Di chi è un libro?Diritto di paternità e di maternità

Di chi è un libro? Di chi lo scrive o di chi racconta una storia senza averne le parole? E’ un fatto che gli autori siano destinati a prendersela nel lato B, talvolta in maniera dolorosa.

Capita, quando decidete di raccontare la storia di qualcuno, di non servire più e di essere gettati come uno straccio vecchio in una conca sporca e maleodorante. Ma non vi sentite sporchi, vi sentite stuprati, che è peggio.

Perché non c’è differenza tra essere stuprati nel corpo e nell’anima: io li ho provati entrambi gli stupri, e per quello fisico bastano una doccia e un esame, seppur angosciante, dell’HIV.

Perché noi autori siamo creature di anima, il corpo è un accessorio che spesso non ci rendiamo neppure conto di avere.

Stasera una casa editrice mi ha consigliato “di fare la brava”:

Signora, 

da più d’una voce — e una di queste è … stesso — non risulta che lei sia coautrice né dell’una né dall’altro.

Posto questo, e posto anche il fatto che sarebbero gradite delle informazioni omogenee da parte di due persone che, evidentemente, hanno collaborato per lungo tempo ma che, altrettanto evidentemente, non si trovano concordi sulla natura della collaborazione — il che mi farebbe riflettere, se posso dirle in tutta onestà —, è evidente che da parte del nostro sito, che è l’unica cosa della quale rispondiamo, lei non è stata citata perché mai prima d’ora il suo nome ci era stato citato come autore di alcunché.Se il suo intento fosse stato quello di aiutarci per  evitarci problemi (da parte di chi non si sa, visto che gli autori sareste, nella sua versione dei fatti, voi due: chi debba porre altre questione è cosa che mi sfugge), la ringraziamo; del resto, mai e poi mai abbiamo parlato o pubblicato contenuti del libro, ma solo e soltanto della poesia, in quanto risultata selezionata al nostro Concorso.

Mi auguro che ora abbia compreso perfettamente cosa noi abbiamo condiviso — la poesia, solo e solamente quella —, come l’abbiamo fatto — con le informazioni che ci sono state fornite —, e perché lei non sia stata citata: perché, a detta di … stesso, lei non è co-autrice di libro e poesia, ma esclusivamente collaboratrice degli stessi.

Augurandole un più sereno proseguimento,porgiamo cordiali saluti”.

Come? E tutte le metafore ?E il gatto a cui hanno tagliato i baffi? E i brandelli?

Sento l’impulso di ribellarmi.

Ma poi mi rendo conto che chi mi risponde questo, è stato raggirato esattamente come me.

E mi rendo conto finalmente di quanto sia importante avere dietro una casa editrice, evitare il self publishing, foriero di ambiguità.

Perché le personalità narcisistiche hanno un tale forte ego che ti manipolano in qualsiasi lingua.

Scrivo al mio avvocato, alla mia amica, alla fine a me stessa.

La casa suddetta mi risponde:

Fossi in lei, non userei le parole con così tanta libertà. Qui nessuno la prende in giro — le assicuro piuttosto che la sensazione è reciproca, ma non mi tratterrò su questo. A noi ha detto di essere l’unico autore, quindi non c’è bisogno che lei ceda alcunché — lo ha già fatto lui, con un documento ufficiale inviato dalla associazione di cui fa parte, alla nostra mail. Peraltro, non c’è nessun “resto”: noi mai abbiamo pubblicato altro rispetto alla poesia, di cui si dichiara — se così non è, ne parli lei con lui, noi non centriamo nulla — unico autore, quindi non ci è chiaro perché lei ci scriva di “resto” o di cose altre dalla poesia. Ripetiamo in conclusione: a noi è stato lui a dirci di essere unico autore. Se secondo lei così non è, chiarisca con lui, non coinvolgendo noi che abbiamo solo pubblicato il suo testo. Infine, ma questa è solo una valutazione morale che non c’entra con il contenuto, credo che di questa spiacevole vicenda — che certo non ci fa piacere, ma che ha prima iniziato e poi protratto lei — la cosa più importante sia l’unica che lei ha citato solo sporadicamente, quasi fosse un dettaglio: merita questo spazio, questa visibilità, e questa contentezza. Per noi il discorso termina qui. 

La mia amica mi fa sorridere, mi manda un video: il plagio

Metterei in croce il mio essere stupendamente imbecille ma non imbelle.

Rileggo la lettera ricevuta: quel centriamo scritto da un editore mi lascia di stucco. Centriamo anziché c’entriamo? Lapsus, non errore: centriamo!

Che mi vogliano sparare? Forse è davvero il caso di fare la brava: che mi vogliano sparare?

E di che libro si parla?

Questo lo lascio scoprire a voi, fatevi un giro su Amazon.

Un fatto mi fa riflettere: noi scrittori siamo ladri di storie quanto i protagonisti delle storie sono ladri di parole.

E se uno dei ladri di parole ha ottime capacità relazionali (cosa di cui uno scrittore è totalmente privo perché appunto scrive ma non sa parlare) lo scrittore rimane fottuto.

Per una volta.

Una volta soltanto:

“Eh…scusa …ho spedito 11 poesie ma è proprio piaciuta quella”

Casualmente l’unica che abbiamo scritto insieme con le sue emozioni e le mie parole: mia o sua?

A metà: madre e padre.

E il padre, in quanto maschio, vince.

In quanto personaggio vince.

E la cosa più buffa è che se la avessi spedita io a mio nome non avrebbe vinto.

Ma passi la poesia: la posso pur cedere una poesia.

Resto incredula quando mi si dice che neppure il romanzo è mio.

E’ lì che mi spezzo, che mi frantumo.

Per tutte le notti passate a scrivere.

Imbecille, non imbelle.

Lo si sappia.

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