ambiente che renda tutto facile e non crei alcun tipo di ostacolo. Per rispondere a questa obiezione si può usare questo aforisma: tempi avversi creano uomini forti, uomini forti creano tempi tranquilli, tempi tranquilli creano uomini deboli, uomini deboli creano tempi avversi. Questo vuol dire che c’è un ciclo continuo dove gli uomini devono necessariamente, nel momento del bisogno essere in grado di saper fronteggiare le crisi e le avversità del tempo, mentre al contempo non dovrebbero lasciarsi andare nella mollezza e debolezza se non vogliono in futuro trovarsi in situazione di grave difficoltà. Su questo concetto esistono molti esempi di diverso tipo, da quelli storici a quelli politici. Un esempio storico può essere l’antica Repubblica di Roma, dove la debolezza della classe dirigente, composta da individui poco degni, ha generato corruzione, la conseguente decadenza temporanea dello Stato e la guerra civile, mentre esempi politici possono essere “scandali” di corruzione di vari partiti e uomini politici, creando indubbiamente un degrado e impoverimento a livello nazionale. 

Concludendo, le crisi possono generare, per diverse ragioni, risultati positivi o negativi. Il singolo individuo e la collettività di uomini non possono vivere costantemente in uno stato di lotta perenne, in quanto questo sarebbe distruttivo, ma non possono neppure vivere o ambire di vivere in uno stato di rilassamento totale e mollezza, in quanto anche questo sarebbe distruttivo; devono pertanto trovare una forma di equilibrio, ovvero una stabilità che consenta comunque di prepararsi ed essere pronti ad eventuali trasformazioni, senza permettere periodi di debolezza. In caso di crisi bisogna inoltre sapere come indirizzarla altrimenti da occasione proficua per un miglioramento potrebbe diventare un’esperienza distruttiva. A questo scopo si può usare la formula orientale “cavalcare la tigre”, ovvero non opporsi a un periodo di crisi ma sapere come attraversarlo senza subirne gli effetti negativi e sfruttandolo per un miglioramento, così come è impossibile opporsi direttamente alla tigre e per evitare di essere una sua vittima bisogna cavalcarla, ottenendo anche dei vantaggi, fino a quando questa non sarà stanca e allora potrà essere uccisa senza rischiare danni. 

Alberto Giannattasio


L’insostenibile menzogna della catarsi: un virus arma che arricchisce chi già ha!

E fu il virus.

Le scene di Wuhan, le scene di Codogno e il numero dei morti. Un rito tetro e nel contempo rassicurante a cui noi abbiamo assistito in perfetto stile ateniese: i protagonisti, il coro, gli spettatori.

I protagonisti erano in televisione: i morti e i medici, raccontati al ritmo cadenzato dell’anapesto di sapienti giornalisti.

Breve, breve e lunga ripetute e trascinate in un’ipnotica estasi collettiva che ci ha resi imbelli: che cosa c’è dietro?

Danza col coro, madre.

Volteggia insieme a me, qua e là,

adegua il tuo passo al mio ritmo.

Geniale anche l’utilizzo della catarsi: ciò che vedevamo non accadeva a noi ma ad altri in TV.

Inneggiate a Thanatos

con canti e grida augurali

per il vaccino giungente.

Rielaborazione di Troiane

Non bastava, non avevamo abbastanza paura: nonostante il silenzio, nonostante le privazioni, nonostante le costrizioni.

La situazione spaventosa, portata all’apice dalle bare di Bergamo, trasportate a due a due dall’esercito in un macabro rituale bizantino, ci ha spezzati.

Ahi, lombarde vergini

dagli splendidi pepli.

Rielaborazione di Troiane

Ma anche in quel caso, se oggi volgo lo sguardo indietro, mi chiedo perché.

Eleonora Leoncini, consigliera leghista a San Casciano, mise in dubbio la veridicità di quella foto e fu denunciata senza troppi ma né troppi se: contro i morti puoi solo perdere.

Eppure quella è la foto simbolo di una strage avvenuta senza che nessuno di noi potesse reagire, eravamo tutti chiusi al caldo nelle nostre case né intendevamo uscire: cosa ci racconta quella foto?

Una guerra. Quella foto ci racconta, meglio di ogni altra, che dietro questo virus c’è una guerra e che il virus è l’arma prescelta.

Abbiamo imparato ad accettare tutto, anche l’inaccettabile, in nome di un virus che di virus ha ben poco.

Luc Montagnier, premio Nobel per la Medicina a seguito della scoperta del virus HIV, scoperta contesa con un altro virologo, Robert Gallo, afferma:

C’è stata una manipolazione del virus: ci sono sequenze dell’Hiv all’interno di un virus originale che proviene dai pipistrelli; forse un laboratorio stava studiando un vaccino e il virus è scappato.

L. Montagnier

Lo studio di Montagnier, premio Nobel, non viene neppure pubblicato dalle riviste più autorevoli e si comincia a vociferare che il famoso virologo sia diventato strano e che prediliga la papaya alla medicina.

Di cosa era ritenuto reo Montagnier?

Di avere affermato che sarebbe possibile ridurre la forza dell’Hiv migliorando la flora batterica attraverso un corretto schema nutrizionale.

E quest’affermazione non produce guadagni.

Non siamo in Cina, Montagnier non viene ucciso: viene semplicemente reso poco credibile, un premio Nobel.

Li Wenliang invece è stato ucciso dallo stesso virus che si era sentito in dovere di rivelare al mondo.

Ricordiamolo: si era accorto che i Cinesi stavano morendo di un’epidemia simile alla Sars, fu convocato dalla polizia e costretto a firmare un’abiura, fu rimandato in corsia dove, a soli 34 anni, trovò la morte (annunciata?).

E il virus venne in Italia e fu il panico.

Soltanto la voce lenta e profonda del presidente Conte poteva convincere milioni di Italiani a starsene bravi a casa, ad aspettare, a sperare.

Eravamo un popolo nudo, privo di un piano pandemico, vittima di un’arma diabolica travestita da virus. Un’arma la cui utilità però ci sfuggiva:

<<Ormai c’è e non importa chi ce lo abbia mandato, cerchiamo di venirne fuori!>> Così diceva la gente rassegnata e spaventata: c’era l’emergenza sanitaria e i cadaveri venivano bruciati: ma perché? Perché impedire le autopsie?

I medici erano mandati al macello, non c’erano neppure le mascherine e loro lavoravano in corsia, cercavano le cure, andavano a tentoni contro una bestia mai vista.

Scacco matto

L’Innominabile stava bravo: non era ancora il tempo di muoversi.

L’Europa intanto aveva concesso a un’Italia stremata i soldi del Recovery Fund o, per meglio dire, il Next Generation, nome ben più inquietante: all’Italia spettano circa 209 miliardi ripartiti in 81,4 miliardi in sussidi e 127,4 miliardi in prestiti da restituire. Inoltre la Commissione europea ha stabilito che il 20% degli investimenti finanzi la transizione digitale, anche in Italia, che è un Paese in cui si vive sotto il sole e non in isolamento davanti a un computer.

Non a caso, la Scuola è il primo settore che viene colpito, bombardato. Il Ministro Azzolina lotta con la decisione di una giovane amazzone ma è donna ed è sola: piovono critiche, piovono insulti ma lei combatte fino a che non arriva lui: l’Innominabile.

L’Innominabile che pesta i piedi in terra è il picciotto giusto per decretare il programma egemonico del Panfilo Britannia. Dopo la nomina del nuovo Primo Ministro, la storia del panfilo ritorna:

Un vile affarista. Non si può nominare premier chi è stato assunto dalla Goldman Sachs. E male feci io ad appoggiarne la candidatura. È il liquidatore, dopo la crociera sul Britannia, dell’industria italiana. Ora svenderebbe quel che rimane: Finmeccanica ed Eni.

F. Cossiga

Esiste in effetti un’inchiesta curata dal Secolo d’Italia, i cui documenti sono presenti in archivio, condotta da Antonio Parlato, parlamentare del Movimento Sociale Italiano, esiste un’interrogazione parlamentare:

2 giugno 1992: muore il giudice Falcone. Mentre l’Italia si indigna e scende in piazza, qualcun altro dà il via alla svendita dello Stato. Prime vittime “annunciate”, i patrimoni industriali e bancari più prestigiosi. Il nome dell’operazione è privatizzazione. Formula magica presentata alla collettività come unica cura per risanare la nostra economia e che, invece, nasconde un business dalle proporzioni incalcolabili, patti di sangue tra le famiglie più influenti del capitalismo, dinastie imprenditoriali, banche e signori della moneta. Accordi e strategie politiche ben precise con un minimo comun denominatore: scippare agli Stati, considerati un inutile retaggio del passato e un odioso freno alla globalizzazione del mercato, la sovranità monetaria. L’Italia diviene così espressione geografica di potente lobby economiche.

Antonio Parlato

Cosa c’entra tutto questo con il virus? Apparentemente nulla, salvo il fatto che un’arma comoda comoda sia diventata il deus ex machina delle nostre vite: tutto ciò che era già in potenza è diventato in atto,

Il virus ne è stato soltanto l’ostetrico.

Un mio geniale amico

I vaccini

Poi venne il vaccino: non uno solo ma molti e diversi. Un ingente sforzo economico, forse per riprendere una situazione che è scappata di mano, forse si credeva davvero di poter controllare un virus. O forse il virus è stato ideato da una massoneria opposta a quella europea e agisce per interessi economici altri: di fatto questa dei vaccini è una guerra nella guerra.

Pfizer, Astrazeneca, Moderna, Sputnik gli uni contro gli altri armati.

Il vaccino viene creato in un tempo brevissimo durante il quale non è possibile valutare gli effetti a medio e lungo termine; l’EMA ha fretta di trovare una soluzione, qualunque essa sia. Israele e gli USA si accaparrano le dosi del vaccino accettando di sperimentarlo sulla popolazione e di fornire i dati a Pfizer.

La questione del vaccino è controversa e alcuni ricercatori esprimono perplessità sull’opportunità del fast track che presenta troppi rischi per la popolazione. Studiosi che non presenziano in TV e che vengono tacciati di negazionismo.

Una di queste è Loretta Bolgan, esperta che è stata chiamata a collaborare col Ministero della Salute in epoca Lorenzin e quindi, certamente, non una no-vax.

I vaccini favoriscono le varianti perché il virus, per difendersi, muta.

La Bolgan è scettica di fronte alla possibilità di prevenzione di Pfizer e Moderna e specifica che:

Questi vaccini potrebbe fungere da catalizzatore nella formazione di varianti, sui quali non solo sono inefficaci, ma possono anche avere un profilo di patogenicità diverso. Quindi, potremmo anche avere dei virus più pericolosi dal punto di vista della neurotossicità o dell’immunotossicità. Questi vaccini, quindi, creano nuovi virus.

www.ilparagone.it

Un vaccino non si studia in un anno. Nel registrare un vaccino bisogna sperimentare consecutivamente e non contemporaneamente tre fasi:

-la fase di messa a punto; 

-lo studio in vitro e in vivo sugli animali. 

Queste prime due fasi sono necessarie per valutare la tossicità del farmaco.

Solo se il vaccino non è tossico, si passa alla sperimentazione sull’uomo e qui si aprono altre tre fasi.

Il percorso dura circa dieci anni e, se il fattore costo è stato effettivamente superato dalla sinergia di tanti scienziati, tanti Stati, tante industrie, il fattore tempo non è purtroppo barattabile.

Con il fast track queste fasi sono state fatte tutte contemporaneamente: insieme alla produzione del vaccino ad uso clinico, sono partiti con la fase preclinica sugli animali, la fase sull’uomo e la produzione industriale in modo da essere pronti.

L. Bolgan

Non occorre dunque alcun complottismo per dichiarare che questi vaccini sono sperimentali, l’EMA si è assunta dei rischi in virtù della situazione emergenziale e l’effetto collaterale è stimato intorno ai 700.000 morti di vaccino, un numero inferiore a quelli di Coronavirus.

Non è neppure necessario scomodare le tribù dei 5 giga o le tribù di Utopia e della sterilizzazione di massa. Basta questo, qualunque sia il credo che mette in dubbio l’intera operazione, e ben venga il dubbio poiché ci stanno chiedendo di sostituire le verità di fede alle verità di ragione, ci stanno mettendo alla prova, ci stanno dominando con la paura.

Ah, la paura: molto più pulita di manganelli e gulag!

Rosa Johanna Pintus


La primavera dei No Dad: genitori e docenti in piazza

Genova- Piazza De Ferrari è presidiata da genitori e docenti No Dad, un piccolo ma significativo presidio; coordinato con gli altri comitati per la didattica in presenza, Ricostruiamo la Scuola della Costituzione tenta, di sensibilizzare l’opinione pubblica.

Elisabetta Bianchi, professoressa della Secondaria di secondo grado, decide di trascorrere così questa domenica di inizio primavera:

La Scuola tutta è stata punita dalla pandemia: fare scuola significa creare relazione, creare pensiero. Noi non demonizziamo la Dad né la Ddi; utilizzata con intelligenza, può davvero aprire nuovi orizzonti nel panorama della didattica ma non così.

La didattica a distanza crea disuguaglianze, questo è ormai evidente: l’ex ministra Azzolina ne aveva denunciato i limiti e, durante il suo breve mandato, ha cercato di intervenire a favore degli studenti ma la pandemia e l’irrazionale panico che ne è scaturito hanno trovato il capro espiatorio, il nemico esterno, negli adolescenti.

Negli adolescenti -continua la Bianchi- si assiste a un’incapacità diffusa di ribellione: sono assolutamente passivi e non riescono comprendere come lo schermo sia un sedativo che li tiene prigionieri. Molti staccano dalla Dad e passano ai giochi on line, si illudono di creare gruppo ma di fatto sono soli.

Alcuni ragazzi consapevoli esistono e sono quelli che hanno gli strumenti per valutare la realtà: quelli che leggono, quelli che si informano; oggi la dissidenza intellettuale è l’unica possibile: ma dove? Indubbiamente sono le famiglie a fare la differenza e, in particolare, le madri.

Chiara Fasce, una delle coordinatrici del comitato, la capigliatura corta e ribelle di chi bada all’essenziale, non ha dubbi:

Chi paga la pandemia? Le donne. Noi siamo qui per i nostri ragazzi, per le nostre ragazze e per le donne. Per le donne che lavorano la difficoltà è enorme. Io avevo già lavorato il telelavoro e mi ero costruita i miei equilibri ma, con i ragazzi a casa, ho dovuto rimodulare i miei tempi.

In effetti il tempo dell’accudimento, per la donna, si è dilatato: non si tratta più di cucinare qualcosa dopo una giornata di lavoro ma di giustificare una casa o un pranzo non perfetti nonostante l’essere a casa. Chi poi non può lavorare in smartworking ma deve recarsi sul posto di lavoro sa che in quelle ore di assenza di controllo i figli non apprenderanno alcunché.

Ciò ha incrementato il mercato delle ripetizioni: la presenza di un precettore in presenza va a colmare le lacune di una scuola in assenza e, se non ci sono soldi, la mamma diventa anche insegnante.

Tutto quello che sta succedendo è contro le donne e prescinde dalla classe sociale: questo tipo di politica sta caricando sulle spalle delle mamme ogni responsabilità con costi materiali e psicologici altissimi.

Ma questo Recovery Fund darà un po’ di sostegno alla scuola? Si potranno adeguare le strutture alle nuove esigenze, allargare gli spazi, diminuire le classi pollaio?

Assolutamente no. Con questo nuovo governo si sta dando ampio spazio alla digitalizzazione della Scuola che deve rimanere permanente nel nostro futuro. Noi non siamo contrari a priori a ciò che è digitale ma quella della distanza è una dimensione che deve rimanere lontana dalla Scuola. I cuccioli di mammifero, lo dimostra la scienza, non apprendono in assenza di relazione.

Resta amara una considerazione: in piazza si è ancora troppo pochi e, se si vuole ottenere qualcosa, occorre protestare uniti.


Marco Conte: dal Dolce Stil Novo alla Trap

Si chiama Marco Conte e viene da Cassano Magnago, Varese; è giovane ed è colto, me ne rendo conto dalla costruzione sintattica della frase, dall’utilizzo disinvolto del gerundio, dall’uso dei pronomi atoni impliciti.

Ne sono certa, è uno che:

sa di latino.

Promessi Sposi, A. Manzoni

Si tratta di un elemento importante e solo apparentemente in disarmonia con il suo modo di cantare:

Ebbene sì: ho studiato al liceo scientifico, mi sono laureato e adesso insegno letteratura e musica.

Marco Conte

Lo guardo attraverso Google Meet, e vedo un volto pulito, intelligente e coraggioso: nonostante l’insegnamento, mantiene due piercing ma talmente fini da risultare quasi impercettibili attraverso lo schermo.

Parliamo, ci conosciamo in quest’epoca di Covid attraverso i pochi pixel saldi del mio portatile: non è uno qualunque, il ragazzo.

Il suo incontro con la musica ha luogo sei anni fa quando si ritrova,un po’ per gioco, ad essere frontman della band pop punk The Fhackers :

Tempi belli, tempi di live e di pubblico: secoli fa.

Marco Conte

Si rende conto che ancora, nella sua vita, occorre mettersi in gioco: studia canto con Antonio Marino e Laura Ciriaco (The Voice 2017). Il palco lo rende vivo ma sperimenta anche la strada del songwriting non solo con Nyvinne (Sanremo Giovani 2018, Amici 2019) ma anche per vari artisti emergenti (Lisa Selmi, Giorgia Pastori, Adelia, Venere, Debora Ruggero).

Musa ispiratrice di Conte è la scuola in cui si trova a lavorare; cerca la chiave per accedere -lui giovane- ai giovani.

Il gap generazionale si sente, anche se lui, classe ’89, può essere considerato a pieno titolo un nativo digitale con un serio bagaglio analogico che gli ha fornito un saldo senso critico.

Le sue canzoni sono dense, forti. Si ascolti Sto:

Sto su uno squalo e mi bevo una Red Bull

Marco Conte

L’impatto è psichedelico, la musica attinge dai bit e dai sintetizzatori tipici del trap ma il testo?

Si percepisce un di più, uno strappo al codice della trap music: citando l’allucinazione, Marco Conte condanna i trapper che esaltano la droga, la violenza. Quale significato nasconde questa scelta?

Scrivo per i miei studenti, canto per i miei studenti. Sono abituati a questo codice; bene, utilizziamolo per comunicare altro.

Marco Conte

So cosa intende dire: anche io uso la scrittura per comunicare e In un posto sbagliato nasce dalle macerie della periferia ma non arriva perché quei ragazzi non leggono.

Per questo il nostro sceglie di distribuire musica gratuitamente: conta il messaggio, non il guadagno.

Non si può però ridurre conte al ruolo di trapper, la sua musica è sperimentazione.

In Frangia viene narrato l’amore, un amore disperato:

Non me ne fotte se

tu

hai

i miei baci ancora

sulla frangia,

le tue botte

spaccano le labbra

Frangia, Marco Conte

E io mi immagino un giovane Guido Cavalcanti che grida e scrive in un disperato Stil Novo.


Amelia, la mezzadra di Mereta

Amelia era una mezzadra, la sua famiglia lavorava i terreni di Mereta per conto dei Delle Re. I padroni in quel tempo erano molti e il territorio di Velva era diviso tra più famiglie: De Martini, Navone, Felice, Delle Re e Del Re.

Vi era poi il caso, del tutto particolare, della Scia Maria, una donna molto indipendente che possedeva e gestiva i terreni come se fosse un uomo.

Castiglione Chiavarese-IMG 0728.JPG

I campi assegnati alla famiglia di Amelia si trovavano in località Mereta, dove noi siamo soliti scendere e salire da quelle corriere che ci portano al mare:

“Il fiume Mereta consentiva alla mia famiglia di bagnare la terra; i padroni ci avevano dato una casa composta da tre camere; mia mamma pretese anche la cucina e riuscì ad ottenerla , così restò fuori soltanto il gabinetto”.

Lavorare in una mezzadria significava, per la famiglia, consegnare la parte migliore del raccolto al signore di turno.

Amelia confessa di non aver mai lavorato i campi poiché, a dodici anni, le era stato assegnato il compito di badare al fratellino e di portarlo al terreno per l’allattamento; ha imparato presto a gestire il piccolo Giorgio perché la mamma lavorava nei campi:

“Non dovevamo badare soltanto alla terra: c’erano le galline, di cui potevamo vendere le uova, le mucche, le pecore. Insomma, c’era un gran daffare.”

Amelia quindi cresce in fretta e impara le restrizioni della vita, le pretese assurde dei padroni, le ingiustizie della vita:

“Loro volevano la roba migliore, un giorno la cuoca ha detto a mia mamma di tenersene da parte un po’ perché molta di quella verdura veniva in realtà buttata via.”

Ancora oggi fatica ad accettarlo:

“Non aveva senso, gli altri signori non si comportavano così. “

Già signorina, Amelia scopre l’amore; si tratta di un amore inaspettato, da fiaba e con tanto di ostacoli e peripezie:

” Giovanni Bertolone, detto Baby, aveva le scarpe. Noi andavamo in giro scalzi, le scarpe le usava soltanto qualcuno nei giorni di festa, ma lui le aveva sempre perché era figlio di benestanti.”

La ragazzina è molto bella e ha gli occhi accesi di chi non teme la vita; Giovanni la nota subito , sempre più spesso si reca alla casa sul fiume e porta con sé un grammofono; Amelia e la sorella ballano e la madre è convinta che Giovanni stia corteggiando la più grande delle figlie:

“Era un grammofono a corda ma per noi era una novità assoluta e la domenica diventava un giorno atteso. Ma vi fu una domenica diversa dalle altre…”.

Piove. Amelia si reca a messa nella chiesa del centro storico di Velva e non ha l’ombrello. Corre allora a ripararsi sotto il portico e Giovanni la segue per offrirle riparo.

Amelia non vuole, si scansa; Giovanni insiste e le dichiara il suo amore.

“A questo punto io fuggo confusa, non so cosa fare e in più i miei genitori decidono di allontanarmi da Velva, mi mandano a Genova! Lui prova a venire a trovarmi ma non è facile. Ai miei lui non piace perché è molto più grande di me e io non ho neppure diciassette anni.”

Appena torna a Mereta, Amelia scrive una lettera d’amore a Baby; lui si consulta con un amico carabiniere che gli consiglia di rapirla.

“Metti tre stracci in una borsa,”le scrive lui, “stasera vengo a prenderti.”

Amelia si prepara, sa che i suoi genitori non le perdoneranno questa follia, sa che diverrà probabilmente una ragazza chiacchierata:

“Attendo la sera, sono in ansia. Sto facendo la cosa giusta? E dove andremo?”

The Promised Neverland- 𝓕𝓪𝓶𝓮 𝓭𝓲 𝓵𝓲𝓫𝓮𝓻𝓽𝓪' - Capitolo 24 -Fuga  romantica- - Wattpad

Baby era stato partigiano e organizzare una fuga romantica è senz’altro più semplice che combattere contro i Tedeschi; eppure, quando lancia la pietra alla finestra di Amelia, le sue mani tremano.

Lei si affaccia e lui, che si era portato dietro una lunga scala, la aiuta a scendere:

“C’era la luna piena, tutto era molto romantico. Per alcuni giorni fummo ospitati da famiglie di partigiani, infine andammo da Don Costa per sposarci.”

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Ma Don Costa non li può sposare perché Amelia è minorenne e il padre di Amelia non vuole sentire ragioni, chissà perché poi! Eppure Baby è di buona famiglia!

Baby è figlio di un’italiana e di un inglese.

“I Bertolone in origine avevano la licenza di condurre la diligenza per la posta ma” racconta Mirella,figlia di Amelia, “il bisnonno aveva venduto la licenza agli Spagnoli.”

Così parte della famiglia decide di emigrare in Inghilterra e di dedicarsi a un’arte ancora sconosciuta a Manchester: l’arte del gelato.

“In realtà sono state le donne a fare la fortuna della nostra famiglia perché, da subito, si sono mostrate determinate e attente.

La prima terra in cui si trovarono a vivere fu quella di Isle of Man; qui la nostra antenata cominciò col vendere gelati e finì per comprare case.”

I Bertolone non si fermarono ad Isle of Man ma arrivarono a Blackpole.

“Da Blackpole le mie ave, e parlo dell’Ottocento, trasportavano gelati fino a Manchester; si narra che tornassero indietro con sacchi pieni di soldi da consegnare in banca”.

Allora perché Baby non piace? Forse Amelia è troppo giovane?

Don Costa decide di andare a parlare con i genitori di Amelia, è deciso, sa che i due innamorati stanno facendo la cosa giusta.

Alla fine il permesso è concesso e, con la nascita di Mirella, il matrimonio viene accettato.

“Mi dispiace però” dice Amelia “constatare che a Velva i terreni non sono più curati. Questo avviene quando i padroni sono in contrasto coi mezzadri. Sarebbe bastato concedere qualcosa in più perché le persone non fuggissero…ma non tutti i padroni sono uguali.”

In questo video potete ascoltare il racconto proprio dalla signora Amelia che ci ha donato la sua storia e la sua voce.

Alessandra Giordano


Beato Pareto: un legame profondo tra Val Polcevera e Val Petronio

Si narra che Beato Pareto, al secolo Benedetto, contadino del Monte Figogna, stesse tagliando il fieno in attesa che la moglie gli portasse il pranzo.

Carla e Giovanna dell’Associazione Veleura mi hanno trascinata qui, stasera, proprio mentre ero nell’atto di addentare la salsiccia alla brace:

“Tu che sei sempre a scrivere, dai, forza, mangi dopo!”

In effetti ci sono anche Cristina , Giorgio, John, la Veleura al completo. E’ che, essendo appena giunta da Pra’, dopo lunghissimo viaggio con mascherina ed Elena Ferrante al seguito, sono proprio stravolta.

Entro, fortunatamente c’è ancora posto. M’incuriosisco, ascolto, scrivo.

Erano le dieci del mattino, una mattinata limpida di quelle in cui la rugiada sembra non voler lasciare il posto al sole e correva l’Annus Domini 1490; Pareto alzò lo sguardo stanco ma pieno di irruente energia verso il cielo nell’atto consueto di asciugarsi il sudore con il braccio. Nell’altro braccio, ben saldo, teneva il falcetto.

Fatico non poco a restare in un mondo di realtà, sono già lì: sul Monte Figogna.

In quel momento l’aria, l’erba, il sole parvero fermarsi, come sospese in un sogno di bambino, e il Beato vide dirigersi verso di lui una donna che non era la moglie. La donna era di una bellezza straordinaria-non che la moglie non lo fosse e lui, intendiamoci, l’amava moltissimo- ma, ecco, il nostro Benedetto si accorse che quei capelli, quegli occhi, quei lineamenti, quegli abiti non erano cosa comune. E poi…quell’improvviso silenzio, quasi adorante, da parte delle libellule, delle api, delle mosche, in genere ripugnanti e noiose, era nel contempo innaturale e fragile.

Vedo Benedetto che lascia cadere il falcetto e il cappello.

“Benedetto, non temere, io sono la regina dei cieli, la madre di quel Gesù che è morto per salvare l’umanità”

Il Beato, inginocchiandosi, si portò la mano al cuore e disse:

“Ma io, Signora, sono un uomo semplice, un contadino, un ignorante…cosa posso fare io per…”

“Benedetto, corri al paese, convinci gli uomini a edificare una cappella qui, proprio sotto la volta del cielo” e scomparve nella stessa luce splendente che l’aveva annunciata.

Il paese era Livellato e fu lì che, dimenticando il falcetto e il cappello, Pareto corse con una foga che fece tremare tutti i sassi del Figogna.

La moglie, vedendoselo piombare in casa, gli disse:

“Che è? Stai male? Sei pallido come un cencio!”

“Ah! Sapessi…sapessi…ho visto la Madonna!”

“Cosa? Eh sì che Maria adesso parla coi contadini! Eh già, non ha altro da fare!”

“Ho visto la Madonna. Era di una bellezza elegante e gentile nello stesso tempo, mi ha parlato, dice che dobbiamo costruirle una cappella.”

Il primo santuario non fu però eretto dalla generazione di Benedetto Pareto ma da quella dei suoi figli Bartolomeo e Pasquale.

La storia che vi ho appena raccontato, l’ho avuta sempre sotto gli occhi, narrata da un grande scultore ligure, Antonio Canepa, ma non ne ero cosciente e forse nessuno, tra noi della comunità di Velva, ne era veramente a conoscenza, pur pregando spesso al Santuario di NS Signora della Guardia davanti alla statua lignea del Canepa.

Ieri sera però è salito al santuario di Velva un gruppo molto particolare che, in questi tempi di Covid, sta girando la Liguria nel tentativo di raccontarci ciò che non vediamo più.

E’ paradossale: viviamo in una società di immagini ma non siamo in grado di coglierne il senso profondo e così ieri l’Associazione Liguria delle Arti è venuta a raccontarci la nostra chiesa e la storia di Beato Pareto.

In effetti, trovandomi di fronte a Pino Petruzzelli, regista del Teatro Stabile e non storico dell’arte, mi sono chiesta: “Ma che ci azzecca questo con Antonio Canepa che è uno scultore?”

Merano applaude Petruzzelli-Godio - Bolzano - Alto Adige

Eppure, mi dico, è proprio lui, con la sua barba argentea, i suoi riccioli…e quasi quasi avevo la tentazione di toccargli la barba, per verificare che fosse davvero lui qui, proprio qui, a Velva!

A dire il vero, la storica dell’arte c’era ed era la giovane Irene Fava la quale, appunto, ci ha tradotto quell’immagine mistica che noi fedeli guardavamo sì con devozione ma non con attenzione.

Seduta in quella panca mi sono lasciata trasportare dalle sue parole e dalle poesie lette da Petruzzelli e dalla musica dell’organo magistralmente suonato dal maestro Fabrizio Fancello.

Ci azzecca, penso, perché l’arte non è a scompartimenti, è performante ed è totalizzante.

Petruzzelli, senza mezze misure, sembra cogliere il nostro stato d’animo: “La Liguria ha un patrimonio che è diffuso ovunque ma non lo sappiamo.”

Dal 1490, il tempo dell’apparizione di Maria, veniamo catapultati al 1890, anno in cui Antonio Canepa, originario di Rapallo e della Val Tigullio, scolpì quest’opera per il santuario di Velva.

L’edificio, progettato dall’architetto Maurizio Dufour e commissionato da Monsignor Vincenzo Persoglio in un’epoca in cui il culto della Madonna acquisiva maggiore importanza, ha resistito persino al bombardamento del 1944.

Apprendiamo così che il gruppo scultoreo di Antonio Canepa , esposto in primis a Genova nella Basilica di Santa Maria delle Vigne, piacque molto e fu conteso.

Perché quell’opera, che rappresentava un contadino della Val Polcevera, doveva onorare la Val Petronio?

Antonio Canepa si trovò così a replicare l’opera non solo per il Santuario del Monte Figogna ma addirittura per il Vaticano!

Già, perché Papa Benedetto XV era rimasto affascinato da quella mano di Beato Pareto, una mano portata al cuore e pronta ad accogliere Maria così semplicemente in nome della fede e dell’innocenza.

Attenzione, non parliamo di un uomo qualunque: Benedetto XV è stato strenuo oppositore della Prima Guerra Mondiale e gridò contro la strage degli innocenti in trincea, chissà che non ci sia stato lo zampino di Beato Pareto in questa sua guerra contro la guerra.

Esistono infine altre due statue che vengono tratte dal prototipo che noi conserviamo a Velva, in America Latina: ricordiamocelo, l’Italia-ora meta di migrazioni-fu terra di emigrazione.

La serata volge al termine, ascoltiamo le note dell’organo del santuario, uno strumento del 1923. Gualco, Bossi e Boellmann dialogano attraverso le dita del maestro d’organo che ci dona quest’arte arricchendoci di sapere.

Ora so come funziona un organo e ne leggo il suo rapporto ambiguo tra mondanità e invocazione intima, tra il desiderio di ammaliare i giovani e stabilire confini ecclesiastici.

Le pareti del santuario prendono vita tra poesia e musica:dalla Suite Gotique emergono i versi di Rossi e di Caproni che si susseguono travolgendomi lo spirito; ma è su “Il lavoro del contadino”, scritto proprio da Petruzzelli, che mi commuovo:

“Papà, io vado a vedere il concerto di Madonna a Torino” questo l’incipit che ci racconta Antonella e suo padre, le vigne storte della Val Petronio, la dedizione, la modernità, la fatica :

“Due pensieri che si fondono in un vino” termina il regista (perché alla fine è proprio lui, anche se non gli ho tirato la barba!).

Il brano è fresco, veloce eppure intenso ed emotivamente forte; gli eroi, secondo l’autore, sono i contadini che restano, che hanno il coraggio di rimanere indipendentemente dalle magnifiche sorti progressive che, come abbiamo visto, si sono frantumate per un virus.

Gli eroi sono Giorgio, Cristina, mio zio Michele che si spacca la schiena nel Pastene anche se ormai è diversamente giovane, Antonella.

Forse perché Antonella- pur non conoscendomi- ha tante volte sponsorizzato i miei piccoli eventi letterari, forse perché l’azienda Pino Gino è ormai parte integrante di questo territorio aspro, talvolta ostile, che va addomesticato continuamente dall’uomo.

E qui sta il profondo legame tra la Val Polcevera, di cui è originaria la nostra storica dell’arte, e la Val Petronio: un legame fatto di nervi contorti come ulivi e radici che si cercano come amanti sotto una terra percorsa da diversi rivi: il Polcevera, il Petronio, il Vara.

E il Golfo del Tigullio nel suo azzurro turgido e sereno.

Argento e oscurità, fatica e dono.

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Ma noi ce ne dimentichiamo, noi della città in particolare.

Dobbiamo ri-conoscere i segni della terra, dell’arte, della musica, della danza in tutta la sua forza vitale e rituale, dobbiamo porci in ascolto e tacere. Il territorio può essere un’immensa ricchezza.

Ed è proprio come nella leggenda che ci ha narrato il nostro Don Cyriaque:

“In un villaggio, in Africa, i ragazzi giocavano con le pietre; arrivarono gli Irlandesi e chiesero quelle pietre, in cambio avrebbero costruito fabbriche di birra. I ragazzi, stupiti, accettarono lo scambio pensando che si trattasse di un affarone.

Quelle pietre erano diamanti.”

La favola insegna che vale la pena di conoscere e conservare il nostro territorio: bellissimo nel nostro Appennino che spaventava i viaggiatori e che mi ha visto bambina, splendente nel manto blu del nostro mare che mi ha reso ragazza, dolorosamente bello nella periferia che mi ha fatto donna.

E ancora una volta capisco che la nostra associazione, Veleura, non è sola: deve solo trovare la spinta per partire, riqualificare il paese, in particolare il piazzale a L del nostro centro storico che rischia di morire nell’incuria e nell’indifferenza perché, trovare i fondi per i lavori, in un paese di poche anime, è impossibile.

Stato della Chiesa e della Piazza di Velva. L’edificio è del Seicento.

Rosa Johanna Pintus


Brunìn, un velvese in Alto Adige

Brunìn è uno dei vecchi di Velva ed è un uomo che odora di cuoio e di storia, esattamente come un mio caro amico, Sergio il Genovese, suo coevo: uno che sulla storia c’è saltato a cavallo e, nonostante tutto, non ne è stato disarcionato.

Brunìn

Ed è questo che mi colpisce: la dedizione e il dovere degli uni, la ribellione e la consapevolezza degli altri:

“Della guerra mi ricordo quando fu bombardata la chiesa, su al santuario: la chiesa intatta ma le case intorno distrutte.”

“Ma chi bombardò la chiesa? I tedeschi o gli Alleati?”

“Non lo so, avevo sei anni. Sapevamo che quella era la guerra e sapevamo che i Tedeschi erano i cattivi. Anche quando mi mandarono al militare in Alto Adige, dopo la guerra, dovevamo proteggere i tralicci dai Tedeschi e pensavamo che forse la guerra non era proprio finita. Ma non ci spiegavano, sapevamo soltanto che questi Tedeschi volevano fare esplodere i tralicci e noi lo si doveva evitare”.

Traliccio fatto saltare dai Tedeschi

Rifletto un attimo e mi chiedo se sia il caso di dirglielo:

“Ma adesso lo sa perché?”

“No. So solo che c’era qualche pasticcio dello Stato.”

Appunto quella storia, io la so dai libri e dal Genovese e mi ritrovo a pensare a queste due vite diverse in due luoghi diversi che comunque mi conducono a tradurre in parole scritte memorie che altrimenti andrebbero perdute.

Era l’epoca del dopoguerra, di Odessa, dei colpi di Stato evitati, delle trame segrete, dell’irredentismo altoatesino.

Come si sentivano gli Italiani dell’Alto Adige? Italiani o Tedeschi? L’accordo De Gasperi-Gruber aveva in qualche modo protetto la minoranza tedesca ma ciò non impedì lo svilupparsi di correnti ideologiche anti-italiane: “Un legame troppo stretto con gli italiani ha effetti mortali per il nostro popolo” disse Silvius Magnago, esponente della Sudtiroler Volkspartei che, non a caso, optò poi per la cittadinanza tedesca.

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Silvius Magnago

Il Genovese, a differenza del Brunìn, ha chiarissima la situazione altoatesina e così la descrive nel suo libro La destra e la strategia della tensione

Un tacito accordo aveva permesso che la comunità di lingua italiana controllasse l’industria e il pubblico impiego mentre la comunità di lingua tedesca controllava l’agricoltura e il turismo. Ciò favorì indubbiamente lo sviluppo della regione ma determinò una totale chiusura culturale e politica.

Sergio Pessot, il Genovese

 Nel 1955 l’Austria ottiene la piena liberazione dalle forze di occupazione, la S.V.P. viene guidata da estremisti etnici per essa la minoranza etnica degli Alto Atesini nella regione Trentino-Alto Adige considera la condizione della minoranza inaccettabile.

Dal quel momento si intensificano le manifestazioni tendenti alla secessione dall’Italia, soltanto il Msi cerca di opporsi ma la consistenza di quell’ organizzazione nella regione era insignificante.

La situazione di profonda ostilità portò alla formazione di Befreiungsauschus Sudtirol denominato BAS dando vita ad un’organizzazione clandestina che, sul piano organizzativo, era articolata in numerose cellule locali che operavano autonomamente. Inizialmente la loro azione era limitata alla propaganda anti-italiana con distribuzione di volantini tendenti al secessionismo.

Dalla propaganda si passa all’intimidazione nei confronti della popolazione di lingua italiana e agli attentati a scopo dimostrativo.

Sono sgomenta per la capacità, tutta italiana, di mandare in guerra o in missione i giovani senza spiegarne le motivazioni profonde, utilizzarli come marionette senza neppure degnarsi di raccontare per che cosa si debba combattere, la cecità di pretendere l’abnegazione senza fornirne la giustificazione, il considerare il popolo carne da macello.

Giovani che giocano alla guerra: Velva, con i suoi portici e le sue vie deserte accende e stimola la fantasia dei ragazzi

Il Brunìn aveva il diritto di sapere quale guerra stesse combattendo e invece nessuno glielo aveva raccontato! Era, senza averne coscienza, uno degli uomini necessari in una fase molto delicata della nostra storia nazionale.

Velva

Incontro Brunìn presso la locanda Veleura. sorseggio un caffé mentre lui beve un bicchiere d’acqua; gli occhi, intelligenti e franchi, riparati dalla visiera di un berretto del tutto simile a quelli degli adolescenti di oggi ma senza il logo della Jordan.

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Berretto Jordan

“Lo sa, era un rudere questo qui. Mariolina e Ruggero (i proprietari della Locanda Veleura) l’hanno reso un gioiello e adesso ci viene gente. Mi faceva male vedere quel rudere, quella desolazione da paese abbandonato.”

L’idea di aprire la locanda in un paese come Velva, privo persino di un negozio di alimentari, è stata davvero coraggiosa; in questo momento la locanda è sempre piena, l’idea di Ruggero è quella di mantenere questo ritmo anche nei mesi invernali in cui Velva diviene un eremo.

Interno della Locanda Veleura

In effetti Ruggero, dopo aver lavorato per anni in Ruanda, ha deciso di tornare in Italia e, pur essendo originario di Riva Trigoso, ha eletto Velva come sua residenza: “Mia moglie si è innamorata subito di questo posto, eppure è di Benevento. Ma sa cosa c’è qui? Un’atmosfera magica: di notte si possono udire i lupi che si richiamano da una vallata all’altra, si parlano sotto le stelle e si comprende la potenza della natura.”

Mariolina e Ruggero nella loro locanda

“Anche se- aggiunge Mariolina in uno dei rari momenti in cui non è indaffarata nel locale- quando sorge la nebbia su quel monte, proprio dove ci sono i ripetitori, il Pos si ferma!”

Esterno della locanda Veleura

“Ce ne fossero giovani così! Intraprendenti e vivi. Adesso dovrebbe aprire anche l’Antonella, quella di Pino Gino…il vero problema però sono i terreni.”

“Ma il Comune non li può distribuire?”

“No, perché non sono del Comune, sono di proprietari che neanche più sanno di averceli, e così la natura se li mangia. Ma se i terreni non sono curati, Velva è destinata a morire perché le alluvioni faranno franare tutto.”

Brunìn schiude gli occhi come un gatto accarezzato dal sole, poi aggiunge:

“Sa, qui a Velva eravamo più di cinquecento anime e le classi arrivavano fino alla quinta.”

Gli chiedo se vi fosse una maestra per ogni classe.

“Le maestre erano due: una si occupava di prima, seconda e terza, l’altra della quarta e della quinta.”

“E quanti eravate in classe?”

“Eravamo dieci per classe”.

“In che lingua parlavate?”

“A scuola in italiano, per forza! Ma per il resto ci si esprimeva in dialetto, mica si aveva voglia di parlare in italiano, non era naturale.”

“E lei, Brunìn, è nato qui?”

” No, prima stavo giù, mio padre lavorava nella finanza. Io sono del ’39 e avevo un fratello di quattro anni più giovane. Quando ero ancora un bimbo di sette anni mia madre è mancata…mio padre ha lasciato la finanza, è diventato contadino e si è risposato. E ha scelto di fare il contadino.”

“Si comprò un terreno?”

“No, i proprietari terrieri erano i Del Re, noi eravamo mezzadri.”

“Ma come funzionava? Pagavate un affitto?”

” I Del Re non mi fanno pagare neppure adesso, ho il terreno in comodato d’uso. All’epoca coltivavamo e dividevamo a metà la roba: patate, fagioli, zucchini, melanzane. Ma soprattutto ci sfamavamo con la raccolta delle castagne, più faticose erano le olive e il fieno, da tagliare.”

I Del Re. Ho letto le lettere che Martino e Domenico Del re si scrissero durante la Grande Guerra, il modo in cui cercarono di aiutare le donne rimaste in paese, ne ho tratto l’immagine di una famiglia dai sentimenti nobili e alla quale i mezzadri erano fortemente legati.

Questo libro merita una recensione a parte e sarà tema di un prossimo articolo.

Immagino Brunìn giovane, contadino, me lo vedo forte e abbronzato, perso nei suoi infiniti pensieri; me lo figuro zappare, curare il terreno e la domanda mi sorge spontanea, senza filtri:

“E come facevate per l’acqua?”

“C’era una valletta con una sorgente, l’acqua finiva in una vasca e noi la usavamo. “

In seguito Velva si spopolò, i giovani erano attratti dalle promesse delle fabbriche e della vicina costa.

Anche il nostro Brunìn a vent’anni, pur senza mai abbandonare i terreni, si lascia sedurre dalla possibilità di uno stipendio: “Cominciai col lavorare nell’edilizia, poi in una salteria, infine alla FIT, un’acciaieria.

Facevamo i turni: arrivava il rottame, lo si buttava dentro i forni e si facevano dei lingotti che brillavano e venivano consegnati nella tuberia di Sestri Levante.”

“Vede qualche speranza per Velva?”

Il rissêu della Chiesa di S.Martino di Velva | i mosaici del ...
Pavimentazione della piazza a L , centro storico: attualmente il risseu è in stato di degrado

“E’ curioso: ci sono parecchi stranieri che, appena possono, lasciano il nord e vengono a svernare qui. Mi riferisco a Svedesi,Inglesi, Francesi. Comprano addirittura le case e le rimettono a posto. Siamo internazionali ma il turismo italiano ci ignora. Forse il Coronavirus farà riscoprire le nostre campagne, una cosa brutta per una cosa bella…chi lo sa.”

E’ tempo di andare: l’aria è impregnata di pensieri, le parole sono olive verdi tra le mie mani, parole donate in un giorno d’estate.

Rosa Johanna Pintus


Silvia, do you remember?-politicacultura

Silvia, do you remeber…?” Mi sono trovata così, quasi per caso, a raccontare “A Silvia” ai miei allievi anglofoni e a osservare la comune radice di “rimembrare” e “to remember.”

Sono andata avanti nella lettura e nella traduzione della poesia. Perché distruggerla con una banale parafrasi in un italiano semplificato, orribile, lontano da qualsiasi poesia quando la lingua inglese le rendeva giustizia?

Silvia, do you remember when you was in life?

Il mio inglese è come il loro italiano, un po’ mi arrampico sugli specchi per tradurre e quindi dico:

Maybe: the moment in your mortal life.

Mi guardano perplessi e una ragazza afferma: she’s dead; so Liopard remember.

La traduzione diviene corale: sono tutti affaccendati e pare di trovarsi in un suk culturale in cui i nigeriani impongono il tono di voce, i francofoni sussurrano, gli ispanofoni e l’unico italiano si consultano e sono irrimediabilmente romantici:

Ma proffe, dice l’italiano, si amavano, no?

E chi lo sa! Not given! Ognuno è libero d’immaginarsi la sua storia, la sua Silvia e il suo Giacomo anzi potremmo…

Nooooo! No maestra scrivere questa storia come per Rinascimento!

Quando spiego letteratura in inglese o in francese taluni dissentono; in realtà questo metodo è utile per aiutare gli Italiani nel loro percorso di crescita: nella scuola tradizionale è di moda la CLIL, e noi-in CLIL costante- siamo fashion!

Lo dico sempre agli Italiani, in genere ragazzi a rischio dispersione (anzi, dispersi recuperati) che non hanno conseguito il diploma nella secondaria tradizionale: dovete svezzarvi con le lingue, fate pratica, non è detto che troviate lavoro qui.

Il CPIA non è una colonia allofona nel nostro Paese, è occasione di crescita corale per un intero territorio. I motivi che mi ha spinto a insegnare in questa scuola sono stati proprio la possibilità di utilizzare lingue altre, di confrontarmi con adulti su differenti visioni di vita.

Li faccio parlare in italiano, li faccio scrivere in italiano ma letteratura, arte e storia vanno affrontati in un altro modo: non si può ridurre il programma, occorre ampliare le conoscenze!

Urge, nell’integrazione, non limitarsi ai riflessivi.

Come?

Attraverso la lingua di chi si ha di fronte, perché quelli che hanno avuto la possibilità di studiare siamo noi e non loro.

Occorre, in itinere, accettare l’errore di ortografia se dietro c’è il pensiero; e le griglie? E l’esame? E che? E che? E che?

Non accettare l’errore, condannare l’errore, scandalizzarsi verso chi non capisce non è giusto: non vale la pena attraversare il deserto e il mare per scrivere ” sogno” e “sognio”, vale la pena di avere la chiave per accedere a Leopardi.

Se non lo si riconosce, l’italiano diventa quella siepe “che dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”.

Silvia, do you remember?

Et voilà, arriva il difficile e invoco lo Spirito Santo:
O Natura, o Natura,
Perché non rendi poi
Quel che prometti allor? Perché di tanto
inganni i figli tuoi?

Ehm… Nature for him is…

Guardo il francofono che conosce l’inglese e dico belle-mère e lui dice “ah, oue, mais pourquoi?

Elle n’est pas bonne, elle est dangereuse; mais elle ne veut pas etre dangereuse, she doesn’t care about anyone.

L’anglofono che capisce il francese-vivono insieme- dice: stepmother! Sì, ma ora bisogna spiegare perché. Se non riesco a tradurre, devo almeno spiegare il concetto chiave!

Leopardi non credeva in Dio, he didn’t believe in God.

Oh my God! You mean like old Greeks?

No! He thinks that God is illusion. Every things for him is illusion. Dio non c’è per lui: c’è la bad Nature e c’è la mente umana, human mind. Lui è hungry con la natura.

“Oh, he was poor!” ” No, perché è povero?””Allora perché ha fame?””No, he was in rage!” “Oh, maestra, you mean angry”.

Touchée. Quella parola lì la sbaglio sempre, alla fine ci siamo capiti. E andiamo avanti, fino alla conclusione, fino a capire che per Leopardi there is Nature and there is Mind.

Only the mind is not an illusion but only the mind creates illusions perché “io nel pensier mi fingo”.

Ma questa è un’altra storia ed è la prossima lezione.

E’ difficile anche in inglese, dice uno studente, it’s not a song (e siccome è un rapper aggiunge: oh…shit! detto sht perché non vuole farsi sentire ma scoppiamo tutti a ridere).

Non è una canzone, non è una canzone; sono pensieri, philosophie!

Lo dice un francofono, uno che ha studiato e che viene a scuola quando può perché la Comunità non gli paga più l’abbonamento dell’autobus. Ha cambiato tre comunità quest’anno: una perché è diventato maggiorenne, le altre due perché questi ragazzi vengono spostati come pacchi e l’unico elemento di continuità che hanno è la Scuola.

La canzone è il povero Pascoli con il suo ritmo e con la sua siepe che invece protegge e chiude.

Come l’Italia, che chiude i suoi porti.

“La terraferma Italia è terra chiusa” scrive Erri De Luca.

Rosa Johanna Pintus


To kill himself to not die again-PoliticaCultura

To kill himself to not die again: the last solution, the last train. I’m writing english this evening also if my english is bad, I’m writing english because Italian people are deaf and they can’t hear. My worst english is better than my excellent italian if Italian people can’t see where they are going.

Then I hope that my friend, my blogger friend Maurizio Puppo, can translate my words for the French.

It was the 28 of January when a Nigerian boy, Prince Jerry, decided to kill himself.

Why? It’s difficult to enter into the mind of a boy hopeless. We know he was integrated and he helps migrants in the first welcome: he helps migrants in hospital, he works as a mediator because he knows two languages.

Despite his good italian, he his not renewed the asylum permit.

So, he hopes for humanitarian permission: nothing. In spite of voluntary service, in spite of integration Italian door is closed for him.

What do he thinks? Family, desert, slavery, job seem him useless: a travel towards the deep desolation.

We can’t know and now nobody can help him.

He is tired, mopish and he looks the train. He is afraid to go back, to see again Lybian lager.

The wheels of the train are big and he find a solution: to kill himself to not die again.

He trows himself under the train, he is 25 years old.

Low wants this but silence is a heavy stone.

Now Jerry is symbol of Salvini decree: a racist decree.

We are near Norimberga, do not look the other way.

Rosa Johanna Pintus