Pierino e il Green Pass

Il green pass a scuola non è discriminatorio… Non è discriminatorio perché agli studenti, per ora, non viene richiesto , e dunque non è lesivo del diritto allo studio. Nessun provvedimento impedisce, per ora, l’accesso degli studenti ai locali scolastici.
E’ “solo” lesivo del diritto al lavoro, ma, d’altra parte, tutto il personale scolastico ha adempiuto al dovere morale della vaccinazione ben prima che fosse imposta la tessera verde, ed è “giusto” , in quanto stabilito
dalla legge, che coloro che non lo hanno fatto si vedano precluso l’accesso al posto di lavoro, dal momento che la scuola è ancella del regime e come tale deve eliminare dal proprio corpo le singole cellule che possano costituire una minima espressione di dissenso.
Gli insegnanti non allineati, in quanto dissidenti, si possono dunque colpire, umiliare, affamare, discriminare, ricattare, mentre gli studenti sono tutelati per quanto riguarda la libertà di scelta e la privacy, e nulla impedisce loro di usufruire del diritto alla formazione, nessun provvedimento
discriminatorio viene posto in essere per sottolineare la differenza tra vaccinati e non vaccinati e sembra tramontata , dal momento che non se ne sente più parlare, l’assurda ipotesi relativa alla creazione della “super app” che avrebbe individuato in maniera anonima la classe “all vax” nella quale si potesse
finalmente tornare a sorridere togliendo la mascherina, balenata dal ministro Bianchi durante il suo discorso inaugurale dell’anno scolastico.
Tralasciando gli sfottò tra compagni, in ragione dei quali la minoranza non vaccinata è definita , per usare un riassuntivo eufemismo, “sfigata”, e tralasciando il fatto che, a un mese dall’inizio della scuola, i genitori caldeggino che si riprenda a svolgere gite e uscite didattiche “lasciando a casa chi non ha il green pass”, con relative faide che incendiano le chat delle mamme, con buona pace dei coordinatori di classe, vorrei raccontare quanto successo in questi giorni a un mio studente, che per convenzione chiamerò Pierino.


La storia di Pierino


Pierino frequenta la classe quarta, non è ancora maggiorenne. Pierino è un buon ragazzo, ha recentemente subito un lutto molto grave e ha bisogno di essere incentivato e motivato nello studio, abbiamo rischiato che abbandonasse gli studi e vederlo a scuola dopo il brutto momento che ha passato sembra a tutti noi un miracolo. E’ un ragazzo intelligente e sensibile, ma discontinuo nello studio e “opportunista”, nel senso che studia solo quello che gli piace, come tanti alti studenti, e riesce comunque a prendere la sufficienza anche in quello che non gli piace, perché è sveglio e intelligente.
La scuola decide di mandare alcuni ragazzi al Salone dell’Orientamento, della sua classe vengono scelti Pierino e Alvaro. Sarà un’occasione per i ragazzi per sentirsi gratificati e responsabilizzati per il fatto di rappresentare la scuola in un’occasione così importante. Alvaro si è candidato come rappresentante di
istituto, non è un secchione ma sa il fatto suo, è spigliato, parla bene, farà sicuramente fare bella figura alla scuola, Pierino è un animale ferito, un gatto che non sa se fare le fusa o soffiare, per lui può essere un’opportunità di crescita, una distrazione, un diversivo ai suoi pensieri e al dolore che si porta sigillato nel cuore.

Dunque, da questa esperienza, ne trarranno beneficio entrambi. Pierino e Alvaro vengono avvisati che in un determinato giorno saranno presenti al Salone dell’Orientamento invece che a scuola, i ragazzi annotano, consegnano la manleva firmata dalle famiglie e si parte per questa avventura. Viene
pubblicata una circolare il giorno stesso, ma i ragazzi, si sa, non leggono le circolari il giorno stesso.
Arrivati all’ingresso del Salone dell’Orientamento, viene chiesta la tessera verde. Alvaro ce l’ha , Pierino non ce l’ha. Alvaro entra, Pierino viene mandato via.
A Pierino viene detto “Tu non puoi entrare”. Pierino ha perso un genitore quest’estate, Pierino voleva mollare la scuola e stiamo cercando di fare di tutto per motivarlo. Pierino è stato mandato al Salone per dargli l’opportunità di vivere una realtà diversa per qualche giorno, per farlo sentire utile, importante,
gratificato, per fargli tornare un po’ di voglia di studiare. Invece Pierino non può entrare. Gli viene detto che non può entrare. Pierino ha 17 anni e viene lasciato fuori dalla porta come un cane fuori dal supermercato.

A nessuno importa nulla di Pierino, delle sue emozioni, del suo mondo andato in frantumi e dell’ombra del lutto che grava su di lui con il peso di un macigno. Nessuno parla con Pierino, a nessuno interessa che Pierino sia stato lasciato fuori dalla porta, a nessuno interessa il suo mondo interiore, Pierino è semplicemente un numero, anzi, un numero senza qr-code, un vuoto a perdere, inutile e superfluo in questo nuovo mondo e in questa nuova normalità, sterilizzata, spersonalizzata, distanziata, greenpassata,
certificata…
Su quella circolare che Pierino non ha letto c’era scritto che per entrare sarebbe stato necessario il green pass, a Pierino non è neanche venuto in mente di controllare o chiedere, perché lui era convinto di svolgere un’attività equivalente alla scuola, dunque per lui andare al Salone era come andare a scuola.
E come Pierino è stato mandato via anche Ugo, di un’altra classe, per lo stesso motivo.
Pierino e Ugo, minorenni, non sono ammessi a svolgere un’attività che la scuola ha chiesto loro di svolgere, un impegno scolastico fuori sede del tutto equivalente a una mattinata a scuola.
Non so Ugo dove sia andato dopo essere stato cacciato, perché Ugo non è più un mio studente, ma Pierino, minorenne, quel giorno, non è tornato a scuola, e non è neanche andato a casa. Immagino sia rimasto in giro, da solo, a rimuginare con i suoi pensieri, immagino che sentirsi respinto non lo abbia
fatto stare bene , immagino che si sia sentito escluso, diverso dagli altri, discriminato, espulso da un mondo che non lo vuole, inadeguato, inadatto, non all’altezza degli altri.
Il giorno dopo, i professori “bravi” lo hanno rimproverato per non avere letto la circolare, e lo hanno ammonito per il fatto di non essersi ancora messo in condizione di avere il green pass, che senza di quello non potrà fare niente e dunque lo fanno sentire in difetto, rinforzando in lui la necessità di sottostare al
ricatto come conditio sine qua non per poter essere accettato dall’universo scuola.
Pierino è uno spirito libero, non accetterà mai una condizione imposta da quel mondo degli adulti che disprezza e che guarda come fossero alieni, forse comincerà a prendere in mano quella Costituzione che i ragazzi dicono di non avere tempo di leggere e comprenderà quanto quel pezzo di carta ferito, bistrattato e violentato sia necessario per continuare a vivere e sia un nostro dovere difenderla.
I professori “cattivi”, invece, hanno detto che , almeno per i ragazzi, dovrebbe essere la Scuola , o comunque lo Stato a pagare i tamponi agli studenti quando si preveda di far loro svolgere attività esterne ove sia richiesta l’infame tessera verde.
Ai professori “cattivi” è stato obiettato da quei professori “bravi” che considerano eroi i ragazzi che svengono sul banco o dormono perché hanno la febbre alta dopo aver fatto il vaccino il giorno stesso, che, “con tutti i problemi che ci sono, figuriamoci se la Scuola, o lo Stato, devono anche pagare i tamponi agli studenti, che vadano a vaccinarsi o smettano di venire a scuola che ci fanno un favore…”
Ma il green pass, a scuola, non è discriminatorio, soprattutto per gli studenti.

Cristina Tolmino


Dall’eroe al reietto: il docente ai tempi del Coronavirus

In questo periodo, tra docenti, si è avuto modo  di dialogare e confrontarsi  sulle problematiche e sulle questioni più spinose relative all’opportunità /obbligo surrettizio vaccinale legato alla nostra professione. 

L’esperienza della Dad 

Abbiamo vissuto due anni scolastici molto difficili. Il primo, interrottosi bruscamente a metà febbraio 2020,  ci ha visto trasformarci in docenti on line, senza nessuna preparazione e nessuna strategia comune o possibilità di pianificare degli strumenti di lavoro condivisi  perché prigionieri del lockdown, ognuno murato in casa propria, dietro uno  schermo, per chi aveva la fortuna di averlo.

In tale occasione ci siamo reinventati, abbiamo studiato come poterci organizzare al meglio le lezioni, abbiamo inseguito ragazzi demotivati e supportato coloro che non avevano la strumentazione o la possibilità di seguire la didattica on line , diventando “prestigiatori”, maghi dell’etere, soffrendo per la mancanza di un contatto in presenza e adattandoci a sostituire la nostra didattica , a mettere in discussione il modo di gestire la nostra lezione, per trovare nuove alchimie che ci permettessero di non lasciare indietro nessuno, ognuno chiuso nello spazio privato della propria abitazione, con i propri mezzi, la propria attitudine a padroneggiare il mezzo informatico, la propria individuale motivazione.

Eravamo insegnanti che lavoravano, e siamo stati considerati eroi. 

L’esperienza della bi-zona
Durante il secondo anno scolastico in emergenza abbiamo lavorato in presenza a fasi alterne, iniziato in presenza, poi a distanza, poi di nuovo finalmente in presenza, trovando un motivo per andare avanti nei sorrisi dei ragazzi, celati sotto le mascherine, districandoci tra normative di sicurezza e barcamenandoci tra gel , mascherine, finestre aperte, distanziamento, ingressi scaglionati, ricreazione a turni e accessi al bagno monitorati al limite della violazione della privacy, ma ce l’abbiamo fatta. 

Ce l’abbiamo fatta grazie agli sforzi che ognuno di noi ha compiuto, ritrovandosi a coniugare l’emergenza  con  i problemi storici, e ormai archeologici, che gravano sulle spalle della scuola da anni, come le classi pollaio, la carenza di organico, la mancanza di spazi, problemi che, a causa dell’urgenza con la quale si è manifestato il fenomeno della pandemia,  non sono stati risolti, ma con cui abbiamo convissuto nell’emergenza, e, nella speranza che, a sangue freddo, il Ministero sarebbe intervenuto in nostro aiuto. 

Siamo stati “eroi”, anche se non ci siamo sottoposti al trattamento sanitario dell’inoculazione. Questa scelta ha pesato su ognuno di noi nei rapporti con i colleghi, oltre che nei rapporti interpersonali in genere, siamo stati considerati dei buoni insegnanti “nonostante “ non avessimo aderito alla nuova religione di massa, come se la mancata accettazione del farmaco miracoloso fosse una pecca , una macchia che incrinasse la nostra correttezza morale , inconciliabile con il nostro essere stati, appunto, buoni insegnanti. 

Il terzo anno di pandemia

Adesso, per il nuovo anno scolastico, senza che sia stato materialmente fatto nulla per eradicare i problemi storici e incancreniti della scuola, impone ai docenti il marchio verde come garanzia di sicurezza, una sorta di bollino blu della banana Chiquita che garantisca la nostra “idoneità” a ciò che è definito “erogazione del servizio in presenza”, giacché dal lessico della neo lingua è sparita anche la parola insegnamento, sostituta da una perifrasi che appiattisce e sterilizza tutto ciò che di passionale e empatico c’è nel mestiere del docente. Il marchio verde certifica la sicurezza e consente al Ministro di enunciare che la distanza interpersonale di un metro tra gli studenti va mantenuta, ma, dove non è possibile, si potrà derogare. In un’aula atta a contenere 15 persone ne potranno essere stipate 30, tanto la sicurezza è garantita dal fatto che il docente sia provvisto del marchio verde, che si configura come un elemento palesemente distrattivo, il mancato possesso del quale permetterà di innescare quel processo di caccia all’untore e di ricerca del capro espiatorio che tanto piace ai media, in virtù del qual sarà identificato un “colpevole”, e mentre tutti penseranno a rincorrere, acciuffare e processare il “colpevole”, nessuno penserà più alle classi pollaio, alle aule sovraffollate, alla mancanza di spazi, alla carenza di organico etc. 

L’etichetta del no vax 

L’etichetta di “no vax”, che viene appiccicata addosso a chiunque osi esprimere dei dubbi su questo trattamento sperimentale di massa, non ci piace, come non piace a nessuno, ma le generalizzazioni consentono all’interlocutore di non affrontare il problema nelle sue specificità, e sono immensamente comode quando vengono trattati argomenti che non si vogliono approfondire.

Abbiamo letto, abbiamo raccolto testimonianze , abbiamo cercato fonti, abbiamo studiato, ci fidiamo dei premi Nobel e degli scienziati che dicono cose provate da studi e fonti e le documentano, fornendo bibliografie precise e circostanziate, non siamo persone prive di cultura o analfabeti funzionali, non siamo sorci da rinchiudere  e neppure irresponsabili o individui dalla condotta dissoluta, non siamo talebani, non siamo violenti, non siamo irresponsabili, non siamo contagiosi, né più né meno di chi abbia ricevuto il trattamento sanitario, rivendichiamo il diritto a essere curati con le terapie domiciliari che ci sono, ma che non sono riconosciute dal Ministero della Salute e che i medici non plagiati dal sistema praticano quasi clandestinamente. Non raccogliamo le provocazioni che quotidianamente ci vengono lanciate dal media di regime al solo fine di provocare reazioni poco urbane che consentirebbero al sistema di screditarci e inchiodarci, guardiamo la tv con lo spirito critico e riusciamo a mantenere un atteggiamento super partes  nonostante la propaganda martellante, i cui meccanismi ricordano certe cose brutte del passato che mai avrebbero dovuto ripetersi, inneggi all’odio sociale e alla violenza. 

Ognuno ha le sue motivazioni per non avere aderito alla campagna salvifica realizzata attraverso il nuovo farmaco,  c’è chi ha motivi seri di salute e, non venendo comunque esentato,  teme di avere conseguenze gravi,  chi accetta genericamente i vaccini e magari si sottopone ogni anno a  quello dell’influenza e non desidera fare da cavia a questo vaccino ogm (questa è la denominazione corretta, secondo la dottoressa Bolgan) , chi ha un’amica o una  collega deceduta a causa di questo vaccino, con tanto di correlazione accertata, e i casi non mancano, chi è semplicemente perplesso e di fronte a una violenza mediatica così forte decide di rifiutare il trattamento, chi accetterebbe anche la somministrazione di questo farmaco ma magari un po’ più in là, quando l’uso ne fosse stato consolidato dal tempo e quando i morti da vaccino “senza nessuna correlazione” saranno stati azzerati. 

Per questo, senza che nessuna azione malvagia sia stata da noi compiuta, siamo stati repentinamente considerati “untori”, “cattivi maestri”, un cancro sociale da estirpare dal sacro mondo della scuola inoculata, sanificata, depurata e purificata, addirittura indegni di accedere al posto di lavoro perché sprovvisti del lasciapassare governativo con il quale lo Stato ci restituirebbe il diritto al lavoro in cambio della cessione della sovranità sul  corpo di ognuno di noi, senza, ovviamente, assumersi la responsabilità in caso di decesso o danni permanenti. 

Conclusioni

Quali che siano le motivazioni, a fronte del fatto che per un anno scolastico ci siamo recati al lavoro senza essere stati inoculati, e, rispettando le precauzioni di distanziamento e mascherine abbiamo convissuto con una pandemia  che colpisce in maniera sintomatica  una minima parte della popolazione e che, se curata per tempo, con le opportune cure domiciliari, che vengono ancora negate al solo scopo di generare paura con la quale poter tenere la popolazione sotto scacco, non è letale, aggiungendo che , come hanno affermato virologi accreditati dal main stream e persino alcune viro  star televisive, la trasmissibilità del virus è uguale sia per i vaccinati che per i non vaccinati, e dunque il vaccino non ferma la circolazione del virus, ma aiuta a non contrarre la malattia in forma grave, anche se i dati che arrivano da Israele, ove è partita la somministrazione della terza dose e ove si sta studiando (notizia di poche ore fa) la possibilità di realizzarne una quarta, sembrano mettere in dubbio anche questo aspetto, ci opponiamo fermamente all’utilizzo del green pass, il cui nome corretto in italiano è lasciapassare governativo per avere accesso al posto di lavoro, e ci opponiamo fermamente, con tutta l’anima, all’idea della scuola trasformata in presidio sanitario permanente, finalizzato a creare un vaccinatoio senza fine che colpirà, senza esclusione di colpi, docenti, personale della scuola, ragazzi e bambini, uno dopo l’altro.

E ci opponiamo fermamente all’idea che la scuola, che è per antonomasia luogo di inclusione, diventi un luogo per accedere al quale si debba esibire un lasciapassare, il possesso del quale non divide il mondo in vincitori e vinti, come le persone plagiate dal mainstream credono,  ma vede sconfitta,  umiliata e mutilata la collettività intera, degli insegnanti, dei lavoratori,  dei cittadini, degli esseri umani in genere.

Cristina Tolmino  


Padre Cristoforo e Don Rodrigo

Prima di leggere il colloquio tra Padre Cristoforo e Don Rodrigo, vorrei che prestaste attenzione alla grammatica.

DUE REGOLETTE DI GRAMMATICA

Prima di leggere il testo, presta attenzione ai colori:

i colori non li vedete su questo testo ma sull’epub che potete aprire dal link.

Il rosso indica le parole che forse non conosci (lessico);

il giallo indica un verbo: di che modo si tratta ? Ve lo chiedo negli esercizi!

Cosa e come, in azzurro, sono due parole invariabili che si usano per introdurre la domanda.

Ora vi mostro in che modo si usano.

Quando andavo a scuola io, non si poteva utilizzare la parola “cosa” (thing/chose) per introdurre una domanda.

Cosa, nel significato thing/chose, è un nome femminile e variabile: la cosa/le cose.

Ma utilizzata in una domanda significa semplicemente What/Quoi.

Ai miei tempi (a long time ago!) occorreva scrivere sempre CHE COSA per introdurre la domanda.

Che cosa è diverso dalla parola “cosa”:

Che cosa fai?

Che cosa vuoi?

Che cosa è un pronome interrogativo e ha quattro fratellini: chi, che, quale, quanto.

Se questi pronomi sono seguiti dal punto di domanda, sono pronomi interrogativi;

se questi pronomi sono seguiti dal punto esclamativo, sono pronomi esclamativi.

Guarda gli esempi:

Che fai? >pronome interrogativo.

Che stress!> pronome esclamativo.

Quanti anni hai?>pronome interrogativo.

Quanta fame!>pronome esclamativo.

Oggi nessun professore segnerebbe errore l’utilizzo di cosa senza il che, lo potete fare.

Che cosa vuoi?> formale.

Cosa vuoi?> non formale ma colloquiale.

Posso anche dire:

che vuoi?>diretto nella lingua parlata.

La parola COME è più difficile, come può essere:

  • un avverbio interrogativo;
  • un avverbio esclamativo;
  • una congiunzione!

Esempi:

Come stai?>avverbio interrogativo;

Come mi mancate!>avverbio esclamativo;

Dimmi come stai>congiunzione subordinante;

Ti parlo come farei con mio figlio= nel modo in cui farei con mio figlio>congiunzione modale;

Come finisce il Coronavirus, facciamo una grande festa.>congiunzione temporale, in questo caso significa quando.

Esercizio

Padre Cristoforo, il confessore di Lucia, ascolta le ultime tristi vicende di cui la ragazza è stata vittima.

Che Don Rodrigo arrivasse fino a quel punto non se lo aspettava neppure lui.

Cosa fare?

Come aiutare i tre sventurati che gli chiedevano aiuto?

Come calmare Renzo, pronto ad affrontare il terribile Don Rodrigo?

Padre Cristoforo non è come Don Abbondio, ha un carattere completamente diverso:

Don Abbondio è un vigliacco, Padre Cristoforo è un coraggioso.

Qui state attenti ai nomi alterati!

Il palazzotto di Don Rodrigo si trovava in cima a un colle e dominava tutto il villaggio. Le casupole dei contadini che lavoravano per Don Rodrigo erano in basso, vicino al lago.

I personaggi che si incontravano vicino al palazzotto, erano dei brutti ceffi, degli omacci sempre pronti a litigare.

Don Rodrigo stava mangiando nel suo salone, con lui c’erano gli uomini più conosciuti di quel villaggio: mangiavano, bevevano, ridevano e prendevano un po’ in giro il padre Cristoforo, invitandolo a mangiare e bere con lui.

Finalmente Don Rodrigo accetta di parlare con Padre Cristoforo.

Ora vi scrivo che cosa si sono detti!

“Che cosa posso fare per lei?„ disse don Rodrigo, piantandosi in piedi nel mezzo della sala. Il suono delle parole era tale; ma il modo con cui erano proferite (dette),voleva dire chiaramente: bada a chi stai davanti, pesa le tue parole, e sbrigati.

Per far coraggio a padre Cristoforo non v’era mezzo più sicuro e più spedito che apostrofarlo con piglio arrogante (parlare con lui in modo poco rispettoso).

“Vengo a proporle un atto di giustizia, a supplicarla (pregarla)d’una carità. Certi uomini di mal affare hanno usato il suo nome per far paura ad un povero prete e lo hanno convinto a non celebrare (fare)il matrimonio di due innocenti. Lei, Don Rodrigo, può con una parola rimettere tutto nell’ordine, e sollevare quelli a cui è fatto così gran torto. Lo può; e potendolo ….. la coscienza, l’onore ….. „

“Ella mi parlerà della mia coscienza, quand’io crederò di chiedergliene consiglio. Quanto al mio onore ella ha da sapere che il custode ne sono io, ed io solo; e che chiunque ardisce ingerirsi a divider con me questa cura, io lo riguardo come il temerario che l’offende.„

“Se ho detto cosa che le dispiaccia(cosa che non le fa piacere),certo, ciò è accaduto contra ogni mia intenzione. Mi corregga pure, mi riprenda se non so parlare come si conviene; ma si degni ascoltarmi. Per amor del cielo, per quel Dio al cui cospetto(davanti a cui) tutti dobbiamo comparire …..„

“Non si ostini a negare una giustizia così facile, e così dovuta a dei poverelli. Pensi che Dio ha gli occhi sempre sopra di loro, e che le loro imprecazioni (preghiere che chiedono giustizia)sono ascoltate lassù. L’innocenza è potente al suo …..„

“Eh padre!„ interruppe bruscamente (in modo violento) don Rodrigo: “il rispetto che io porto al suo abito è grande: ma se qualche cosa potesse farmelo dimenticare, sarebbe il vederlo indosso ad uno che ardisse di venire a farmi la spia in casa.„

Questa parola fece salire una fiamma sulle guance del frate: ma col sembiante di chi inghiotte un’amarissima medicina, egli riprese:

Mi ascolti, signor don Rodrigo; e faccia il cielo, che non venga un giorno in cui si penta di non avermi ascoltato. Non voglia ripor la sua gloria …. qual gloria, signor don Rodrigo! qual gloria dinanzi agli uomini! E dinanzi a Dio! Ella può molto quaggiù: ma …..„

“sa ella che quando mi viene il ghiribizzo di sentire una predica, so benissimo andare in chiesa, come fanno gli altri? Ma in casa mia! Oh!„ e continuò con un sorriso forzato di scherno: “ella mi tratta per da più ch’io non sono. Il predicatore in casa! Non l’hanno che i principi.„

“E quel Dio che domanda conto ai principi della parola che fa loro intendere nelle loro reggie, quel Dio che le fa ora un tratto di misericordia mandando un suo ministro, indegno e miserabile, ma un suo ministro, a pregare per una innocente …..„

“In somma, padre,„ disse don Rodrigo, facendo atto di partire, “io non so quello, ch’ella si voglia dire: non capisco altro se non che vi debb’essere qualche fanciulla che le preme assai. Vada a fare le sue confidenze a chi le piace; e non si prenda la sicurtà d’infastidire più a lungo un gentiluomo.„

Al muoversi di don Rodrigo, il frate s’era mosso, gli si era posto riverentemente dinanzi, e levate le mani come per supplicare e per trattenerlo ad un punto, rispose ancora: “Lucia mi interessa, è vero, ma non più di lei; siete due anime che entrambe mi premono più del mio sangue. Don Rodrigo! Io non posso fare altro per lei che pregar Dio; ma lo farò ben di cuore. Non mi dica di no: non voglia tenere nell’angoscia e nel terrore una poverella innocente. Una parola di lei può far tutto.„

“E bene, le consigli di venirsi a mettere sotto la mia protezione. Non le mancherà più nulla, e nessuno ardirà inquietarla, o ch’io non son cavaliere.„

A questa proposta , l’indignazione del frate trattenuta a fatica fino allora, traboccò. Tutti quei bei propositi di prudenza e di pazienza svanirono: l’uomo vecchio si trovò d’accordo col nuovo; e in quei casi fra Cristoforo valeva veramente per due.(significa: Padre Cristoforo è di nuovo Lodovico) “La vostra protezione!„ esclamò egli, dando indietro due passi, appoggiandosi fieramente sul piede destro, mettendo la destra sull’anca, levando la sinistra coll’indice teso verso don Rodrigo, e piantandogli in faccia due occhi infiammati: “la vostra protezione! Bene sta che abbiate parlato così, che abbiate fatta a me una tale proposta. Avete colma la misura; e non vi temo più.„

ATTENZIONE: esce il vero animo di Don Rodrigo che comincia a dare del tu a Padre Cristoforo.

“Come parli, frate?„

“Parlo come si parla a chi è abbandonato da Dio, e non può più far paura. La vostra protezione! Io sapevo bene che quella innocente è sotto la protezione di Dio; ma voi, voi me lo fate sentire ora con tanta certezza che non ho più bisogno di riguardi a parlarvene. Lucia, dico: vedete come io pronunzio questo nome colla fronte alta, e cogli occhi immobili.„

“Come! in questa casa …..?„

“Ho compassione di questa casa: la maledizione le è sopra sospesa. State a vedere che la giustizia di Dio avrà rispetto a quattro pietre e a quattro sgherri. Voi avete creduto che Dio abbia fatta una creatura a sua immagine per darvi il diletto di tormentarla! Voi avete creduto che Dio non saprebbe difenderla! voi avete sprezzato il suo avviso! Vi siete giudicato. Il cuore di Faraone era indurato quanto il vostro, e Dio ha saputo spezzarlo. Lucia è sicura da voi: ve lo dico io povero frate; e quanto a voi, sentite bene quello che io vi prometto. Verrà un giorno ….„

Don Rodrigo era fin allora rimasto tra la rabbia e la maraviglia attonito, non trovando parole; ma quando sentì intonare una predizione, un lontano e misterioso spavento s’aggiunse alla stizza. Afferrò rapidamente per aria quella mano minacciosa, e levando la voce per troncar quella dell’infausto profeta, gridò: “levamiti dinanzi, villano temerario, poltrone incappucciato.„

Queste parole così precise, acquietarono in un momento il padre Cristoforo. All’idea di strapazzo e di villania era nella sua mente così bene e da tanto tempo associata l’idea di sofferenza e di silenzio, che a quel complimento gli cadde ogni spirito d’ira e di entusiasmo, e non gli restò altra risoluzione che di udire tranquillamente ciò che a don Rodrigo piacesse di aggiungere.

“Villan rifatto!„ proseguì don Rodrigo: “tu tratti da par tuo. Ma ringrazia il saio (vestito da prete) che ti copre codeste spalle di paltoniere, e ti salva dalle carezze che si fanno ai pari tuoi, per insegnar loro a parlare. Esci con le tue gambe, per questa volta: e la vedremo.„

Così dicendo, additò con impero sprezzante una porta opposta a quella per cui erano entrati; il padre Cristoforo chinò il capo, ed uscì, lasciando don Rodrigo a misurare a passi concitati il campo di battaglia.

Comprensione del testo


Linguaggi non solo verbali-didattica a distanza

LINGUAGGI NON SOLO VERBALI

UDA DI ITALIANO

Oggi voglio approfondire con voi il discorso sui linguaggi, non solo quelli verbali (tecnico, poetico, etc.) ma soprattutto quelli non verbali.

Sotto vedete un’immagine particolare però, prima di arrivarci, bisogna faticare un poco e dividerò la lezione in tre parti:

  • Che cos’è il linguaggio;
  • breve storia dei linguaggi;
  • da un manga a un film: Alita, angelo della battaglia.

Preciso che questo ciclo di lezioni va studiato da tutti, anche dal corso A ove insegno storia e non italiano.

Anzi, per par condicio (espressione latina, traducetela così: per giustizia), vi inserisco anche una scheda del film Pompei che abbiamo visto insieme.

Ci sono molti modi per raccontare una storia: la si può scrivere, disegnare, recitare, danzare, suonare, cantare.

Vi sono dunque tanti LINGUAGGI a disposizione di un artista per narrare una storia e ognuno sceglie quello più adatto al proprio talento cioè alle proprie capacità.

Ma che cos’è un linguaggio?

Il linguaggio è un codice utilizzato da un gruppo.

Noi, in classe, ammettiamolo, abbiamo il nostro codice che è molto vicino al leggendario esperanto:senza rendercene conto, parliamo utilizzando le caratteristiche di diverse lingue e ne creiamo una lingua nuova, semplificata ma comprensibile: per imparare l’italiano usiamo, di fatto, una sorta di INTERLINGUA che unisce sguardi, gesti, parole inglesi, parole francesi, parole spagnole, parole albanesi ma… ci capiamo.

Tante volte ricorriamo ai disegni o alle immagini, questo avveniva soprattutto all’inizio perché non conoscevate la lingua: il livello A2 è un livello che garantisce la sopravvivenza e non altro; insieme abbiamo capito che, se scriviamo le parole alla lavagna, è più facile comprenderle perché le parole scritte si somigliano, è la loro pronuncia che crea confusione.

Insieme ci siamo accorti, e qui ci ha aiutati il caso, che la lingua albanese ha le declinazioni come la lingua greca e latina.

Noi ci comprendiamo perché, inconsapevolmente, ci siamo adattati a un linguaggio, a un codice.

Un codice che in casa mia, per esempio, non funziona: quando esco da scuola e sono particolarmente stanca, ho bisogno di un po’ di tempo per tornare alla lingua madre.

Noi utilizziamo il nostro codice per imparare l’italiano, la storia, la geografia.

Io uso un codice per trasmettervi delle informazioni, voi usate un codice per trasmetterle a me.

Potrei esagerare e dirvi che anche la matematica è un codice, si parla infatti di linguaggio matematico.

Il linguaggio non è solo verbale (cioè fatto di parole).

Attenzione: rientrano nel linguaggio non verbale anche il trucco, l’abbigliamento, i tatuaggi, i gioielli.

Ve lo dico perché un datore di lavoro guarda tutto!

Torniamo a bomba! Si tratta di un modo di dire e significa: torniamo al punto da cui siamo partiti.

Il linguaggio può essere:

GESTUALE

linguaggio gestuale

non vi ho messo il terzo dito ma lo conoscete bene!

CORPOREO

Ne sono un esempio danza e teatro

Roberto Bolle in un remake della coreografia di Bejart

ESPRESSIVO

L’attore/regista Dario Fo


SIMBOLICO

Segnali stradali

FIGURATIVO-ICONICO

Alita, manga di Yukito Kishiro

Esiste anche il linguaggio della musica, utilizzato in diverse occasioni, utilissimo per accompagnare la suspance nei thriller.


Non vi inserisco il trailer perché vi potrebbe spaventare! Vi basti la musica!

Esercizio


La Tunisia, geostoria-didattica ai tempi del Coronavirus

cartina Tunisia

Buongiorno cari, oggi vi propongo, nell’ambito della geostoria, la Tunisia. Potete visualizzare la lezione su Edmodo, su Epub editor o qui ma, se il blog è più pratico per usufruire dei link, su Epub editor la lezione è semplificata grazie all’utilizzo dei colori (che qui non restano).

Ti conviene intanto ripassare questa lezione su Roma.

Abbiamo già affrontato l’argomento in classe, dunque considerate questo un ripasso.

Vi ricordate Didone ed Enea? Ne parlammo in relazione ai destini dei Troiani.

All’ epoca vi raccontai la relazione tra Didone ed Enea. Abbiamo visto che, secondo il mito, i rapporti tra Roma e la Tunisia, in particolare con Cartagine,non sono nati sotto una buona stella. Come abbiamo ricordato, secondo gli antichi, causa di tanto strazio fu proprio quella storia d’amore, tra la regina Didone, pia vedova, e il profugo Enea, un “mascalzone” che fuggiva da Troia, città incendiata dai Greci.

Evidentemente la rotta Turchia (ove si trovava Troia)-Tunisia (ove si trovava Cartagine) e Italia (ove si trovava Roma) era già praticata; forse non si attraversava il Sahel, perché l’Africa da cui molti di voi provengono non era conosciuta (hic sunt leones, dicevano i Romani).

Didone era, dicevamo, vedova e regina: una donna con tanto potere, troppo per l’epoca. Aveva capito che, l’unico modo per mantenere il regno, era quello di non sposarsi di nuovo.

Che poi amasse o no il defunto e compianto marito, tale Sicheo, poco ci importa.

Di fatto, quando vede Enea scendere dalla nave, è amore a prima vista.

Enea piaceva a tutte, la scrittrice Christa Wolf pensa che avesse addirittura una relazione con la sacerdotessa Cassandra (le sacerdotesse erano delle bellissime suore dell’epoca, non potevano avere fidanzati).

ATTENZIONE: sto usando il congiuntivo perché esprimo OPINIONI, non certezze.

Anche Enea rimane turbato da Didone: si guardano, si cercano, restano soli, scoppia un temporale, c’è una grotta e…lo fanno! “Lo fanno”, sapete meglio di me che cosa intendo.

Ma poi arriva Venere, dea della bellezza e madre di Enea, la suocera che nessuna donna vorrebbe mai avere.

Ed Enea ascolta la madre, non Didone. Parte perché il destino ha in serbo grandi cose per lui ma Didone, abbandonata, si uccide.

Molti anni dopo i nodi tornano al pettine: i discendenti di Enea, in particolare Romolo, ha già fondato Roma da tempo.

Tra i discendenti di Enea e i discendenti di Didone scoppiano le famose guerre puniche.

Se avete guardato il video che vi ho proposto e che ho scelto perché la docente Lorena è molto brava e chiara, ora potete leggere una delle pagine più toccanti della storia.

Vi ho già presentato Tucidide, Plinio il Giovane, Tacito e adesso ecco Polibio. Lo leggiamo perché scrive bene e perché voi dovete imparare a scrivere e a riconoscere la grammatica italiana (in realtà lui scriveva in greco, questa è una traduzione!).

In questo dialogo i protagonisti sono Annibale Barca, generale cartaginese, e Scipione l’Africano che era un generale romano detto Africano per le sue imprese in Africa.

ATTENZIONE: è un brano da livello B2/C1

Devi conoscere:

il periodo ipotetico

l’uso del gerundio

l’uso del participio passato

Polibio. Per la lettura semplificata e colorata vai qui.

L’indomani entrambi i comandanti uscirono dal loro accampamento con un gruppo di soldati; quindi, lasciati anche questi (guarda: il participio passato da solo!! Senza ausiliare!)si incontrarono a mezza strada, ciascuno con un interprete. Annibale, porgendo (mentre porge, porgere>dare) per primo la destra a Scipione, iniziò a parlare dicendo (e dice)che la cosa migliore sarebbe stata (condizionale passato che indica l’ impossibilità di tornare indietro, è UN PERIODO IPOTETICO) che i Romani non avessero mai aspirato (congiuntivo trapassato) ai territori fuori d’Italia, né i Cartaginesi a quelli fuori dell’Africa: i domini di entrambi sarebbero infatti stati ad ogni modo abbastanza vasti e circoscritti dalla natura stessa. «Ma poiché invece venimmo a contesa prima per il possesso della Sicilia, poi per quello della Spagna e infine, non sufficientemente provati dalla fortuna, siamo arrivati a tal punto che voi in passato e noi proprio ora corriamo pericolo per la salvezza stessa della patria, per salvarci dobbiamo smettere di combattere. Io sono pronto, perché ho imparato per esperienza personale come la fortuna sia mutevole e favorisca ora l’uno ora l’altro, trattando gli uomini come bambini. Temo però che tu (è un periodo lungo e rischi di perderti, segui le parole in verde), o Scipione, sia perché sei ancora troppo giovane, sia perché ogni cosa ti è andata secondo i tuoi piani, tanto in Spagna quanto in Africa, e non hai ancora subito alcun rovescio della fortuna, non ti lascerai convincere dalle mie parole, per quanto degno di fede. Considera (2 persona modo imperativo)pertanto, in base a quanto io ora ti dirò, quale sia il corso delle vicende umane: non ricorrerò a esempi del passato ma a fatti dei nostri giorni; ora mi trovo in Africa, ridotto a trattare con te che sei Romano, della salvezza mia e dei Cartaginesi. Ti esorto dunque a considerare tutto questo e a non insuperbire, ma a provvedere da uomo nelle presenti circostanze: cioè a scegliere sempre fra i beni il maggiore, fra i mali il minore. Chi, essendo avveduto, vorrebbe affrontare un pericolo quale quello che ora ti sovrasta? Se sarai vincitore in questa battaglia non potrai accrescere di molto la tua fama, né quella della tua patria; se sarai vinto distruggerai il frutto di tutte le tue nobili e splendide imprese compiute. >> Scipione rispose: «Come tu, o Annibale, sai benissimo, non furono i Romani a dar inizio alla guerra per la Sicilia e la Spagna ma i Cartaginesi! Anche gli dèi lo attestano, avendo concesso la vittoria non a coloro che hanno dato inizio alle ostilità, ma a chi ha combattuto per difendersi. Io considero più di ogni altro il mutare della fortuna e tengo conto per quanto è possibile della condizione umana. Se prima che i Romani passassero (congiuntivo imperfetto PROTASI PERIODO IPOTETICO)in Africa tu ti fossi spontaneamente allontanato (PROTASI PERIODO IPOTETICO) dall’Italia avendo offerto queste condizioni di pace, le tue richieste sarebbero state senz’altro soddisfatte!(APODOSI PERIODO IPOTETICO ).Ma tu te ne sei andato dall’Italia contro tua volontà, mentre noi, passati in Africa, siamo vincitori sul campo (cioè, le cose sono davvero mutate!).

Esercizio sul congiuntivo

Esercizio sul condizionale

Soprattutto poi eravamo già scesi (e NON eravamo scesi già/già eravamo scesi)a patti: i tuoi concittadini ce ne (ci avevano supplicati di questi)avevano supplicati dopo essere stati sconfitti e noi avanzammo proposte nelle quali(pronome relativo declinabile), oltre a ciò (pronome dimostrativo) che tu offri ora, era scritto che i Cartaginesi restituissero i prigionieri senza riscatto, rinunciassero alle navi da guerra, pagassero cinquemila talenti d’indennizzo e consegnassero (il congiuntivo in questo caso riporta una sorta di discorso indiretto)degli ostaggi a garanzia dei patti. Dopo aver stipulato questi accordi, inviammo ambasciatori al Senato e al popolo, noi per dichiarare il nostro assenso alle condizioni siglate, i Cartaginesi per implorare che esse fossero ratificate. Il Senato acconsentì, il popolo accettò le condizioni; i Cartaginesi dopo aver ottenuto (può diventare un gerundio?)quanto avevano richiesto, violarono i patti e ci tradirono. Che cosa ci resta da fare? Mettiti nei miei panni e parla: dobbiamo togliere le più gravi condizioni imposte, affinché i Cartaginesi, premiati per la loro empietà, insegnino ai posteri a tradire sempre i benefattori o, avendo conseguito quanto ci chiedono, ce ne siano grati? Avendo ottenuto attraverso le suppliche ciò che domandavano, non appena poterono contare un poco su di te, subito ci hanno trattati da nemici. Stando così le cose, potremmo proporre al popolo una nuova tregua se aggiungeremo alle precedenti qualche clausola aggravante, ma se dobbiamo rendere più lievi i patti già stabiliti, non è neppure il caso di avanzar proposte. Dove voglio arrivare dunque? Dovete consegnarci a discrezione voi stessi e la vostra città, oppure dovrete vincerci sul campo!».

In questo brano ho evidenziato diverse parole, osservale bene per svolgere correttamente gli esercizi.

Quiz sui verbi

Indovina il modo

Questo celebre brano di Polibio dovrebbe ricordarti un altro brano famoso letto in classe, quello dei Meli e degli Ateniesi.

Metti in ordine i fatti

In un political show i due avversari avrebbero la possibilità di esporre così chiaramente le proprie idee o litigherebbero?

Bandiera della Tunisia

Ora vediamo da vicino la Tunisia: guarda qui la Tunisia.

La Tunisia si trova nel Maghreb. Il suo territorio si estende per circa 2/3 al di sotto dei 400 m s.l.m. anche se a nord vi sono alcuni rilievi che appartengono alla catena dell’Atlante.

A est e a sud i rilievi dell’Atlante si abbassano e formano quella regione collinare denominata Sahel .

A sud c’è un’ampia depressione occupata da bacini lacustri salmastri, i chot.

La costa settentrionale è compatta quindi non ci sono porti.

A est c’è la profonda insenatura del Golfo di Tunisi .

La costa orientale si sviluppa da nord a sud, davanti a questa ci sono piccole isole: Gerba e le isole dell’arcipelago Kerkenna.

Il clima della Tunisia settentrionale e centrale è subtropicale, di tipo mediterraneo: l’estate è calda e asciutta, l’inverno è mite fuorché nelle aree più elevate dell’Atlante; le precipitazioni, in prevalenza autunnoinvernali, non sono abbondanti, con forti differenze da un anno all’altro.

A sud il clima è tropicale, con temperature più elevate, soprattutto d’inverno, e piovosità scarsa e irregolare, fino a divenire, nell’estremità meridionale, un vero e proprio clima desertico, con precipitazioni pressoché nulle.

Una vera rete idrografica (fiumi e laghi) esiste solo nella Tunisia settentrionale perché lì ci piove. L’unico fiume importante è la Medjerda, che ha origine in Algeria .

Vi sono poi alcuni laghi costieri della costa settentrionale, e soprattutto gli stagni salmastri, di cui il maggiore è il Gerid.

La vegetazione non è abbondante e verso l’interno sfuma nella steppa e nel deserto.

Nel Tell settentrionale vi sono querce e alberi da sughero (in Italia li abbiamo solo in Sardegna).

Sulla costa sono comuni la palma nana e il lentisco.

La fauna tunisina è quella tipica nordafricana.

Per quanto riguarda la speranza di vita, alla nascita è di 75,7 anni, questo dato è misurato dall’ONU attraverso gli indicatori del reddito, della salute e dell’istruzione per cui la Tunisia si colloca al 95° posto della classifica mondiale (2008).

La situazione della donna è pessima: in base a un altro indice dell’ONU, quello relativo alla condizione femminile (GDI), la Tunisia si piazza al 122° posto peròla Tunisia, tra i paesi arabi, è quello che maggiormente ha investito risorse nella promozione dello status sociale delle donne, fin dagli anni 1950. Tra l’altro, è stato il primo paese arabo che ha messo fuorilegge la poligamia.

La Tunisia è una repubblica presidenziale.

Le città principali sono Tunisi, che è la capitale, Sfax, Nabeul , Ben Arous, Monastir e Sousse.

Le parole della Tunisia, gioco didattico.


La didattica ai tempi del Coronavirus: Dante per il Cpia

Ragazzi, occorre reinventarsi un modo per portare avanti la didattica in questi tempi di Coronavirus, ripassiamo insieme e noi del CPIA Centro Ponente siamo sul pezzo. Del resto voi avete attraversato prove ben più dure e forse questo poeta vi è più vicino di quanto non crediate.

Alcuni di voi hanno già questa lezione su Edmodo, qui vi aggiungo un breve ripasso. Buono studio!

DANTE ALIGHIERI vive tra il 1265 e il 1321, è un poeta ma è anche un uomo che fa politica; quando il suo partito (Dante era un guelfo bianco) viene sconfitto e lui viene accusato dagli avversari politici di corruzione, si trova a scegliere tra la pena di morte e l’esilio. Sceglie l’esilio, si ritiene accusato ingiustamente, ed è costretto a chiedere asilo politico nelle altre città d’Italia.

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Gossip letterario: Dante è innamorato di Beatrice ma non è sposato con lei, sua moglie si chiama Gemma Donati e doveva avere molta pazienza con un marito così!

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Beatrice
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Gemma

Durante l’esilio scrive un poema molto famoso: La divina commedia.

La divina commedia è un poema diviso in tre libri, detti cantiche, ed è il primo poema scritto in lingua italiana.

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Stiamo parlando di un poema scritto più di 700 anni fa, eppure i suoi contenuti e la lingua attraverso la quale vengono raccontati, piacciono ancor oggi.

In effetti sono tre i veri grandi poemi della storia della letteratura, quelli che davvero parlano a tutti: l’Iliade, l’Odissea e La divina commedia.

E perché non ci lasciano indifferenti?

Perché trattano le grandi domande dell’uomo: la lotta, l’amore, l’amicizia, la morte, la speranza.

E Dante come affronta questi argomenti?

Attraverso la poesia. Attraverso la poesia Dante immagina di fare un viaggio attraverso l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso che sono i tre mondi dell’aldilà cristiano.

Nel momento in cui comincia il suo viaggio Dante è stanco, confuso. La narrazione è bellissima ma io devo richiamare qui la tua attenzione su alcuni elementi della frase, in particolare sull’utilizzo dei tempi verbali. Lo so, significa massacrare Dante, chiedo venia (chiedo scusa). Però, siccome sono brava e non sempre cattiva o severa, ecco a te due link per goderti il racconto.

Dante rap anglofoni

Non ho trovato valide traduzioni per le altre lingue…

Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura

ché la diritta via era smarrita.

Cosa ci dice Dante?

Avevo circa 35 anni quando, poiché avevo perso la strada giusta, mi ritrovai in una foresta buia.

Nel mezzo del cammin di nostra vita: a 35 anni

ritrovai: passato remoto di ritrovare, indica un’azione conclusa e lontana

selva oscura: foresta buia

smarrire: “perdere”, avevo perso la strada giusta; Dante si trovava in un periodo difficile in cui gli era difficile scegliere tra il Bene e il Male. Smarrirsi: perdersi.

Ahi, quanto a dir qual era è cosa dura

esta selva selvaggia e aspra e forte

che nel pensier rinova la paura

Mi è difficile raccontarvi come era codesto bosco, terribile e spaventoso e, se provo a ricordarmi quest’esperienza, ho di nuovo paura.

selva selvaggia: figura etimologica, nome e aggettivo provengono dalla stessa radice

rinova: rinnova, noi lo scriviamo con due N. Rinnovare in questo caso significa. ” al solo pensarci ho di nuovo paura!”.

Tant’è amara che poco è più morte;

ma per trattar del Ben ch’i’ vi trovai

dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte

Io non so ben ridir com’i intrai

tant’era pien di sonno a quel punto

che la verace via abbandonai.

Il ricordo è così spaventoso da essere simile alla morte ma in questo viaggio ho capito che cos’è il Bene e, per farlo capire anche a te, ti parlerò del Male, quello che per noi cristiani è Lucifero o Satana e per voi musulmani è Haràm. Io non ricordo perché mi trovavo lì, ero davvero molto confuso e così triste che avevo perso il senso della vita.

Come vedi tu stesso, continua l’utilizzo del passato remoto per cui, ormai, dovresti aver memorizzato la desinenza della prima persona singolare.

Guarda le parole evidenziate, si tratta di verbi: sono tutti indicativi ma cambia il tempo e, dunque, cambia il messaggio.

Trovai, intrai, abbandonai: passato remoto, azione lontana

Ma quali sono le altre persone? Esistono? Qui a Genova si usano?

Be’, tu intanto imparale.

ENTRARESCORGERESMARRIRE
Io entraiIo scorsiIo smarrii
Tu entrastiTu scorgestiTu smarristi
Egli entròEgli scorseEgli smarrì
Noi entrammoNoi scorgemmoNoi smarrimmo
Voi entrasteVoi scorgesteVoi smarriste
Essi entraronoEssi scorseroEssi smarrirono
   

I più…buffi…sono questi:

ESSEREAVEREFARE
Io fuiIo ebbiIo feci
Tu fostiTu avestiTu facesti
Egli fuEgli ebbeEgli fece
Noi fummoNoi avemmoNoi facemmo
Voi fosteVoi avesteVoi faceste
Essi furonoEssi ebberoEssi fecero

Gli altri verbi che vedi nelle terzine sono questi:

dirò: azione futura

era: imperfetto, azione continuata nel passato.

L’imperfetto, questo sconosciuto

L’imperfetto è semplice da coniugare ma quando si usa?

Mi piacerebbe semplificare e dirti che corrisponde all’inglese I used to ma, purtroppo, non è così.

L’imperfetto è un tempo verbale dei modi indicativo e congiuntivo. E’ una delle due forme di passato più usata nella lingua italiana, insieme al passato prossimo.

L’imperfetto è un tempo verbale del modo indicativo che serve ad esprimere un’azione continuata e prolungata del passato.

Se tu guardi sul sito della grammatica italiana trovi questo, te lo riporto così studi più agevolmente:

  • I verbi in –ARE hanno una A nella parte del verbo che cambia Es: io parl + A + vo
  • I verbi in –ERE hanno una E nella parte del verbo che cambia Es: io prend +E + vo
  • I verbi in –IRE hanno una I nella parte del verbo che cambia Es: io part+ I + vo

Usiamo l’imperfetto per:

  • descrivere una situazione continuativa
    • Il tempo era caldo e umido
  • Fare una descrizione psicologica, parlare di sentimenti ed emozioni
    • Non è venuta alla festa perché era triste
  • Parlare di un’abitudine, di qualcosa che avveniva con regolarità
    • L’estate, da bambino, andavo sempre al mare
  • Dopo la parola “mentre”
    • Mentre camminavo per strada ho incontrato Nicola
  • Parlare di azioni continuate, non limitate nel tempo o non concluse
    • Il mio cane era nella sua cuccia e dormiva tranquillamente
  • Raccontare un sogno
    • Ero in mezzo alla strada, incontravo persone che conoscevo ma che non ricordavo…

Molto spesso in italiano utilizziamo l’imperfetto al posto di altri verbi considerati esatti dall’italiano più formale. Vediamo qualche esempio:

  • Usiamo l’imperfetto al posto del presente indicativo o del condizionale per rendere meno forte una richiesta:
    • Volevo prenotare una camera per due notti ANCHE SE è meglio VORREI prenotare
  • Scegliamo l’imperfetto dell’indicativo al posto del congiuntivo trapassato e del condizionale passato per esprimere un’ipotesi irrealizzabile
    • Se mi chiamavi, ti aspettavo per mangiare (frase corretta: se mi avessi chiamato, ti avrei aspettato per mangiare).

E ora a te!

Esercizio

Esercizio 2

Stasera ti mando le fiere e Virgilio…