L’ultimo dei Mohicani e l’apokolokyntosis della Sinistra

Riguardo alla morte di un politico noto e, come spiega Putin, sui generis, l’unico commento intelligente sarebbe il manzoniano “Ei fu” da concludersi con il noto “ai posteri l’ardua sentenza”.

Le analisi che si ricavano dai giornali e dalle televisioni variano dalla beatificazione all’Apokolokyntosis, atteggiamento questo che io giudico estremamente vile poiché il defunto non può controbattere.

Non ho mai votato Silvio Berlusconi, infarcita com’ero della certezza che la Sinistra rappresentasse il Bene e la Destra corrispondesse al Male assoluto.

Ho manifestato contro la sua entrata in politica nel 1994, contro il G8 di Genova nel 2001 poiché vedevo in lui non un fascista- quello per me era Fini e lo apprezzavo maggiormente- ma uno spietato neoliberista.

Ero giovane e ragionavo in base agli impulsi, agli amici, al desiderio di andare contro il Sistema ma non avevo compreso che l’antisistema era lui.

Lo aveva compreso invece l’Europa. E nel 2011 fece il primo golpe in Italia inaugurando l’austerity e il loden grigio.

Che schifo. Che scema.

Nel 2011 ero grandicella e avrei dovuto capire quanto avveniva.

Avevo già due figli ma non avevo capito.

Con l’approvazione (o forse fu un’imposizione?) di Napolitano, Monti prese l’esecutivo defenestrando, come sottolinea Francesco Forte , il Presidente eletto da un congruo numero di Italiani in un momento in cui non era ancora nota la desertificazione delle urne.

Fu un precedente pericoloso che anticipò il golpe del 13 febbraio del 2021 quando un convinto Mattarella incoronò Presidente del Consiglio Mario Draghi, l’aristos, l’optimus, il migliore tra gli oligarchi, l’uomo che così venne definito da Cossiga:

È un vile, un vile affarista non si può nominare presidente del Consiglio dei Ministri chi è stato socio della Goldman & Sachs, grande banca d’affari americana. E male, molto male, io feci ad appoggiarne, quasi a imporne la candidatura a Silvio Berlusconi, male molto male“.

F. Cossiga

Torniamo a Berlusconi, o meglio, al mio Berlusconi.

Berlusconi e le donne

Come Craxi fu fatto cadere per le tangenti e Conte per la pandemia, Berlusconi fu fatto cadere per le donne.

Esse costituirono un cavallo di Troia costruito ad arte, a detta della Sinistra, Berlusconi non le rispettava.

Questo è un falso storico: Berlusconi aveva un rapporto ciceroniano con la figlia Marina e amava le donne belle e intelligenti.

Forse la sua debolezza fu la ricerca della bellezza in una visione estetica della vita che impose anche se stesso, la medesima visione di cui è schiava Lily Gruber con il suo metus senectutis.

E’ indubbio che le donne per Berlusconi dovessero essere affascinanti e curate, non necessariamente belle; ciò che non tollerava di Rosy Bindi era l’ostentata sciatteria, tipica di chi attinge invece al mondo dell’etica.

La battuta fu infelice ma geniale nel sarcasmo: “E’ più bella che intelligente”. Attenzione, non disse che Rosy Bindi era brutta, utilizzò un’ironia sagace che, certo, offende ancora oggi non per quanto concerne la bellezza bensì per quanto riguarda l’intelligenza della donna che viene ingiustamente messa in dubbio.

E che dire della Merkel? Qui la narrazione si condisce di detti e non detti: fu definita “culona?” non v’è certezza; sicuramente Berlusconi non apprezzava la rinuncia totale alla femminilità così come detestava il disfacimento del fisico maschile. Non bisogna dimenticare che oltre ad essere un politico era un imprenditore del patinato mondo dello spettacolo e che i suoi canoni erano quelli.

Berlusconi, la Mafia e le Toghe Rosse

L’unica condanna di Silvio Berlusconi fu quella per la frode fiscale per la compravendita dei diritti di Mediaset, per il resto vi sono molte accuse ed oltre trenta processi.

Considerato che l’essere umano non è onnisciente e che, in termini di Diritto, l’unica che conta è la verità processuale, a questo punto occorrerebbe tacere.

Invece si parla, si ride, si strazia il cadavere: era mafioso?

Se la domanda viene posta da Italiani di Potere, l’unica risposta che mi sovviene è quella di Craxi:

I partiti – specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli,

giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie

strutture politiche e operative,-hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma

irregolare o illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia

puramente criminale, allora gran parte del sistema è un sistema criminale.

Bettino Craxi

E’ un fatto che la Magistratura inizi ad indagare su Silvio Berlusconi nel 1994. L’accusa è quella di aver pagato tangenti al leader socialista Bettino Craxi, ed è per questo che io- più che di Toghe Rosse- parlerei di toghe angloamericane.

O Toghe Neoliberiste.

Mi limito quindi a fare le più sincere condoglianze alla famiglia Berlusconi sottolineando che, se con Craxi morì l’ultimo dei socialisti, con Berlusconi, che dette forte impulso all’imprenditoria italiana, se ne va l’ultimo dei Mohicani.

Ora siamo in pasto all’America, all’Europa, alle loro brame neoliberiste che umiliano il lavoratore e innalzano l’intelligenza artificiale.

Venduti da false sinistre democratiche attratte dal denaro e dalle Banche, ci ritroviamo in un’Italia in macerie ove il reddito di cittadinanza l’ultima spiaggia poiché il lavoro non c’è più.

Alessandra Giordano

Judy Jewiss: whatever it takes!

Romanzo a puntate di R.J.Pintus

Copertina di Game06percy

Judy Jewiss: WHATEVER IT TAKES!

Perché non si perda

il ricordo

di ciò che è stato.

Capitolo 1

Whatever it takes

Judy Jewiss cammina per le strade chiuse della sua città: coi piedi perché in autobus non può salire. L’aria è stinta, fetida, surreale: alcuni poliziotti non più umani multano chi non porta la mascheruola.

La verità è questa, triste e pura, la vita è mostruosamente difficile e si sente sola.

Ma sola non è e lo sa bene la Democratura che spinge ogni giorno restrizioni più forti.

L’incubo, quello che è stato confezionato, venduto e amplificato su mille televisioni è in realtà già da tempo finito: c’è stato il lockdown, poi il ritorno al lavoro e, a dirla tutta, è pure stata in Erasmus. Nonostante il virus.

L’anno scolastico è ricominciato con mille distanziamenti e Dad e Did; si va avanti comunque e la prima parte dell’anno è persino passata lasciando sperare che il peggio sia passato, che sia un lontano e superato ricordo.

Invece non è così anche perché l’anno è caratterizzato improvvisamente da un’ immane tragedia: la congiura contro il Presidente, portata avanti da un piccolo partito invidioso e senza storia, e l’ascesa dell’Uomo dall’Alto Profilo.

Judy Jewiss ricorda bene quei giorni, quel giorno. Era il 13 febbraio e iniziarono i 616 giorni della notte più buia della repubblica italiana: la democratura.

Judy scruta quello sguardo e si sente spacciata. Scrive un messaggio alla sua amica, si vedono al parco.

<<Hai visto?>> dice la prima.

<<Ho visto>> dice la seconda.

Il parco è freddo come febbraio.

<<Spingerà sui vaccini.>> dice la prima.

<<Lo hanno messo per quello. Ci obbligherà tutti.>>

<<Non glielo lasceremo fare.>>

<<Hai sentito che ha detto?

Questa situazione di emergenza senza precedenti impone di imboccare, con decisione e rapidità, una strada di unità e di impegno comune.

Il piano di vaccinazione. Gli scienziati in soli 12 mesi hanno fatto un miracolo: non era mai accaduto che si riuscisse a produrre un nuovo vaccino in meno di un anno. La nostra prima sfida è, ottenutene le quantità sufficienti, distribuirlo rapidamente ed efficientemente.

Abbiamo bisogno di mobilitare tutte le energie su cui possiamo contare, ricorrendo alla protezione civile, alle forze armate, ai tanti volontari. Non dobbiamo limitare le vaccinazioni all’interno di luoghi specifici, spesso ancora non pronti: abbiamo il dovere di renderle possibili in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private. Facendo tesoro dell’esperienza fatta con i tamponi che, dopo un ritardo iniziale, sono stati permessi anche al di fuori della ristretta cerchia di ospedali autorizzati. E soprattutto imparando da Paesi che si sono mossi più rapidamente di noi disponendo subito di quantità di vaccini adeguate. La velocità è essenziale non solo per proteggere gli individui e le loro comunità sociali, ma ora anche per ridurre le possibilità che sorgano altre varianti del virus.>>

<<Hai sentito che ha detto? Cedere sovranità>>.

<<Speriamo bene.>>

<<La vedo male.>>

Judy e la sua amica non sanno ancora che si sta profilando una democratura. Pensano che ci sia già stata. Che sia già passata. E’ difficile immaginare qualcosa di peggio del lockdown.

<<Hanno fatto fuori il Presidente perché probabilmente si rifiuta di proseguire il loro gioco.>> dice la prima.

<<Che casino.>> risponde la seconda.

Judy Jewiss non sa quanto durerà questo governo.

Quei 616 giorni sono eterni. E lui dispone ed impone: sembra che tenga l’Italia in mano.

Chi è l’Uomo? Lo sguardo freddo e inflessibile che, come si dice in gergo, fa brutto; la lingua vipera che mette a tacere in pubblico la moglie, i giornalisti e i politici tutti. Accanto a lui due fedelissimi: il primo un vile degno della damnatio memoriae, il secondo un ser bis moderno, riconfermato nonostante il paracetamolo e la vigile attesa, con la sua quota di potere e di malvagità, così pallido da far temere che sia pronto a risucchiarti l’anima.

Judy Jewiss si informa sull’Uomo che, in un lontano 2 giugno del 1992 a.C., era misteriosamente salito su un panfilo a decidere lo sventurato destino dell’Italia e ora il vile affarista governava osannato dall’America e dall’Europa.

Le informazioni sono chiarissime: studio dai Gesuiti e curriculum di tutto rispetto poiché conosce la lingua inglese come quella italiana, e la preferisce persino. L’Uomo aveva lavorato in una banca che gestiva gli investimenti finanziari delle multinazionali e che vantava un antico lignaggio: era stata fondata nel 1869. L’Uomo aveva guidato la più importante banca europea con la celebre frase “Whatever it takes” ovvero “Costi quel che costi”, una sorta di “Credere, obbedire, combattere” finanziario che mandava in brodo di giuggiole i giornalisti dell’italico stivale.

Ser Bis invece aveva un curriculum poco chiaro e più incentrato sulle imprese di un cugino inglese che sulle sue. Si vociferava che provenisse da una famiglia socialista e si era laureato in Scienze Politiche dopo aver studiato in un’università privata. Ser Bis era l’uomo degli ossimori: il suo nome inneggiava al buon augurio e il suo partito alla libertà e all’uguaglianza: Judy Jewiss e l’Uomo, pur partendo da posizioni diversissime, vedevano in lui il capolavoro della dissonanza cognitiva.

Ad ogni modo nell’anno 1 d. C. la scienza si interroga su possibili soluzioni per fermare il massacro di un invincibile virus costruito a tavolino che uccide gli anziani e i fragili soprattutto se finiscono in ospedale e, perla della scienza e della creatività italiana, Giuseppe De Donno trova una soluzione valida e dai costi minimi: il plasma iperimmune.

La scoperta non viene tenuta in considerazione, ci sono già altre soluzioni.

De Donno osa porre delle domande a Ser Bis e è risposta fu pressoché immediata: Giuseppe De Donno muore suicida il 27 luglio 2021.

Invero a questo suicido non crede nessuno e l’ipotesi della sua fine, così inquietante, trova una sorta di conferma negli eventi: ben presto uno studio americano conferma le teorie del medico italiano che è stato condannato a morte da qualcuno.

Chi?

Potessero i morti parlare!

Anche alcuni medici italiani confermano e raccontano il successo di quella cura di cui le televisioni non parlarono se non per irridere e deridere De Donno quando era vivo.

Il fatto però è che nessuno vuole sconfiggere il virus e l’impegno degli Stati è quello di aiutare, e adesso è proprio il caso di dirlo, whatever it takes, le multinazionali del farmaco.

Intanto si contano i primi morti: in Liguria la prima fu Francesca Tuscano, la seconda Camilla Canepa, giovanissima. Il medico che si era occupato di Camilla dichiarò di non aver mai visto una situazione simile:

E’ chiaro che siamo di fronte a qualcosa di non normale.

Il Tempo

La strategia fu quella di accusare una multinazionale favorendo l’altra: i vaccini dell’una facevano male, quelli dell’altra facevano bene.

Gli Italiani erano talmente terrorizzati dal virus da non accorgersi di ciò che avveniva; Judy Jewiss sì perché aveva tre figli e una mente attenta. Le era chiaro che le persone non fossero più le stesse, le era chiaro che il Presidente, quello vero, era stato fatto fuori e che forse era egli stesso una vittima del Sistema. Le era chiaro che la sua vita ormai, come quella di tutti, si divideva in due grandi epoche: a.C. e d.C.; già , C. come Covid, e che tra l’una e l’altra il sole si era spiaccicato a terra come una mela marcia provocando la vittoria delle Tenebre in barba ai Lumi, in barba al Manzoni e alla sua “Storia della colonna infame”.

La situazione andava precipitando, di giorno in giorno venivano poste regole e leggi sempre più assurde confronto alle quali il lockdown, pur nella sua assurdità, era stato una passeggiata. Passata la grande paura e di fronte all’evidenza che il virus non era mortale per tutti, la gente non capiva: un governo burattino guidato da un mostro privo di scrupoli e di cuore aveva dato avvio a una tale propaganda da far impallidire Joseph Goebbels e il clima, per chi non era tratto in inganno, era distopico.

Come ci erano riusciti? Judy Jewiss non riusciva a comprendere come tutto ciò fosse possibile ma guardava gli attori della democratura cercando di valutare gli evidenti nemici.

Chi tra i due era più pericoloso?

L’Uomo noto per la sua intelligenza o il ministro conosciuto per la sua deficienza?

Né l’uno né l’altro: il problema era il popolo, un popolo di pecore feroci ipnotizzate dalla propaganda.

E allora Judy Jewiss si sentì impotente: lei, insegnante di Storia, che aveva per anni spiegato il dramma della Shoah senza capire come potesse un intero popolo tollerare Hitler, capì.

La realtà era impressionante: il Governo non aveva neppure bisogno di assumere una polizia segreta.

Ci pensava il popolo con la sua ferrea e sciocca efficienza.

Da ora in poi lascerò la parola al diario di Judy Jewiss sperando di far cosa gradita a chi vorrà studiare quei 616 giorni di orrore.

FINE PRIMA PUNTATA

Rosa J. Pintus

Quelle bocche piene di -ismi solo quando gli-ismi non ci sono

Penso alla vicenda della lettera di Firenze, scritta da Annalisa Savino con intento educativo; considero la reazione del ministro Valditara che scandalizza i più . Mi sorprende lo scalpore che suscita la risposta del ministro, mi fa sorridere.
Non lo nego, i fascismi, o meglio i totalitarismi, nascono dalla legittimazione dei cittadini.

E fa bene la dirigente a proporre una riflessione ai giovani, a ricordare il Fascismo ( anche Stalin comunque “sedeva su un mucchio di ossa”) ma, ed è questa la domanda che mi tormenta, mi chiedo se questa dirigente abbia scritto
qualcosa anche l’anno scorso quando il cosiddetto Fascismo, un fascismo liberista, c’era davvero.
Già, lo ammetto, io non dimentico.

Non dimentico l’anno scorso, quando i docenti non vaccinati venivano buttati fuori dalle scuole e considerati dei reietti da genitori e colleghi.
L’anno scorso, quando non potevano prendere l’autobus né entrare nei negozi, quando le signore vaccinate con i loro cani prendevano il caffè in tiepidi bar e gli studenti non vaccinati stavano fuori al freddo o rischiavano multe salate sul treno se provavano a raggiungere le scuole .
Se totalitarismo c’è stato in questo Paese, e c’è stato, è stato l’anno scorso, nel 2022, con un ministro dell’Istruzione che non ha mai difeso i suoi docenti.
Riflessioni sull’anno scorso non ne sono ancora state fatte: si è permesso in un assordante silenzio che i dissidenti perdessero il lavoro e con lo stesso assordante silenzio si decide oggi di non parlarne, come se non fosse accaduto nulla.
Quindi sorrido di un sorriso amaro perché l’ indifferenza, quella stessa indifferenza citata dalla dirigente, e non la violenza ( che si vede e si sanziona) , è alla base del potere totalitario.
Valditara, che i colleghi di Sinistra disprezzano, ha le idee chiare e sta riportando la serietà in una Scuola ridotta dai precedenti governi e dai precedenti ministri a un diplomificio, è intervenuto in difesa della docente colpita dalla pistola a salve, ha scritto una circolare contro l’utilizzo dei cellulari in classe; il ministro dichiara improprie alcune affermazioni della lettera e ha ragione perché il mondo non è diviso in fascisti e antifascisti ma in élite transnazionali e sudditi, in governi che pensano agli interessi dei cittadini e in altri
in cui i parlamenti vengono esautorati in nome di una qualsiasi emergenza.
La dirigente Annalisa Savino cita Gramsci che io amo; ecco, Gramsci era da citare l’anno scorso, quando davvero sarebbe servito. Gramsci stesso, del resto, provò la prigione e l’odio degli amici, oltre a quello dei nemici chiaramente.
A me sembra strumentale la citazione di un eroe della libertà in un momento di libertà democratiche accettabili, e strumentale è il vuoto utilizzo di parole importanti, di concetti che vanno affrontati a fondo leggendo direttamente gli storici o le fonti, non di certo i manuali atti a narrare gli eventi storici in maniera moralistica, superficiale e comunque dal punto di vista dei vincitori.

Mi pare molto facile avere il coraggio di schierarsi quando c’è libertà di parola, quando tutto è normale e democratico.

L’anno scorso nulla era democratico, chi ha difeso le persone che non condividevano la logica di Draghi e di Speranza?
Nessuno di questi personaggi che gridano contro un ipotetico e improbabile fascismo ha scritto una qualche lettera agli studenti per spiegar loro che le libertà democratiche erano soppresse.

Noi non pretendevamo tanto, “se uno il coraggio non ce l’ha, non se lo può dare”, ci sarebbero bastate delle scuse. Non sono mai arrivate.

E allora fateci un favore: non riempitevi la bocca di -ismi quando non li avete voluti riconoscere.

Alessandra Giordano

Il filo sottile della rimozione

Riunione in casa mia stasera, come ai vecchi tempi: Hermes Movie che discute, che si confronta.

La mia mente va ad allora: la zona rossa, la zona gialla, la zona verde (o era bianca?)… comincio a dimenticare. Forse perché di lì a poco tutto si è oscurato per me, per la mia famiglia: un incubo.

Prima c’era stata la gloria: ero una delle poche in grado di fare lezione in Dad ed ero osannata come Cristo nella domenica che precede le Palme. Poi…

Ricordo un tuffo che rifiutai di fare a Malta in Erasmus: il mio amico Peter deluso.

Perché non ti fidi? Lo stiamo facendo tutti…

Peter e i miei amici polacchi si sono vaccinati.

Io non mi fido, ho sempre odiato i tuffi, figuriamoci quello che mostra altri scogli sotto l’acqua limpida!

Il Covid imperversava a Malta e in effetti lo presi in modo del tutto asintomatico, me ne accorsi in Italia.

Ma quel Covid lì già avuto non mi avrebbe protetto da nulla. Portai avanti il mio lavoro in classe con la mascherina d’ordinanza; insegnavo italiano agli stranieri, immaginatevi un po’ come! Per imparare la lingua occorre vederla la lingua!

Quell’anno vagò tra zone variopinte, mio figlio era in Dad per il secondo anno consecutivo: privato del diritto allo studio e i risultati emergono adesso con una pagella mediocre nell’anno della maturità. La Dad è stata una vera e propria selezione naturale che ha lasciato vivi solo gli amanti dei libri.

Queste cose comunque le ricordo quasi con chiarezza, il filo della rimozione s’insinua invece sotto il governo Draghi.

Fine 2021 e inizio 2022. La prima volta che la TV “mi caga”: non per i libri che scrivo ma in quanto pericolosa No Vax.

Se non fosse stato per Italexit sarei morta.

Se fosse stato per la famiglia, che mi guardava come se fossi pazza, sarei morta.

Francesco Cento, scultore sublime.

Quello che ricordo di quel 2022 è che i miei genitori mi criticavano perché non mi vaccinavo e che i miei figli mi odiavano perché non li facevo vaccinare e quindi erano esclusi dalla vita…sociale. Gli altri familiari mi guardavano con sufficienza e io li ho tagliati fuori dalla mia vita mentre con i genitori mi sono chiarita e i figli mi hanno ringraziata per aver resistito. Mio marito e il mio ex marito, nella comune idea che la mamma dei loro figli dovesse sopravvivere alla follia, si sono vaccinati pur non volendolo, lo hanno fatto entrambi al posto mio e nonostante i miei tentativi di rimandare il loro momento.

Ciò che non riesco a ricordare è come io abbia potuto gestire tutte queste tensioni, come io non sia impazzita nel ritrovarmi sostituita in un attimo. Ho odiato ogni supplente che si sia prestato a questo vile gioco.

Ricordo che giravo nel disperato tentativo di ammalarmi ma non potendo prendere autobus né treni le possibilità erano fortemente ridotte.

Ricordo di aver insegnato a mia figlia a far dei grandi sorrisi ai controllori affinché non le chiedessero il green pass! Ma mio figlio andava e tornava a piedi.

Ricordo di aver riso e pianto insieme su una panchina al gelo, col caffè nel bicchiere di carta, mentre dentro al bar un cane era seduto al caldo vicino al suo padrone col green pass.

Ma si tratta di episodi, non rivivo tutto, il desiderio di dimenticare è forte, lo sforzo di ricordare è necessario.

Quel cane seduto nel bar è la mia immagine di dittatura.

Questa

mattina.

è muta

di

pensieri:

sto fuori

dal mio

bar

e

guardo

il cane

non

vaccinato

della

ragazza

vaccinata

dentro

al caldo .

Divengo

un Pierrot

dal riso

amaro

e la

lacrima

ferma.

sul viso:

dura

lex

sed

lex.

Alessandra Giordano

Scuola: the year after, l’anno dopo i fuchi

Si avvicina l’inizio del nuovo anno scolastico, il terzo d.C. (dopo il Covid).

Il primo fu quello dei banchi a rotelle e del distanziamento di un metro, con dirigenti geometri, docenti che incollavano sensi unici adesivi, bidelli infermieri col termometro all’entrata.

Il secondo fu all’insegna dell’esclusione ma con l’obbligo, per i docenti, di corsi sull’inclusione, i presidi sceriffi, i bidelli poliziotti e il distanziamento di un metro “ove possibile”.

Il terzo è questo ma nulla si deduce all’orizzonte poiché ci sono le elezioni e il MI è un mistero eleusino.

Ci tengono buoni.

Ci sedano con show politici in cui compare l’immancabile Calenda e, siccome qui esisti se sei in TV, il centro esiste.

Ci va bene che la Gruber sia ancora in vacanza.

Ma, dicevo, sta per cominciare il nuovo anno scolastico, the year after dopo l’apocalisse, e io non provo nulla. Nulla.

I miei sentimenti e i miei entusiasmi sono stati congelati da una serie di docce fredde l’anno scorso. Da qui le manifestazioni, la TV, gli scioperi e la militanza con Italexit, quindi le critiche.

La TV è arrivata subito grazie a un articolo della Pedemonte, poi L’aria che tira.

La discussione con Paone, l’affondo di Costa che “mai vorrebbe per i suoi figli docenti così”.

Alunni e genitori mi studiano, mi osservano con curiosità, i colleghi con perplessità e sentimenti vari.

Ogni 48 ore presento il green pass da tampone e così fanno mio marito e il mio ex marito, spendiamo capitali in farmacia.

Anche i figli devono sottoporsi a tampone per prendere i mezzi e per andare in palestra: altri soldi.

Il Governo si illude che prima o poi capitoleremo, sa che siamo sottopagati. Come possono sopravvivere i sanitari? Come i docenti?

Resistiamo, è un fatto. Non ci ammaliamo di Covid, è un altro fatto.

Arrivano le leggi fascistissime, fascistissime in senso proprio: un parlamento che non legifera, un governo che decide.

La fascista è la Meloni?

Casa Pound è fascista?

Non posso più entrare a scuola, neppure con dieci tamponi al minuto.

Sui gruppi FB dei docenti c’è chi esulta, chi dice che era l’ora.

Bastardi, penso.

La supplente arriva presto, non sono necessaria, è brava ma ha un altro metodo di lavoro. Io non so neppure se riuscirò a tornare a scuola e, nel dubbio, cerco un altro lavoro che trovo perché dopo due anni di Dad, nel delicato passaggio tra la seconda e la terza superiore, i ragazzi annaspano.

Inizio a insegnare greco e latino privatamente e sbarco il lunario.

Le critiche sono ghiaia sulle ferite.

Quelle dell’entourage familiare più forti: “Vuoi essere al centro dell’attenzione”, “Fai i capricci”, “Vaccinati altrimenti lasci degli orfani”, “Vaccinati perché hai il dovere di mantenere i tuoi figli,” “Vaccinati perché i miei professori sanno che sei una no vax”, “Vaccinati perché non cambierai il Sistema”.

Resisto. Mio marito no. Il mio ex marito no. Per una volta concordi ci pensano loro: “Combatti: i soldi più o meno ci sono.” Guerriera grazie a due sponsor, direte voi.

Sicuramente più fortunata di altri: questa battaglia la combattono le donne perché gli uomini si sacrificano. E si sacrificano perché il loro stipendio è maggiore.

Le femministe lo possono riconoscere il sacrificio di quelli che definiscono semplici fuchi?

Le femministe dove sono? Oggi sono tutte “My body, my choise”, dov’erano l’anno scorso?

L’autodeterminazione di una madre per proteggere i figli da un vaccino ottenuto da feti uccisi non conta.

Meglio difendere l’aborto: il traffico dei feti rende soldi alle multinazionali.

Io credo sia meglio insegnare l’utilizzo del preservativo ma forse sono troppo antica.

Le stesse femministe guardano Juno, che non abortisce ma trova un’altra soluzione.

Che anno sarà questo?

Chi vivrà vedrà. Io ho imparato ad esser più dura e non farò sconti a scuola perché l’unica possibilità che hanno i nostri ragazzi per non divenire schiavi è quella di imparare a pensare in modo critico.

Alessandra Giordano

Fernanda Pivano. Ciao, signora Libertà, ci vediamo.

Ho aspettato oggi, 18 agosto, ricorrenza della tua morte, per pubblicare questo racconto che è la prima versione di un altro, quello pubblicato su “Protagoniste genovesi”, un’antologia che raccoglie biografie di donne genovesi illustri e pubblicata da De Ferraris.

A me fu affidata Fernanda Pivano con la quale avevo un conto in sospeso.

Il racconto pubblicato sul volume citato è diverso perché-come mi fecero notare le colleghe Simonetta Ronco (ideatrice dell’antologia) e Serafina Funaro- l’idea era quella di raccogliere biografie e non interpretazioni. Così “Ciao, signora Libertà, ci vediamo” è diventato “Fernanda Pivano, una donna di parola”, una trattazione lineare e maggiormente aderente alla figura di Fernanda.

Il racconto però c’è. Forse parla più di me più che di lei, dei terribili mesi trascorsi in casa e lontana dal lavoro, misera e sporca No Vax.

Mio Dio! Quanta violenza c’è in me che mi ritengo cristiana? L’odio è più forte di ogni sentimento: l’amore ti azzera, l’odio ti salva.

Sogno ministri appesi a testa in giù.

Il cimitero di Bergamo, il la, e la lunga e geniale teoria di camion militari. E’ buio e mi chiedo perché agiscano nel buio.

La mia cugina bergamasca che piange al telefono.

Ipnosi.

Poi tutto va veloce e io non lo comprendo più.

Ho bevuto dal bicchiere di una mia amica positiva. Pericoloso? Non so; la forza dell’esasperazione e l’avvilimento della disperazione possono molto. 

Ho fatto bene? 

Ho fatto male? 

Sono pazza? 

Forse. 

Ma parliamo di Fernanda che mi parla mentre muoio.

Una bellissima e giovane Fernanda

Ciao, signora Libertà, ci vediamo.

Ti ho conosciuta, Fernanda Pivano, attraverso gli occhi azzurri di Clemente  che era il mio ragazzo e avevamo vent’anni.

Vent’anni.

Tanti, pochi, abbastanza per immaginare un embrione di futuro, una bozza di sogno che seguisse la nostra inclinazione naturale: la scrittura.

Mentre i coetanei passavano la vita in Vico San Bernardo, a bere e a strafare in quel capolavoro di birreria che era il Moretti, ove l’arredamento trasudava storia, noi ci recavamo a Il Panino di Arenzano, lontani dalla folla e indifferenti alla gioia. Passavamo ore intenti a scrivere e a guardare – o meglio scrutare – film, cercando di comprendere la complessità della vita.

Non che non bevessimo, per carità, ma il bere era un accessorio da Bohème,  la ricerca di una svago significante come il suono delle parole belle, e attendevamo, come Nanni Moretti, l’alba sui prati di Pegli dalla parte sbagliata: si esisteva la notte e il giorno era un nulla; la vita era scrittura, carta, inchiostro .

Fu per questo che il vecchio Clem arrivò a fondare una rivista, Poca Luce, e fu in occasione di un’intervista che ti conobbe; si era infatti messo in testa di raccontare il debito che la letteratura italiana aveva nei confronti di quella americana e di come i nostri intellettuali, fossero essi perbenisti cattolici o irreprensibili comunisti, non riuscissero a coglierne la vera essenza:

<<Perché in Italia nessuno osa veramente.>>

<<Io credo invece che sia nostro dovere attingere ai classici e, del resto, ammettilo: che cos’è Spoon River se non un coro menadico?>>

Clemente, cara Fernanda, prima di incontrarti si era inebriato dell’opera omnia di Charles Bukowski che io detestavo ma che tu avevi intervistato nel 1980 quando noi due avevamo sei anni e già scrivevamo. 

L’intervista, quella a Bukowski, fu pubblicata nel 1982 con il titolo Quel che importa è grattarmi sotto le ascelle ma, grazie alla longevità della pagina scritta, potemmo leggerla comodamente anni dopo e discuterne.

A Bukowski io preferivo Hemingway perché era epico e bello, un eroe kalòs kai agathòs a cui, Fernanda, tu dicesti di no, l’unico no di cui ti rammaricasti.

Vedevi in Hemingway un uomo coraggioso ma lui si era accorto che la coraggiosa eri tu.

Apristi gli occhi nel 1917 a Genova, nascendo sotto il segno degli Americani che io tanto detesto, entrati nel conflitto mondiale da poco come una costellazione che illumina il buio.  Nascevi sotto la loro egida e l’Italia, che ancora non aveva visto Caporetto, non sapeva che tutto quel Male avrebbe portato semi di Bene pur solo nell’arte.

Nell’inconsapevolezza dell’infanzia, l’America ti entrò nel sangue pur in una vittoria mutilata.

Furono arbitri, gli Americani, e Woodrow Wilson segnò i quattordici punti che avrebbero dovuto salvare l’Europa e furono tuoi. 

Imparasti l’inglese in famiglia, poi la Scuola Svizzera ove apprendesti il francese e il tedesco, quindi il liceo classico Massimo D’Azeglio a Torino. Il tuo destino fu un professore che non amava se stesso ma che seppe toccare il tuo cuore: Cesare Pavese.

Non amava se stesso mentre tu, allora ragazza, lo amavi; non amava se stesso ma, donna cresciuta, ti amò con dolcezza e senza speranza: le sue lettere ti raggiunsero a Mondovì, poiché lì ti trovavi durante i bombardamenti del 1942, e quel “Lei” indicava un’intima affinità elettiva.

Che scriveva Pavese?

 “E’ il momento in cui lei, se è in gamba, può acchiapparmi e bagnarmi il naso. Basta che lavori, studi, traduca e sforzi la testina. Diventerà celebre, scriverà libri, troverà la cattedra, sarà una luminare della filologia.”

Mi aiuta Ernesto Billò a ricostruire quel periodo, leggo avidamente il suo articolo semplice, intenso e chiaro: non è facile trovare tue notizie biografiche perché sembri ancora viva, ti rendono viva quei video youtube in cui parli e in cui scruti chi ascolta, e le notizie che riguardano la tua vita si ritrovano negli anfratti dei giornali locali, nelle tesi, nei teatri.

Pavese ed Einaudi: che vita! che Fato!

Nel 1943 traducesti, su incarico di Einaudi, Addio alle armi… 

In Italia c’è la guerra civile, non soltanto la guerra mondiale e Torino è occupata dalle truppe naziste. Le SS perquisiscono lo studio di Einaudi: c’è un contratto a tuo nome. I soldati ridono: una donnetta, non ci credono. Il romanzo proibito dal duce può essere stato tradotto solo da un uomo. Girano i tacchi, passi in discesa per le scale. Girano la chiave nell’auto, sono nella tua via, Fernanda!

Salgono. Fermano tuo fratello Franco che li segue.

Hotel Nazionale: è lì che alloggiano.

Piangi, ti disperi, ti vesti di dignità. Decisa, vai a chiarire l’errore.

Hai ventisei anni e un bel volto; guardi i militari negli occhi:

<<Ho tradotto io quel romanzo. Ed è stato un onore.>>

<<Dove si trova Giulio Einaudi?>>

<<Non lo so.>>

Uno alza il tono, gli altri ti circondano di battute volgari che fingi di non capire:

<<Dove si trova Giulio Einaudi?>>

<<Non lo so.>> Il tuo è quasi un sussurro perché provi disgusto, rabbia e vorresti gridare.

Vieni arrestata, ti interrogano a lungo e tu sei stanca, devi fare la pipì, non osi dirlo. Alla fine ti lasciano andare ma ti confiscano i beni: non possiedi più nulla.

Tranne Hemingway che, nel 1948,  incontri a Cortina; ha saputo di te e ti prende per mano:

<<Tell me about the nazi…>>.

E tu tocchi il sole.

Bukowski è invece l’ombra di un gatto persiano ubriaco e così ti dice di Ernest:

<<Hemingway si tenga le sue guerre e il suo coraggio. Io ho altre cose che accadono a me e a tutti quelli intorno a me. Milioni di uomini e donne che impazziscono e vengono assassinati centimetro per centimetro ogni giorno. Quello era il mondo reale. Quella era la morte. Perché capitava a me, lo riconoscevo e troppo spesso qualcuno mi diceva, Bukowski tu sei licenziato.>>

Eppure Bukowski muore di leucemia a settantaquattro anni, Hemingway suicida nel 1961:

<<Morire è una cosa molto semplice. Ho guardato la morte e lo so davvero. Se avessi dovuto morire sarebbe stato molto facile. Proprio la cosa più facile che abbia mai fatto… E come è meglio morire nel periodo felice della giovinezza non ancora disillusa, andarsene in un bagliore di luce, che avere il corpo consunto e vecchio e le illusioni disperse.>>

Da ventenne mi chiedevo come tu potessi essere stata amata da Hemingway, Pavese e Kerouac.

Indubbiamente eri affascinante, una donna eccezionale e insondabile come la balena bianca che avevi così sapientemente donato al pubblico italiano; ero sicura comunque che tu saresti stata in grado di mietere vittime d’amore anche a ottant’anni ed ero punta dalla gelosia per il fatto che tu frequentassi chi amavo.

Non potevo competere con la tua vita avventurosa né con le tue conoscenze: eri la porta di Narnia tra due mondi lontani  mentre io altro non ero che la semplice ragazza di una periferia in cui non passava mai l’1, l’unico autobus che conduceva in centro. 

Tuttavia il 18 agosto del 2009, quando moristi, constatai che era scomparsa una grande donna, una regina che, a differenza delle botulinate star televisive, quelle tigri femministe che utilizzano il corpo e il volto di un passato irrimediabilmente perduto in salotti televisivi politicamente scorretti, non aveva temuto la vecchiaia: alle radici del tuo successo c’era la testa, non l’aspetto.

Eppure in passato eri stata una bella donna, dannatamente bella, aveva detto Kerouac quando ubriaco partecipò a un’intervista della Rai. 

Fernanda, ora ti vedo come una mela raggrinzita ma dolcissima, una cyborg dal busto in acciaio che cela una profondità atlantiche.

L’immagine di te anziana è una figura a tutto tondo creata da ricordi, blog e articoli di giornale e video sul web: le vene stanche per le punture e le terapie ma la testa ancora piena di passioni, di voglia di leggere, di capire.

Sei stata una talent scout nel senso più pieno del termine, in America come in Italia: leggevi e leggevi poesie e romanzi di ragazzi, e tra questi ve n’ era uno, Cento cavalli scotennati, scritto appunto da Clemente e che lui non pubblicò  perché, quando la vita corrisponde alla penna, non è facile metterla in piazza.

O forse il mondo era radicalmente diverso da quello attuale e il voyeurismo era ancora considerato un peccato. 

Scrivere di te, Fernanda, oggi, in questo clima di superficialità estrema, fa male. 

Io credo che tu non accetteresti la banalità in cui siamo piombati: non ci hanno salvati i romanzi, non il cinema e neppure le canzoni ma il tuo Bob Dylan, cara Fernanda, ha vinto il Nobel della letteratura, spiazzando tutti, nel 2016.

Hai vissuto il diritto sospeso, in nome di una non ben precisata sicurezza, e allora mi rifugio nel tuo mondo, coraggiosa ragazza,  laureata in letteratura americana ai tempi del duce, quando il cocktail era una coda di gallo.

Lo sai, Fernanda? C’è un libro che ci accomuna, un libro da cui in qualche modo ha origine la nostra storia di scrittura: la tua, da traduttrice e critica letteraria e la mia, da scrittrice e … insegnante.

Insegnante, sì, e quanto dolore provo nel pronunciare questa parola! 

Ah, sapessi! 

Lascia stare, non adesso. Parliamo del libro: l’Antologia di Spoon River. Ti fu dato da Cesare Pavese in un momento in cui la letteratura italiana era solo retorica di regime.

Versi scarni, privi di pathos epico, un’epopea degli ultimi e la constatazione di morti ingloriose.

La morte. La testimoniano Omero, Virgilio, Christa Wolf dando voce ad  Achille piede rapido, Achille la Bestia:

<<Meglio essere l’ultimo degli uomini che il principe dell’Ade.>>

La poesia di Spoon River canta la vita attraverso la morte in un’America non ancora attanagliata dal conflitto mondiale; tu saresti nata due anni dopo, salutata dall’entrata degli USA nella Grande Guerra, da Lenin che spazza via il feudalesimo dalla Grande Russia.

Edgar Lee Masters sapeva di essere un rivoluzionario? Un inconsapevole Che Guevara seguendo il quale si finisce in carcere? Come avrebbe potuto una cultura totalitaria e patriarcale accettare questo?

E poi, immaginate:

siete una donna ben dotata,

e il solo uomo con cui la morale e la legge

vi consentono un rapporto carnale

è proprio l’uomo che vi riempie di disgusto

ogni volta che ci pensate – e ci pensate

ogni volta che lo vedete. 

Chi era costui che scriveva folli parole? Costui che osava? “Il maschio fascista dispone di giorno e di notte”, recita Sophia Loren nel 1978 diretta da un illuminato Ettore Scola.

Il libro, che tu leggesti in lingua originale,  ti aveva rapito.  Perché? Quanto può essere pericoloso un libro? Le parole minano le fondamenta di un Sistema perché i Sistemi basati sulla forza, sul ricatto e sulla propaganda sono giganti dai piedi d’argilla. Ed eccola qui la corruzione di Edgar, la tua corruzione:

Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley,

il debole di volontà, il forte di braccia, il buffone, l’ubriacone,

l’attaccabrighe?

Tutti, tutti, dormono sulla collina.

Uno morì di febbre,

uno bruciato in miniera,

uno ucciso in una rissa,

uno morì in prigione,

uno cadde da un ponte mentre faticava per moglie e figli –

tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.

Dove sono Ella, Kate, Mag, Lizzie e Edith,

il cuore tenero, l’anima semplice, la chiassosa, la superba,

l’allegrona? 

Tutte, tutte, dormono sulla collina.

Una morì di parto clandestino,

una di amore contrastato,

una fra le mani di un bruto in un bordello,

una di orgoglio

infranto, inseguendo il desiderio del cuore,

una dopo una vita lontano a Londra e Parigi

fu riportata nel suo piccolo spazio accanto a Ella e Kate e Mag –

tutte, tutte dormono, dormono, dormono sulla collina. 

Mi pare di vederti mentre traduci su foglietti svolazzanti questi epitaffi che ti cambieranno per sempre.

E poi ti immagino intorno a un tavolo con Einaudi e Pavese: concepite l’ idea di intitolare l’opera S.River e una censura non troppo dedita alla lettura consente la pubblicazione dell’opera ritenendola l’agiografia di un santo! 

Chissà quante risate in Via Arcivescovado 7!

Pavese avrà spostato la pipa sull’angolo delle labbra e avrà sorriso dimenticando ogni tristezza: un sorriso alla Mastroianni.

Einaudi non saprei, un giusto, secondo me; rimandato in latino da Augusto Monti, non provò rancore e comprese che il suo professore era un esempio di valore morale e civile, e fu lui a introdurlo nella Confraternita.

I fascisti però se ne accorsero perché lessero, non erano tutti bifolchi, come vuole certa narrativa dell’attuale regime, e quelli erano versi che lasciavano segni profondi.

Tutto sommato è un miracolo che non ti abbiano fatto bere la cicuta.

L’epitaffio di Spoon River che mi donò a me stessa fu invece questo:

Ebbene sì, Emily Sparks, le tue preghiere

non furono disperse, il tuo amore

non fu del tutto vano.

Qualunque cosa io sia stato nella vita

lo devo alla tua speranza che non disperava di me,

al tuo amore che non smise di vedermi buono.

Cara Emily Sparks, lascia che ti racconti la mia storia.

Sorvolo sugli effetti di mio padre e mia madre;

la figlia della modista mi ha messo nei guai

e sono andato in giro per il mondo,

ho attraversato ogni sorta di pericoli,

vino, donne, i piaceri della vita.

Una sera, in una stanza di Rue de Rivoli

stavo bevendo vino con una cocotte dagli occhi neri

e le lacrime mi inondarono gli occhi.

Quella pensò che fossero lacrime d’amore e sorrise

al pensiero di avermi conquistato.

Ma l’anima mia era distante tremila miglia di lì,

nei giorni in cui eri la mia maestra a Spoon River.

E proprio perché non potevi più amarmi

né pregare per me, né scrivermi delle lettere,

in tua vece parlò l’eterno silenzio.

Cesare Pavese trovò quei versi in un quadernetto in casa tua, ti guardò e disse:

<<Ah!>>

Li prese e li portò ad Einaudi e quell’”Ah!” fu una garanzia.

La Storia, e non un qualsiasi astro, determina il destino di una persona.

Eri a cavallo con Hegel? Ti vedo sul cavallo di Hegel a cucire due mondi con un filo d’inchiostro.

La globalizzazione letteraria è l’unica rivoluzione non violenta.

Nel 1956 ti fu restituito il passaporto che il regime ti aveva confiscato e hai potuto viaggiare.

India e America, su di te prevalse la seconda.

Erano i tempi della Beat Generation.

Dopo anni di regime non avresti potuto non amare la Beat, ti ci  immergesti senza esserne travolta: non usasti droghe, non passasti da un letto all’altro per affermare la tua protesta, applicasti il tuo super io vittoriano come strumento di attenta analisi e conoscenza,  modificasti strutturalmente la critica letteraria liberandola da considerazioni estetiche e comprendendo l’inossidabile fusione tra vita e letteratura.

Ah, Fernanda! Il mondo attuale è una prigione di ghiaccio grigio!

Non ci voglio pensare! 

Mi scendono ancora lacrime che bucano il volto. 

E tu? 

Chissà a cosa pensi adesso. Forse non pensi, non so neppure più se credere al materialismo o alla spiritualità e tra i due il primo mi pare il male minore perché annienta la sofferenza.

Stanno accadendo cose che vanno oltre l’umana cattiveria e l’uomo, a cui  tu guardavi con speranza, è diventato quel vile homo oeconomicus preannunciato da John Stuart Mill e temuto da Aldous Leonard Huxley.

L’uomo è perduto.

Tu, vittoriana e beat al tempo stesso, determinata e ribelle, non avresti mai tollerato uno Stato in cui l’insegnamento e il diritto all’istruzione sono nuovamente subordinati a una tessera, non avresti mai immaginato che la Storia  rinnovasse a tal punto i propri vizi e dalla parte antifascista.

Bastardi!

Voglio strapparvi il cuore coi denti, masticarlo e sputarlo mentre i vostri figli gridano e mi odiano! 

Guarda Pavese. Non voleva firmare l’iscrizione al Partito Fascista, lo convinsero madre e sorella. Il rapporto tra Pavese e il fascismo è irrisolto, tu lo sai meglio di altri, quanto ha interferito con la sua morte?

Ci sono firme che uno in coscienza non può fare.

Se non firmi però rinunci al lavoro e stai male. 

Penso alle parole che Hemingway ti scrisse: “Non ti arrabbiare, lavora”; cerco di renderle mie ma non è semplice. Non so neppure se questa biografia sarà pubblicata o se verrà considerata politicamente scorretta; ma posso scrivere della Fernanda di allora mettendo a tacere la me di adesso?

Mio figlio minorenne scappa di casa un giorno sì e l’altro pure: vuole il vaccino per essere uguale agli uguali.

Comando io, lui in silenzio mi condanna.

Pensa che io sia una criminale o una folle? I miei la prima, lui e la piccola la seconda.

Solo la danzatrice mi crede.

Ah! Perché non posso suicidarmi? Come Jacopo Ortis: un suicidio eroico.

Li devo proteggere anche se non mi capiscono.

Non prendo il Covid. La lotta mi vuole guerriera.

 Non sono ancora in carcere, certo, questo no, e ciò mi dà la speranza e l’illusione di poter scrivere liberamente.

Ti saresti arrabbiata a conoscer la mia storia o forse semplicemente stupita? 

Come ti stupisti quando il tuo professore, Federico Oliviero,  ti impedì di proseguire la tesi su Walt Whitman perché riteneva che quei versi poco si addicessero a una signorina perbene.

Il sesso contiene tutto, corpi, anime, significati, prove, purezze, squisitezze, –proclamava Whitman e ciò era inaccettabile in un’Italia in cui persino l’intimità era dettata da rigidi canoni, in cui persino la trasgressione al bordello era controllata dallo Stato – risultati, pronunciamenti, tutte le speranze, beneficenze, conferimenti, tutte le passioni, amori, bellezze, piaceri della terra, tutti i governi, i giudici, gli dei. 

Oppure:

Urrà per coloro che hanno fallito!

E per coloro le cui navi da guerra sono affondate in mare!

E per quegli stessi che sono affondati in mare!

E per tutti i generali che hanno perso le loro battaglie!

E per tutti gli eroi sopraffatti!

E, ancor peggio:

Penso a come una volta giacemmo,

un trasparente mattino d’estate,

come tu posasti la tua testa

di per traverso sul mio fianco

ti voltasti dolcemente verso di me,

e apristi la camicia sul mio petto,

e tuffasti la tua lingua sino al mio cuore snudato,

e ti stendesti sino a sentire la mia barba,

ti stendesti sino a prendere i miei piedi.

Il tuo professore conosceva il poeta, quel suo sguardo franco da druido di versi e d’amore, quei capelli argentei e lunghi, così lontani dalle pettinature di regime.

Chissà, che se lo leggesse di nascosto? Di notte? Che temesse persino di confidarlo al prete?

<<Scabroso. Signorina, questo Whitman è scabroso. Non potete davvero pensare di proporlo in una tesi, se foste un giovanotto si potrebbe capire ma una futura madre …>>.

Lo hai guardato con occhi ironici e segretamente taglienti, hai accettato di analizzare Moby Dick e ne sei rimasta rapita: Call me Ishmael, che incipit meraviglioso! Tre parole ti immergono in Achab, nella sua ossessione distruttiva, nell’attaccamento alla vita di Ishmael. 

Che cosa c’è di più scabroso di Melville?

Io me lo chiedo e anche tu, stremata dal lavoro, con la tua camicia da notte di seta e il tuo carrè bombato, lo hai capito:

<<Ecce homo>>.

E, perché no, ecce America.

Fernanda: una vita d’avventura, una vita da pioniera.

Cerco i suoi tratti nei versi di Cesare Pavese, l’uomo che le spiegava Dante e la incantava negli anni Trenta, l’uomo che lei – negli anni Quaranta – rifiutava.

                               Così trasalisci tu pure

al sussulto del sangue. Tu muovi il capo

come intorno accadesse un prodigio d’aria

e il prodigio sei tu. C’è un sapore uguale

nei tuoi occhi.

Lo scrive Pavese ne L’estate, in Lavorare stanca, e ancora ne Il Notturno:

La collina è notturna, nel cielo chiaro. 

Vi s’inquadra il tuo capo, che muove appena 

e accompagna quel cielo. Sei come una nube 

intravista fra i rami. Ti ride negli occhi 

la stranezza di un cielo che non è il tuo.

[…]

Tu non sei che una nube dolcissima, bianca 

impigliata una notte fra i rami antichi.

Frugo nella tua vita, Fernanda, e spero che tu mi possa perdonare.

Clemente ti ricorda decisa e severa, mi racconta che la tua indagine non faceva sconti alla letteratura italiana: fantasmagorica, psicologica ma priva di affondi nella vita reale.

Ritenevi che gli scrittori italiani si fossero limitati a sostituire all’ipotassi la paratassi ma che, in fin dei conti, non avevano migliorato il panorama letterario il quale continuava ad essere ripetitivo e barocco.

In realtà, Fernanda, pubblicare romanzi è sempre più difficile. Lo sai anche tu, hai dovuto lottare per portare la Beat Generation in Italia. Sai cosa penso? I tempi sono maturi per qualche beatnik europeo: in un’Europa in cui non ci si può muovere, girare in autostop con un sacco a pelo in spalla sarebbe la più grande ribellione. 

Perché, come ti ha detto Kerouac, in autostop si conosce la gente.

Il bisogno di comunicare degli anni Cinquanta è stato sostituito col distanziamento sociale: da due anni i bambini giocano al parco con la mascherina. 

Si ha paura di morire, come se la Morte temesse lo scudo fragile di una mascherina!

Cosa ne penserebbe Neal Cassidy? Quel Neal che già si stupì di te:

<<Tu non bevi, non fumi, non ti droghi; perché mi hai voluto conoscere?>>  e tu rispondevi che volevi conoscere l’energia vitale che scorreva nelle vene di Kerouac.

Tu definisci Kerouac il genio assoluto e disperato, l’uomo che chiede a Dio di mostrargli un luogo. 

<<Era bellissimo: gli occhi blu dipinti di blu e il volto da pittura del ‘300>>.

Racconti le sue tribolazioni, la fatica di pubblicare On the road, romanzo in cui la geografia d’America diviene poesia e la poesia jazz:

È il mondo troppo grande che ci sovrasta, è l’addio. Ma intanto, ci si proietta in avanti verso una nuova, folle avventura sotto il cielo. Perché ci sono troppe cose che mi piacciono e mi confondo e mi perdo a correre da una stella cadente all’altra fino allo sfinimento.

Il conflitto nucleare che temevano i beatnik non c’è stato, la guerra fredda è finita. Tu l’hai vista finire in un muro in frantumi.

Quella guerra fredda.

Ora ce n’è un’altra che vede sulla scacchiera Usa, Russia e Cina.

E in Europa, nella tua Europa che annaspa a fatica, il potere è in mano a organismi transnazionali non europei, e per questo è così difficile combattere:

i nazisti, i fascisti erano di carne ed ossa, qui l’usurpatore è invisibile.

Ci sarà una nuova guerra? Che tipo di guerra? Manca il gas e le centrali a carbone producono energia elettrica.

<<Non si può combattere contro la Russia d’inverno>> ha detto il nostro premier ma i carri armati sono già in Ucraina.

Giulio Casale ti ha raccontata in uno spettacolo dal titolo bellissimo: La canzone di Nanda. 

L’ho guardato e l’ho riguardato con curiosità e con tristezza: Dylan, Tenco e De André sono stati spazzati via da rapper che inneggiano alle Jordan! Vivo in periferia, te l’ho detto, e la più grande ambizione di un giovane è far soldi per ricoprirsi di outfit costosi.

I rapper che mostrano scintillanti denti d’oro sono cattivi ma non sono ribelli: sono drammaticamente allineati e sparano minchiate.

Noi del G8 abbiamo perso: loro vogliono le Jordan e le vogliono anche i miei figli ormai reificati.

Ha vinto il consumismo, non ha vinto la Beat.

Il Sistema ha educato e il Sistema è amato e acclamato. 

E’ rimasto l’amore?

Alessandra Giordano

Sandro, Benito, Pier Paolo: riscuote il banco neoliberista, come in ogni gioco d’azzardo

La fiamma tricolore di Fratelli d’Italia insieme al garofano rosso del Partito Socialista Italiano: non ha vinto Mussolini ma neppure Pertini alla fine.

Del resto è stato chiaro fin da subito: gli Americani consentivano la sfilata delle bandiere rosse mentre firmavano patti con i grandi industriali, la mafia, la politica.

Per questo è stato ucciso Pier Paolo Pasolini, questa è l’interpretazione che viene data da Rosa Johanna Pintus e Marco Bracco nei testi scritti e drammatizzati per il 15 giugno presso l’Aula Magna del Dipartimento di Scienze Politiche durante una performance organizzata da Hermes Movie per il centenario della nascita di Pasolini.

Simone Grande e Christian Adorno Bard interpretano Pino Pelosi e Pier Paolo Pasolini- Foto Nazar Fedunyk

Così inizia Fabula, la performance portata in scena da Hermes Movie, con una lettera a Laura Betti, interpretata da una bravissima Antonella Rebisso:

Cara Laura, sono tornato. Come sta andando il film nella
terra del socialismo reale? Mi sembra di vederti. Quanto ti
lamenti per il cibo uguale per tutti? Amore mio, sei
perdonata! Spero di vederti presto, sto scrivendo un nuovo
film, un attacco al capo dello Stato, anche lui colluso con i
poteri, con la borghesia, sta sacrificando l’Italia al migliore offerente…

Fabula, Rosa J. Pintus-Marco Bracco

E la condanna è ancora più forte in quel monologo di Pasolini

in cui la Pintus ha picchiato duro buttandoci dentro tutta la sua esperienza nella periferia e tutta la sua rabbia per un Italia che non riconosce più come sua.

Christian Adorno Bard

Una rabbia che non poteva non essere invasiva e che l’ha resa in qualche modo

la naturale erede di Pasolini benché lei non lo volesse.

Marco Bracco

Claudio Patanè, compositore e chitarrista, è il commento musicale di Fabula-Foto Nazar Fedunyk

Di nuovo, come in Avanti Avanti!, abbiamo in scena il coro perché il rapporto con la tragedia greca non è mai stato reciso né da Pasolini né dalla Pintus ed è Remo Viazzi, professore di greco prima del Liceo Mazzini e ora del Liceo Classico D’Oria, a raccontare le suggestioni e le connessioni che si creano sulla scena.

Rosa Johanna Pintus, Marco Bracco, Remo Viazzi

La performance è forte nel linguaggio, spietata nelle parole. Nella società Lgbt Pasolini crea ancora imbarazzo, fastidio, anche se probabilmente si sarebbe cercata un’altra scusa per farlo fuori.

Coi decreti delegati la Scuola è morta, si è sparata un colpo
in bocca e non lo sa. Bisogna essere buoni (ride), fingere il figlio dell’operaio uguale al figlio dell’avvocato! Li portiamo a teatro, in un bel teatro borghese ove le nore si autodeterminano e non sono più bamboline di mariti e di papà:le nore borghesi ovviamente, le altre a fare le puttane per aver l’ultimo blue jeans! Ma dico! Ci siete mai stati tra i casermoni popolari ove il tempo scorre lento nelle piazze e nessuno lavora? Due birre, una canna, una donna e si è felici se non ci si ammazza per quella donna: a volte la si condivide mentre gli occhi osservano il sole che danza.

Christian Adorno Bard è il Pasolini di R.J.Pintus-Foto Nazar Fedunyk

E i
ragazzi di vita non è che siano meno maschi perché danno il
culo. Quello è un lavoro, che c’entra! Poi coi soldi ti
riempiono la ragazza di gioielli e collant.

Fabula, R.J.Pintus e Marco Bracco

Pasolini, ed è chiaro, e Avanti Avanti!

Giovanni Capano è l’Edipo di Pasolini (Christian Adorno Bard) in Affabulazione-Foto Nazar Fedunyk

Quale relazione c’è tra Sandro, Benito, Nino, Marcello e Pier Paolo? La sceneggiatrice di Hermes Movie ce lo spiega citando l’Auryn de La storia infinita:

tutto ciò che scrivo accade, tutto ciò che accade io lo scrivo.

R.J. Pintus cita M.Ende

La spiegazione più prosaica, più puntuale e meno onirica arriva dal regista Marco Bracco che, commentando anche i nuovi risultati elettorali, afferma:

Riuscireste voi a distinguere le parole di Mussolini da quelle di Pertini se io non vi rivelassi l’autore? La politica è un’arte difficilissima tra le difficili perché lavora la materia inafferrabile, più oscillante, più incerta. La politica lavora sullo spirito degli uomini, che è un’entità assai difficile a definirsi, perché è mutevole. Questo è Mussolini e aggiunge: “Mutevolissimo è lo spirito degli italiani. Quando io non sarò più, sono sicuro che gli storici e gli psicologi si chiederanno come un uomo abbia potuto trascinarsi dietro per vent’anni un popolo come l’italiano. Se non avessi fatto altro basterebbe questo capolavoro per non essere seppellito nell’oblio. Altri forse potrà dominare col ferro e col fuoco, non col consenso come ho fatto io. La mia dittatura è stata assai più lieve che non certe democrazie in cui imperano le plutocrazie”.

Marco Bracco

Le parole di Mussolini appaiono modernissime oggi in un sistema in cui il Deep State decide tutto e sostituisce alla giustizia delle democrazie l’efficienza di uno Stato-azienda di cui Monti prima e Draghi adesso sono i perfetti esecutori.

E Pertini? Colloca anche il Patto Atlantico, strumento di dominio economico poiché la guerra genera guerra. Pertini lo sapeva ed era contrario al guinzaglio di una Nato liberista che avrebbe, prima o poi, minato il miracolo socialista in Italia:

Noi siamo contro questo Patto Atlantico dato che esso è in funzione antisovietica. Perché non dimentichiamo, infatti, come invece dimenticano i vostri padroni di oltre Oceano, quello che l’Unione Sovietica ha fatto durante l’ultima guerra. Essa è la Nazione che ha pagato il più alto prezzo di sangue. Senza il suo sforzo eroico le Potenze occidentali non sarebbero riuscite da sole a liberare l’Europa dalla dittatura nazifascista.

Sandro Pertini

Dunque tutto quello che Pasolini ha scritto e filmato, ciò che lo ha condotto a morte proprio mentre progettava un artistico J’accuse che denudasse i giochi della politica di un’Italia colonia d’altri, sta avvenendo e oggi partiti opposti siedono senza pudore al medesimo tavolo fingendosi nemici.

Ci si chiede quale sia il potere decisionale di codesti partiti e, ormai, di gran parte dei giornalisti: le ultime imprese della nostra gloriosa repubblica sono semplicemente agghiaccianti: trattamenti sanitari obbligatori, propaganda e invio di armi.

Sanzioni antieuropee come l’uomo che si taglia i gioielli per far dispetto alla moglie: il rublo sale e l’euro scende.

Antonella Rebisso interpreta un’affranta Laura Betti

Fascisti? Il fascismo attuale è il vero mostro; i valori borghesi, quelli da combattere sempre, importati dai Liberatori con la cioccolata! Valori molto diversi e distanti dal regime mussoliniano ma molto più
adatti a uccidere gli animi. E allora io faccio i film. Perché? Perché ne ho bisogno. Facendo i film esprimo me stesso, o li faccio o mi suicido. Perché voi avete degenerato il sistema educativo in nome di un’uguaglianza che non c’è, che è gratitudine, sudditanza. Mi chiedete come possiamo allontanare il rischio e il pericolo prodotti da questa società. Si è fatto tardi, magari lasciatemi le domande, mi
serve un po’ di tempo per ragionarci. Come sapete per me è più facile scrivere che parlare.

Fabula, Rosa J. Pintus e Marco Bracco

In Avanti Avanti! Rosa Johanna Pintus e Marco Bracco raccontano i comuni ideali di Socialismo e Fascismo e le loro necessarie e drammatiche differenze ma, soprattutto, la storia di un Paese che si è illuso di una possibile liberazione e che oggi si trova a fare i conti con il suo status di colonia che deve riverire il padrone mentre l’unica forza, la nostra Italia, la deve trovare in se stessa.

Alessandra Giordano

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‘sti vecchi scorreggioni da Squid Game

Un maledetto gioco ai soldatini, anzi peggio: c’è la perversa logica di Squid Game nella guerra in Ucraina. Vecchi nostalgici della guerra fredda, annoiati dal potere, desiderosi di essere padroni del tutto sotto l’egida del neoliberalismo e dell’imperialismo ad ogni costo. Un tutto che non basta mai e che provoca stomaci vuoti nonostante un nutrirsi continuo.

Sperimentato il quasi totale assoggettamento di un mondo acritico grazie all’horror Covid, il Nuovo Ordine Mondiale si accorge che, se le industrie farmaceutiche hanno guadagnato molto, con il lockdown le guerre sono passate in secondo piano e i fabbricanti d’armi hanno smesso di guadagnare; peccato che anche loro abbiano sponsorizzato l’insediarsi di determinati governi e che qualche regalia vada pur concessa: bellum gerendum est! E Biden ci prova con tutte le sue forze. Non ci ha mai creduto lui che la guerra fredda sia finita e che le armi vadano utilizzate soltanto in Paesi del terzo mondo: la vecchia Europa, con l’addio della Merkel, sta perdendo colpi e Putin è stato cucinato al punto giusto dalle provocazioni del Deep State. Sorride Biden senza neppure rendersi conto di essere pure lui un burattino, forse il capo dei burattini, ma di certo non il presidente del mondo: non è l’artefice della rivolta in Ucraina, della strage di Odessa, del massacro del Donbass ma si è trovato la pappa fatta e ha pensato che il nazismo fosse preferibile a un eventuale comunismo russo-cinese.

La Nato appoggia spudoratamente a forze eversive di destra che tengono in vita Zelen’sky, lontane dal nazismo quanto Hitler quando decise di lasciar partecipare alle Olimpiadi Helen Mayer. Il lupo perde il pelo ma non il vizio e non oso neppure pensare quale fine sia destinata al presidente in caso di sconfitta.

Ma vediamo i Russi. Tutti sappiamo chi è Putin ed è facile pensare che abbia ritenuto in un primo tempo di denazificare l’Ucraina nella stessa maniera in cui ha cercato di ripulire la Cecenia.

Giudice militare – Perché lo hai ucciso?

Soldato – Non lo so.

G.M- Perché gli hai tagliato le orecchie?/

S- Non lo so.

G.M- Perché gli hai fatto lo scalpo?

S- E’ un ceceno.

Gm- Capisco.

Zacitzska, Alessandra Giordano

Attualmente accadono cose inimmaginabili di cui i media non fanno menzione perché sono presenti anche in Russia battaglioni neonazisti nostalgici dell’alleanza tra Hitler e Stalin. Basta cercare le notizie e non limitarsi a bere acriticamente la propaganda amica o nemica secondo la nostra personale posizione politica.

Il nazionalbolscevismo è stato reimmaginato in Russia da Aleksandr Dugin e Eduard Limonov come un rinnovato sincretismo fra nazismo e comunismo, finendo comunque per inserirsi nel frammentato mondo dell’ultranazionalismo di destra e del neofascismo e alimentare ulteriori formazioni paramilitari come le Interbrigate.

Patria Indipendente

Battaglione Azov da un lato e Battaglione Sparta dall’altro correi di portare avanti, i primi in maniera consapevole poiché da loro armati e gli altri in modo inconsapevole, gli interessi degli Americani contro l’Europa tutta.

E l’Europa? I leader, in particolare il non uomo italiano che detiene il nostro Governo, scodinzola in attesa delle crocchette Nato: Russia delenda est, sostiene, e si sente il novello Catone.

I leader e i giornalisti che animano i nostri talk show non sono diversi dai vecchi che, per mero divertimento, osservano mascherati e lepeghi, il gioco al massacro di Squid Game.

Intanto l’Ucraina muore e la pietà tace.

Alessandra Giordano

Caro Zelen’sky, di Che Guevara ce n’è uno e lo hanno fatto fuori.

Caro Zelen’sky,

pur non essendo filorussa, non cado nel tuo inganno mediatico. Probabilmente hai confuso l’Ucraina per un set televisivo ma i tuoi attori stanno morendo come in Squid Game.

Stai condannando da tempo i figli della tua terra ad essere orfani, figli già condannati una volta da Chernobyl ma, evidentemente, per l’Ucraina non ci può essere pace.

Ora appari agli occhi del popolo come esempio di resistenza ma dov’eri quando le tue donne, bionde e belle, quindi ancor più a rischio, abbandonavano il loro Paese, la loro famiglia, la loro lingua?

Tu non c’eri pur essendoci e, anzi, alcune mie studentesse ucraine, mi dicevano che nel granaio di Europa la corruzione mieteva più vittime del nucleare e che i Russi erano comunque migliori degli Americani anche se…

Putin è di fatto uno zar.

Altre invece sostenevano la tesi opposta: meglio gli Usa. Meglio gli Usa fino agli attuali decreti che hanno trasformato l’Italia, zerbino d’America, in una non democrazia.

Ma neppure l’Ucraina è una democrazia- mi dicevano quando si manifestava insieme contro il Green Pass- c’è tanto orrore in Ucraina, meglio qui senza alcun diritto.

Dov’eri allora, Zelen’sky? So dove sei adesso: in continua tournée mentre il tuo popolo muore. Ti segue ma muore mentre tu ti atteggi a Che Guevara e non lo sei.

E proprio perché sei seguito, sei adorato, sei osannato ti devi fermare e devi fermare il massacro.

Invece non vuoi. Ma essere il volto affascinante degli Americani è un’arma a doppio taglio e quindi, per conto mio, dovresti smetterla di giocare a Risiko e salvare la tua gente, quanto prima.

Salvare tu quell’Europa da cui adesso esigi aiuto.

Perché la Storia ce la dobbiamo scrivere da noi e non farla scrivere da due superpotenze che non hanno più senso e paiono due vecchi di insensate brame.

Quando l'arte racconta la violenza contro le donne

Lascia il Donbass, lascia la Crimea: vivi e lascia vivere.

Alessandra Giordano

Officina Iblea: un agriturismo in Via di San Bernardo

-La donna è forza, costanza, audacia e non solo fragilità-, penso a questo mentre vengo trasportata dalla voce di Antonietta Caldarera, ragusana a Genova.

L’accento è siciliano ed è, di per sé, garante dei cibi che vengono proposti nel suo ristorante, Officina Iblea ma, ci tiene a precisare, non basta questo a convincere i clienti:

Mi sono trovata nella paradossale situazione di crearmi una clientela siciliana grazie ai genovesi.

In che senso?

Eh, nel senso che sono stati proprio i Genovesi a portarmi i Siciliani perché i Siciliani si fidano poco dei locali che dichiarano origini isolane ma poi in realtà deludono nei sapori.

La clientela, medio-alta, formata da avvocati, procuratori, imprenditori ma anche artisti, registi, attori, non è selezionata in base ai prezzi, assolutamente accessibili considerato che l’arancina costa un paio di euro, ma in base alla cultura:

La mia cucina utilizza prodotti biologici e rigorosamente siciliani: mi servo dalla Cantina Maggio Vini o da Pettineco Bio. Parlo direttamente con i produttori nelle mie vacanze in Sicilia.

Vacanze…quindi in realtà Lei lavora anche quando è in ferie.

Non esistono ferie quando si è titolari di un’attività perché in qualche modo tu sei l’attività stessa.

La vita è questione di scelte, dice, l’importante è non far mai il passo più lungo della gamba.

Giovanni Capano, Christian Adorno Bard e Simone Grande, attori del film Avanti, Avanti! in una cena sponsorizzata da Officina Iblea.

Io non ero nessuno. Ho avuto la fortuna di essere scelta come cuoca al Club Rotari pur non avendo un curriculum, stupendoli semplicemente con la mia abilità culinaria appresa -invero- soprattutto dai nonni paterni. La fortuna però ti sorride una volta nella vita, non ci si può basare su di questa che poi, chi lo sa, ti tradisce; così ho sentito la necessità di costruirmi un curriculum e, dopo essere stata cuoca, mi sono adattata a fare la lavapiatti, la cameriera, l’aiutocuoco.

Ho imparato cosa significhi lavorare sotto padrone, cosa chiedere ai dipendenti.

L’esperienza più emozionante, per Antonietta, è stata la gestione di un agriturismo:

Lì ho capito che cosa davvero volevo dalla vita: la dimensione dell’agriturismo è avvolgente, quella del ristorante invece non mi appartiene.

Eppure Lei si è aperta un ristorante.

Io lo ritengo un agriturismo cittadino in un posto che amo immensamente: il Centro Storico.

Perché?

Perché la dimensione è umana e io mi sento a casa.

Officina Iblea si trova in Via di San Bernardo, si entra e si assapora la Sicilia a partire dall’arredamento e dalle ceramiche scelte: l’odore è quello del cibo vero, del pane cotto su pietra, delle tagliatelle tagliate al momento, delle padelle portate in tavola col cibo caldo. C’è poi il sorriso di una bocca a cuore e il cipiglio manageriale che traspare dalle lenti degli occhiali, una cascata di riccioli che ricorda che la vita è un insieme di sapori buoni.

I suoi ravioloni con la ricotta fresca richiamano qualche attenzione, così come i cavatieddi e il pane cunzato. Un giorno entrano nel locale, in incognito, degli ospiti particolari: assaggiano tutto e pagano; in breve ad Antonietta viene recapitata una targa: quella dell’Eccellenza Italiana del Made in Italy che viene riconfermata l’anno dopo.

Antonietta Caldarera

Noi dell’Hermes Movie invece, nel nostro piccolo, abbiamo pensato di considerarla la donna di questo Marzo 2022 perché, per la tenacia in un mondo che crolla, ci ricorda Malena, la protagonista di Avanti, Avanti!

Antonietta ha deciso di aprire il primo locale quando si è ritrovata con due figli piccoli da crescere e nessun aiuto intorno, il primo passo è stato quindi l’apertura di una rosticceria siciliana il più possibile compatibile con l’organizzazione familiare. Poi arriva l’occasione: la disponibilità di un locale più grande, lì vicino.

Antonietta decide di fare da sé: non chiede aiuti alla Regione pur potendo accedere ai fondi per l’imprenditoria femminile e, visto che si tratta di un nuovo locale, investe nelle licenze.

Così io durante il lockdown ho avuto la mia zattera con le provviste necessarie: ho rinunciato al di più, non all’essenziale, e ho resistito grazie alla licenza come negozio alimentare. Perché la vita va pianificata bene, non ci si affida al caso che muta. All’aiuto di Dio sì, e forse aveva questo progetto su di me.

Alessandra Giordano