La Tunisia, geostoria-didattica ai tempi del Coronavirus

cartina Tunisia

Buongiorno cari, oggi vi propongo, nell’ambito della geostoria, la Tunisia. Potete visualizzare la lezione su Edmodo, su Epub editor o qui ma, se il blog è più pratico per usufruire dei link, su Epub editor la lezione è semplificata grazie all’utilizzo dei colori (che qui non restano).

Ti conviene intanto ripassare questa lezione su Roma.

Abbiamo già affrontato l’argomento in classe, dunque considerate questo un ripasso.

Vi ricordate Didone ed Enea? Ne parlammo in relazione ai destini dei Troiani.

All’ epoca vi raccontai la relazione tra Didone ed Enea. Abbiamo visto che, secondo il mito, i rapporti tra Roma e la Tunisia, in particolare con Cartagine,non sono nati sotto una buona stella. Come abbiamo ricordato, secondo gli antichi, causa di tanto strazio fu proprio quella storia d’amore, tra la regina Didone, pia vedova, e il profugo Enea, un “mascalzone” che fuggiva da Troia, città incendiata dai Greci.

Evidentemente la rotta Turchia (ove si trovava Troia)-Tunisia (ove si trovava Cartagine) e Italia (ove si trovava Roma) era già praticata; forse non si attraversava il Sahel, perché l’Africa da cui molti di voi provengono non era conosciuta (hic sunt leones, dicevano i Romani).

Didone era, dicevamo, vedova e regina: una donna con tanto potere, troppo per l’epoca. Aveva capito che, l’unico modo per mantenere il regno, era quello di non sposarsi di nuovo.

Che poi amasse o no il defunto e compianto marito, tale Sicheo, poco ci importa.

Di fatto, quando vede Enea scendere dalla nave, è amore a prima vista.

Enea piaceva a tutte, la scrittrice Christa Wolf pensa che avesse addirittura una relazione con la sacerdotessa Cassandra (le sacerdotesse erano delle bellissime suore dell’epoca, non potevano avere fidanzati).

ATTENZIONE: sto usando il congiuntivo perché esprimo OPINIONI, non certezze.

Anche Enea rimane turbato da Didone: si guardano, si cercano, restano soli, scoppia un temporale, c’è una grotta e…lo fanno! “Lo fanno”, sapete meglio di me che cosa intendo.

Ma poi arriva Venere, dea della bellezza e madre di Enea, la suocera che nessuna donna vorrebbe mai avere.

Ed Enea ascolta la madre, non Didone. Parte perché il destino ha in serbo grandi cose per lui ma Didone, abbandonata, si uccide.

Molti anni dopo i nodi tornano al pettine: i discendenti di Enea, in particolare Romolo, ha già fondato Roma da tempo.

Tra i discendenti di Enea e i discendenti di Didone scoppiano le famose guerre puniche.

Se avete guardato il video che vi ho proposto e che ho scelto perché la docente Lorena è molto brava e chiara, ora potete leggere una delle pagine più toccanti della storia.

Vi ho già presentato Tucidide, Plinio il Giovane, Tacito e adesso ecco Polibio. Lo leggiamo perché scrive bene e perché voi dovete imparare a scrivere e a riconoscere la grammatica italiana (in realtà lui scriveva in greco, questa è una traduzione!).

In questo dialogo i protagonisti sono Annibale Barca, generale cartaginese, e Scipione l’Africano che era un generale romano detto Africano per le sue imprese in Africa.

ATTENZIONE: è un brano da livello B2/C1

Devi conoscere:

il periodo ipotetico

l’uso del gerundio

l’uso del participio passato

Polibio. Per la lettura semplificata e colorata vai qui.

L’indomani entrambi i comandanti uscirono dal loro accampamento con un gruppo di soldati; quindi, lasciati anche questi (guarda: il participio passato da solo!! Senza ausiliare!)si incontrarono a mezza strada, ciascuno con un interprete. Annibale, porgendo (mentre porge, porgere>dare) per primo la destra a Scipione, iniziò a parlare dicendo (e dice)che la cosa migliore sarebbe stata (condizionale passato che indica l’ impossibilità di tornare indietro, è UN PERIODO IPOTETICO) che i Romani non avessero mai aspirato (congiuntivo trapassato) ai territori fuori d’Italia, né i Cartaginesi a quelli fuori dell’Africa: i domini di entrambi sarebbero infatti stati ad ogni modo abbastanza vasti e circoscritti dalla natura stessa. «Ma poiché invece venimmo a contesa prima per il possesso della Sicilia, poi per quello della Spagna e infine, non sufficientemente provati dalla fortuna, siamo arrivati a tal punto che voi in passato e noi proprio ora corriamo pericolo per la salvezza stessa della patria, per salvarci dobbiamo smettere di combattere. Io sono pronto, perché ho imparato per esperienza personale come la fortuna sia mutevole e favorisca ora l’uno ora l’altro, trattando gli uomini come bambini. Temo però che tu (è un periodo lungo e rischi di perderti, segui le parole in verde), o Scipione, sia perché sei ancora troppo giovane, sia perché ogni cosa ti è andata secondo i tuoi piani, tanto in Spagna quanto in Africa, e non hai ancora subito alcun rovescio della fortuna, non ti lascerai convincere dalle mie parole, per quanto degno di fede. Considera (2 persona modo imperativo)pertanto, in base a quanto io ora ti dirò, quale sia il corso delle vicende umane: non ricorrerò a esempi del passato ma a fatti dei nostri giorni; ora mi trovo in Africa, ridotto a trattare con te che sei Romano, della salvezza mia e dei Cartaginesi. Ti esorto dunque a considerare tutto questo e a non insuperbire, ma a provvedere da uomo nelle presenti circostanze: cioè a scegliere sempre fra i beni il maggiore, fra i mali il minore. Chi, essendo avveduto, vorrebbe affrontare un pericolo quale quello che ora ti sovrasta? Se sarai vincitore in questa battaglia non potrai accrescere di molto la tua fama, né quella della tua patria; se sarai vinto distruggerai il frutto di tutte le tue nobili e splendide imprese compiute. >> Scipione rispose: «Come tu, o Annibale, sai benissimo, non furono i Romani a dar inizio alla guerra per la Sicilia e la Spagna ma i Cartaginesi! Anche gli dèi lo attestano, avendo concesso la vittoria non a coloro che hanno dato inizio alle ostilità, ma a chi ha combattuto per difendersi. Io considero più di ogni altro il mutare della fortuna e tengo conto per quanto è possibile della condizione umana. Se prima che i Romani passassero (congiuntivo imperfetto PROTASI PERIODO IPOTETICO)in Africa tu ti fossi spontaneamente allontanato (PROTASI PERIODO IPOTETICO) dall’Italia avendo offerto queste condizioni di pace, le tue richieste sarebbero state senz’altro soddisfatte!(APODOSI PERIODO IPOTETICO ).Ma tu te ne sei andato dall’Italia contro tua volontà, mentre noi, passati in Africa, siamo vincitori sul campo (cioè, le cose sono davvero mutate!).

Esercizio sul congiuntivo

Esercizio sul condizionale

Soprattutto poi eravamo già scesi (e NON eravamo scesi già/già eravamo scesi)a patti: i tuoi concittadini ce ne (ci avevano supplicati di questi)avevano supplicati dopo essere stati sconfitti e noi avanzammo proposte nelle quali(pronome relativo declinabile), oltre a ciò (pronome dimostrativo) che tu offri ora, era scritto che i Cartaginesi restituissero i prigionieri senza riscatto, rinunciassero alle navi da guerra, pagassero cinquemila talenti d’indennizzo e consegnassero (il congiuntivo in questo caso riporta una sorta di discorso indiretto)degli ostaggi a garanzia dei patti. Dopo aver stipulato questi accordi, inviammo ambasciatori al Senato e al popolo, noi per dichiarare il nostro assenso alle condizioni siglate, i Cartaginesi per implorare che esse fossero ratificate. Il Senato acconsentì, il popolo accettò le condizioni; i Cartaginesi dopo aver ottenuto (può diventare un gerundio?)quanto avevano richiesto, violarono i patti e ci tradirono. Che cosa ci resta da fare? Mettiti nei miei panni e parla: dobbiamo togliere le più gravi condizioni imposte, affinché i Cartaginesi, premiati per la loro empietà, insegnino ai posteri a tradire sempre i benefattori o, avendo conseguito quanto ci chiedono, ce ne siano grati? Avendo ottenuto attraverso le suppliche ciò che domandavano, non appena poterono contare un poco su di te, subito ci hanno trattati da nemici. Stando così le cose, potremmo proporre al popolo una nuova tregua se aggiungeremo alle precedenti qualche clausola aggravante, ma se dobbiamo rendere più lievi i patti già stabiliti, non è neppure il caso di avanzar proposte. Dove voglio arrivare dunque? Dovete consegnarci a discrezione voi stessi e la vostra città, oppure dovrete vincerci sul campo!».

In questo brano ho evidenziato diverse parole, osservale bene per svolgere correttamente gli esercizi.

Quiz sui verbi

Indovina il modo

Questo celebre brano di Polibio dovrebbe ricordarti un altro brano famoso letto in classe, quello dei Meli e degli Ateniesi.

Metti in ordine i fatti

In un political show i due avversari avrebbero la possibilità di esporre così chiaramente le proprie idee o litigherebbero?

Bandiera della Tunisia

Ora vediamo da vicino la Tunisia: guarda qui la Tunisia.

La Tunisia si trova nel Maghreb. Il suo territorio si estende per circa 2/3 al di sotto dei 400 m s.l.m. anche se a nord vi sono alcuni rilievi che appartengono alla catena dell’Atlante.

A est e a sud i rilievi dell’Atlante si abbassano e formano quella regione collinare denominata Sahel .

A sud c’è un’ampia depressione occupata da bacini lacustri salmastri, i chot.

La costa settentrionale è compatta quindi non ci sono porti.

A est c’è la profonda insenatura del Golfo di Tunisi .

La costa orientale si sviluppa da nord a sud, davanti a questa ci sono piccole isole: Gerba e le isole dell’arcipelago Kerkenna.

Il clima della Tunisia settentrionale e centrale è subtropicale, di tipo mediterraneo: l’estate è calda e asciutta, l’inverno è mite fuorché nelle aree più elevate dell’Atlante; le precipitazioni, in prevalenza autunnoinvernali, non sono abbondanti, con forti differenze da un anno all’altro.

A sud il clima è tropicale, con temperature più elevate, soprattutto d’inverno, e piovosità scarsa e irregolare, fino a divenire, nell’estremità meridionale, un vero e proprio clima desertico, con precipitazioni pressoché nulle.

Una vera rete idrografica (fiumi e laghi) esiste solo nella Tunisia settentrionale perché lì ci piove. L’unico fiume importante è la Medjerda, che ha origine in Algeria .

Vi sono poi alcuni laghi costieri della costa settentrionale, e soprattutto gli stagni salmastri, di cui il maggiore è il Gerid.

La vegetazione non è abbondante e verso l’interno sfuma nella steppa e nel deserto.

Nel Tell settentrionale vi sono querce e alberi da sughero (in Italia li abbiamo solo in Sardegna).

Sulla costa sono comuni la palma nana e il lentisco.

La fauna tunisina è quella tipica nordafricana.

Per quanto riguarda la speranza di vita, alla nascita è di 75,7 anni, questo dato è misurato dall’ONU attraverso gli indicatori del reddito, della salute e dell’istruzione per cui la Tunisia si colloca al 95° posto della classifica mondiale (2008).

La situazione della donna è pessima: in base a un altro indice dell’ONU, quello relativo alla condizione femminile (GDI), la Tunisia si piazza al 122° posto peròla Tunisia, tra i paesi arabi, è quello che maggiormente ha investito risorse nella promozione dello status sociale delle donne, fin dagli anni 1950. Tra l’altro, è stato il primo paese arabo che ha messo fuorilegge la poligamia.

La Tunisia è una repubblica presidenziale.

Le città principali sono Tunisi, che è la capitale, Sfax, Nabeul , Ben Arous, Monastir e Sousse.

Le parole della Tunisia, gioco didattico.


Studio su Baccanti, un mito che turba-PoliticaCultura


Perché riprendere un vecchio studio su Baccanti? Mi direte che, sicuramente c’è un fine politico. Why not? La cultura è di per sé politica, non bisogna dimenticarlo in questo periodo di barbarie ed Euripide ha sempre qualcosa da dire.

Ma non è solo questo, è più un bisogno di guardare il bello e il tremendo che, talvolta, coincidono.

Non mi basterà un articolo, questo è il punto di partenza che potrebbe servire a qualche curioso, a qualche maturando.

MANIA E MENADI

Diodoro scrive che in molti stati greci alcune congregazioni di
donne si riunivano ad anni alterni: erano le menadi. In quelle occasioni le
fanciulle nubili potevano portare il tirso e partecipare all’invasamento
delle donne più anziane.

Tali feste erano dette trieteridee perché avevano una scadenza biennale; si tenevano a Tebe, Opunte, Melo,Pergamo e persino a Creta . Esse contemplavano nel rituale orge femminili oreibasìe, cioè danze notturne sui monti a metà dell’inverno.
Il motivo di queste manifestazioni risulta incomprensibile per la
razionalità umana: molte popolazioni ballano per far crescere le messi
ma le loro danze si svolgono di giorno, non di notte, e di primavera,
non d’inverno .
I tardi autori greci ritenevano che queste danze avessero un
carattere commemorativo: le donne avrebbero imitato le menadi che
accompagnavano il dio nei tempi antichi.
Tuttavia, siccome prima della commemorazione ci vuole l’azione
effettiva, deve esservi stato un tempo in cui le menadi assumevano
realmente per poche ore del giorno, le caratteristiche implicite nel loro
nome.

Risultati immagini per la menade danzante

Manìa significa infatti follia, alterazione di coscienza.
La natura di quest’evento non è affatto chiara nel caso della Grecia;
se si osservano anche altre civiltà, ci si accorge dell’esistenza di
persone che trovano nella danza rituale un’esperienza religiosa più
soddisfacente e convincente di qualsiasi altra .

Esiste, al riguardo, anche un detto musulmano “Chi conosce la potenza della danza dimora in Dio” che conferma la funzione rituale dell’esercizio
muscolare.

INSOLENZA E FUOCO

L’insolenza delle Baccanti divampa come un fuoco, questa è una
vergogna di fronte ai Greci

Baccanti v.779
La danza è dunque contagiosa, si balla fino a cadere per
esaurimento.

Utile, per capirne la potenza è l’analisi della parodos delle Baccanti:

Beata la Baccante quando cade a terra sui monti, perché danza
sfrenatamente dal tiaso , indossano la pelle di una cerbiatta sacra,
mentre è in caccia del sangue del capro da uccidere, delizia del pasto
crudo, e si lancia su per i monti di Frigia, di Lidia, perché Bromio
intona il canto: evoè.


I versi, non facili, danno notizie su alcuni aspetti del culto menadico:
edùs è l’aggettivo apre l’ultima parte della parodos con una
suggestione di polisemie: il baccante può essere bello, dolce, felice.

Il termine può inoltre riferirsi a quattro soggetti: il baccante, la menade,
il sacerdote o addirittura il dio.
Pese pedose: l’espressione indica il compimento dell’estasi che si realizza
nell’uscire fuori di sé e nel lasciarsi cadere a terra; vi è poi una serie di parole che indica i capri uccisi:la carne divorata cruda è tipica del culto dionisiaco.
La tecnica espressiva di Euripide raggiunge qui uno dei momenti di
massima tensione interpretativa: le parole
chiave sono sottolineate ed esaltate dalla collocazione nel verso e nell’andamento musicale lirico .

I MOTIVI
La parodos riprende in chiave di preghiera i motivi del prologo, ma li
sviluppa secondo due linee prevalenti: una rituale, l’altra mitica.

La prima illustra la conseguenza della beatitudine per chi ha imparato a
vivere fino in fondo i riti del dio.
Questa linea si conclude con l’epodo in cui è illustrato il rituale
dionisiaco; la seconda recupera la profondità storica del mito: Frigia e Creta, Cibele e Rea,Coribanti e Cureti costituiscono le tre coppie di un mito che si dilata nello spazio e si precisa nella liturgia.
L’epodo è la sezione più ispirata sul piano stilistico: il deinon della
religione dionisiaca nella sua forza di creazione e distruzione, di vita e
morte, di ordine e caos, attraverso il movimento, la danza, la
particolare musica che sconvolge per il rumore e affascina con la
melodia.

LA FORZA ESPRESSIVA
Potenti sono le suggestioni visive e uditive, degne di una ripresa
cinematografica: si passa dai monti ai dettagli, il tirso, il grido, la
chioma gettata all’indietro in un selvaggio gesto di liberazione.
Alla resa stilistica erano correlate in larga misura la danza e la musica.
Le danze menadiche, di chiara derivazione asiatica, sono del tutto
differenti dalla sobria gestualità classica: eseguite per la maggior parte
da donne, esse richiamano gli antichi riti della fertilità; nel caso delle
Baccanti, queste danze, dovettero raggiungere un certo livello di provocazione agli occhi del pubblico.

LA DANZA

Gli slanci, i salti, i tour erano già presenti in altre tragedie di Euripide, ma Cassandra nelle Troiane eseguiva il suo folle imeneo per evidenziare una follia individuale. In Baccanti, o meglio, nel rito menadico, il danzatore annienta qualsiasi elemento personale per fondersi fluidamente con gli altri iniziati .
Elemento innovativo è la musica: dai vv. 120-134 si deduce la
presenza di timpani e flauti:

Rifugio dei Cureti e grotte divine di Creta che deste i natali a Zeus,
dove i Coribanti dall’elmo tricuspide crearono da una pelle per me il
tondo strumento che io porto.

Vi è dunque un antro segreto; il termine, di derivazione poetica,
ha la stessa radice della parola talamo, per cui suggerisce un luogo
consacrato al connubio con il dio.
Ai vv. 126-129 continua la descrizione:

E nell’ebbrezza del rito mescolarono al melodioso respiro del flauto di
Frigia e lo posero in mano alla madre Rea, perché con ritmico colpo
accompagnasse il canto.

Si tratta dunque, anche per quanto riguarda la musica, della fusione
del rituale frigio con quello cretese, avvenuto in seguito
all’identificazione di Rea con Cibele.
Il flauto frigio era simile al moderno oboe e non al piffero .

IL FLAUTO

L’origine dell’aulos si perde nei secoli, e si attribuisce al leggendario
Pan.
Vi erano diverse categorie di auloi: quelle corrispondenti al flauto
diritto e al flauto traverso vennero denominati siringes, quelli ad ancia mantennero il nome di auloi. Questi ultimi potevano avere l’imboccatura singola o doppia.
L’invenzione dello strumento è attribuita al musico frigio Olimpo
(750-700a.C.).
Nelle Baccanti assumono rilievo due oggetti di scena: il tirso,
strumento di prodigiosa fecondità e distruzione, e il timpano, simbolo
di festa ma anche di trasgressione e violenza sacrificale. La poetica
dell’oggetto trova riscontro in diversi momenti del teatro di Euripide.
Se, infatti, nel suo teatro il mondo diventa irriconoscibile perché i
segni cambiano valenza, c’è lo sforzo di attaccarsi alle cose concrete
individuate con oggettività.
L’oggetto-feticcio è una presenza emblematica che non solo è
destinata ad incidersi nella mente dello spettatore, ma attorno alla
quale si condensa una ambivalenza simbolica.
La parodos delle Baccanti mostra l’isterismo domato e posto al
servizio della religione, ciò che invece avveniva sul Citerone era
isterismo allo stato puro, il pericoloso bacchismo che scende come un
castigo sulle persone oneste e rispettabili e le trascina contro la loro
volontà.

La punizione sta nel crollo improvviso della civiltà sommersa
da forze ancestrali.
Dioniso è presente in entrambi i tipi di isterismo, egli è al tempo
stesso causa e liberatore della pazzia.
Si ravvisano alcune somiglianze fra la religione orgiastica delle
Baccanti e la religione orgiastica di altri paesi, che dimostrano che la
figura della menade è reale.
La prima somiglianza riguarda i flauti e i timpani descritti nella
tragedia e raffigurati nelle pitture vascolari greche: gli strumenti,
ritenuti orgiastici per eccellenza, erano usati anche per i
contemporanei culti asiatici.

Il secondo punto riguarda il portamento
della testa durante l’estasi: il gesto è presente in ben tre punti di Baccanti
(vv. 150,241,930); lo si ritrova in Cassandra scuote la testa nell’ Ifigenia in Aulide (v.758) e lo stesso fa Lisistrata nell’omonima commedia ( v.1312).
L’atto non è una convenzione puramente greca, lo si ritrova anche
nella danza sacra dei divoratori di capre del Marocco .

La descrizione del menadismo non può spiegarsi solo in termini di
pura immaginazione, ma deve essere spiegata in termini di realtà
sociale .

Di fatto, già dall’epoca classica, si desume che l’incontro con culture altre spaventa.

Rosa Johanna Pintus



Medea, donna che uccide. L’infanticida è straniera e la Destra insorge.

Una Medea legata che danza Stravinsky, così- nel mese della dedicato alla donna- si aprirà il laboratorio La magia di Medea proposto da LIBRIDA. Attraverso una piccola performance visionaria e immediata, la conduttrice pone l’accento su due concetti cardine: l’essere donna e l’essere straniera. Tema, questo, affrontato già in Fedra e la fragilità lo scorso 25 febbraio.

Nel caso di Medea però le tinte sono molto più forti e il colore lo sceglie Euripide che, nel 431 a.C., con questa donna così sofoclea, mise a disagio i giudici. Alessandra Giordano allora setaccia e reinterpreta il mito: eternamente sospesa tra la cultura classica e la realtà della periferia più estrema, si trova a  rappresentare una Medea in carcere,  poco importa se sia colpevole o innocente. Il mito del resto non è generoso e ricorda questa donna per atti atroci: le si imputa l’uccisione del fratello Apsirto, la si cita come assassina dei figli; impossibile allora non pensare a quella Jessica e a quella Annamaria che hanno dipinto di rosso le cronache di vent’anni fa: delitti ancora poco chiari come poco chiara è la storia di questo personaggio.

Medea aiuta Giasone  a prendere il vello d’oro, come la cugina Arianna aiuta Teseo a uccidere il Minotauro.

Entrambe tradiscono il padre, entrambe si offrono a stranieri che poi le ripudiano.

In particolare Medea, come la zia Circe, prima di essere ammaliatrice è vittima d’amore: Giasone si serve di Medea ma non la ama, le riserva le attenzioni che si danno a una πολλακη, non a una moglie.

La ragion di stato è padrona dell’eroe greco -colpevole di omicidio quanto lei- che, smaltiti i giovanil furori, deve mettere la testa a posto: il re di Corinto (il solito Creonte) offre a Giasone sua figlia Creuza e l’eroe non rifiuta l’offerta.

Medea - Le Mura di Sana'AMedea non lo può accettare, non si fa da parte come avviene nel caso di Ermengarda quando Carlo Magno la ripudia.

Non si fa da parte perché non è addomesticata, è viva:

Quando una DONNA viene offesa nel suo letto, non c’è altra mente che sia più sanguinaria.

Medea, Euripide

Questi versi sono interessanti in quanto inaccettabili per la morale, ma se Euripide  avesse scritto:

quando un UOMO viene offeso nel suo letto, non c’è altra mente che sia più sanguinaria

nessuno si sarebbe scandalizzato: né gli antichi Greci né noi, ormai assuefatti a infanticidi compiuti per vendetta.

Per un Giasone infanticida ci sarebbero stati due articoletti di cronaca nera (si pensi a Eracle), per Medea circa duemilaquattrocento anni di discussione: è innaturale che una donna uccida i figli, non è innaturale che li uccida un uomo.

Il punto però è un altro: se Medea non avesse ucciso i suoi figli?

Sostiene questa tesi la tedesca Christa Wolf che va a ficcare il naso nel mito pre-euripideo.

La Medea di Christa Wolf è vittima di un complotto: privata dei figli, è accusata di averli uccisi.

Medea, prima della tragedia di Euripide, incarnava il dramma di una donna STRANIERA che non poteva essere accettata dalla civiltà di Corinto; consapevole dell’odio che i Corinzi provano verso di lei, Medea si rifugia con i figli presso il tempio di Era.

Non basta: i Corinzi arrivano a lapidare i figli di Medea in luogo sacro e questi muoiono.

E’ curioso come la Wolf non sia l’unica a recuperare l’antico mito di Medea; prima di lei lo fa Corrado Alvaro, scrittore calabrese antifascista.

La Medea di Alvaro si circonda di Amazzoni ma non è un’ Amazzone, è una donna innamorata. Creonte appare finto, robotico e spiega con voce affilata e tagliente le ragioni del suo ripudio:

Il popolo mormora, la gente vuol star tranquilla! E più s’aprono le vie del mondo, più la gente si chiude.

Giasone metta almeno al riparo i miei figli.

No, non c’è asilo per i figli di Medea nel mio regno, il popolo mormora: la loro presenza è impura.

La lunga notte di Medea, C.Alvaro

Per i figli questo significa esilio, perdita di diritti, morte certa.

Il fatto che Corrado Alvaro scrivesse queste cose nel 1949 fa rabbrividire: l’autore immaginava che l’Italia si sarebbe nuovamente affidata a una destra xenofoba?

Non lo sappiamo, sappiamo solo che gli artisti anticipano, con le loro opere, il futuro.

Lo spazio concesso dalla saletta, che ora ospita una collettiva sulla donna, è piuttosto intimo; è gradita la prenotazione su info@librida.it

Rosa Johanna Pintus 

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Optimates et Populares: roventi scandali e verità non dette

Se…in barba alla datazione storica

 

Se gli antichi Romani andassero alle urne il 4 marzo, non potendo scegliere tra optimates e populares, Catone il Censore voterebbe la Lega censurando ogni spinta europeista (già criticò l’ellenizzazione dirompente e la cultura)

I due Gracchi voterebbero per Liberi e Uguali mentre Mario, con l’appoggio dei Metelli, voterebbe forse la Meloni convinto che sia Roma a dover entrare in Africa e non viceversa.

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