Lo recita un inno apocrifo a Cristo del II secolo. Insindacabile, le fonti classiche sono autorevoli ma, aggiungo io, la danza è bellezza e armonia: anche quando si scomoda Dioniso.
Solo che per scomodare Dioniso occorre conoscerlo perché non è quell’omone blu.
E la forma più alta della danza greca era l’emmelèia, non il kòrdax!
Chi era Dioniso?
Dioniso era bellissimo e tremendamente vendicativo: sua madre Semele era stata uccisa da un inganno di Era, il feto venne nascosto da Zeus nella sua coscia e da lì nacque, desideroso di vendetta.
Una divinità terribile e priva di equilibrio interiore, il nostro Dioniso, che forse nella cerimonia olimpica non avrebbe dovuto essere evocata perché porta il caos, come in effetti ha fatto se consideriamo la pioggia, l’inquinamento della Senna, l’abbandono del Villaggio Olimpico perché Dioniso è distruzione.
Dioniso rivelava, agli occhi di Euripide, la sua totale insufficienza come divinità: irresistibile forza della passione sessuale ma incontrollabile.
Ravvisare una radice divina in simili forze irrazionali era caratteristico della religione greca fin dai tempi più antichi, ed ancora al tempo di Euripide ogni associazione tendeva ad organizzarsi in un thiasos religioso: la comunità sembrava poter avere consistenza solo se una divinità creava e manteneva in essa uno spirito superindividuale.
In Macedonia Euripide sperimentò la forza di tale spirito: egli assistette in prima persona al diffondersi del nuovo rito, e visse, anche se non da credente, il crescente fanatismo.
Baccanti nasce da questa esperienza.
Si tratta di una divinità inclusiva?
La forza del culto bacchico è ben descritta nelle pagine di Incontro con io, scritto da E. Scalfari:
Ed ancora:
Se l’idea di Jolly era quella di celebrare la potenza di Dioniso, mi chiedo su quale strada ci stiamo avviando e non mi riferisco alla cultura woke ma alla superficialità con la quale vengono affrontate una regia o una coreografia proponendo conoscenze classiche che non ci sono.
Mi offende dunque meno la citazione dell’Ultima cena di Leonardo che la chiamata in causa di Dioniso. Mi sento più offesa come classicista che come cristiana!
Dioniso non rappresenta l’esaltazione dell’ebbrezza ma il dramma della debolezza umana dinanzi all’incomprensibile potenza divina.
La dimensione della follia impregna tutti i personaggi del dramma di Euripide: il coro è pazzo perché è fanatico, Cadmo e Tiresia risultano folli per la loro illusione: “Ildiononfadistinzionesedebbadanzareilgiovaneoilvecchio.”
Penteo è pazzo perché non riconosce Dioniso, il cugino, e sfida una divinità che si configura come un insieme di ordine e caos, civiltà e vita selvaggia, divinità e bestialità.
Agave è pazza perché si lascia possedere dall’ebbrezza.
Le Menadi dunque non sono consapevoli Drag Queen, sono donne che sfidano i valori tradizionali perché scelgono Dioniso rispetto a Penteo, autorità politica.
Le Drag Queen dell’Ultima cena erano invece palesemente guidate da un Goebbels postmodermo e al servizio della propaganda.
Infine, quando Dioniso agisce, Agave soffre e Penteo muore.
E come muore?
Lui, così virile, viene convinto da Dioniso a vestirsi proprio come una donna, una drag queen, per poter raggiungere le Baccanti:
Le raggiunge ma Agave confonde quella parrucca da donna per la criniera di un cucciolo di leone e gli strappa a mani nude la testa dal tronco per offrirla a Dioniso:
Le altre strappano gli arti del malcapitato Penteo e se ne nutrono, è lo sparagmòs! Poi Agave raggiunge, trascinando la testa di Penteo grondante di sangue, suo padre Cadmo che la invita a guardare che cosa?
Il sole.
E Agave, disperata, capisce di aver ucciso il suo stesso figlio.
La rappresentazione di Dioniso può essere estrema, il regista Carlus Padrissa a Siracusa non ha fatto sconti su questo e ha a tratti sconvolto il pubblico, ma deve essere drammatica e non festosa o ridicola: non si ride di Dioniso, non si festeggia con Dioniso.
Dunque se l’intenzione di Jolly era quella di rappresentare Dioniso, divinità non olimpica, tra le divinità olimpiche, come una sorta di dio dell’Inclusione, non ha capito nulla.
Se invece il caro Jolly era consapevole, e io temo che lo fosse e che tale cerimonia sia stata preparata in ogni minimo dettaglio simbolico dal toro vicino ai cerchi olimpici, al viaggio in metropolitana (un viaggio ctonio), a Caronte fino all’Ultima cena, siamo noi a dover tremare perché quella che ci è stata proposta è l’annoiata Capitol City che disseta la sua noia con atleti-tributi sacrificati all’Anticristo che non è Dioniso ma la lobby neoliberista.
E, sarà un caso, quando Euripide rappresenta Baccanti?
Quando Atene ha ormai perso la Guerra del Peloponneso: dopo un’epidemia di peste e dopo uno scontro tra Atene e Sparta che è drammaticamente simile alla situazione attuale se si sostituisce Corcira con l’Ucraina.
Riguardo alla morte di un politico noto e, come spiega Putin, sui generis, l’unico commento intelligente sarebbe il manzoniano “Ei fu” da concludersi con il noto “ai posteri l’ardua sentenza”.
Le analisi che si ricavano dai giornali e dalle televisioni variano dalla beatificazione all’Apokolokyntosis, atteggiamento questo che io giudico estremamente vile poiché il defunto non può controbattere.
Non ho mai votato Silvio Berlusconi, infarcita com’ero della certezza che la Sinistra rappresentasse il Bene e la Destra corrispondesse al Male assoluto.
Ho manifestato contro la sua entrata in politica nel 1994, contro il G8 di Genova nel 2001 poiché vedevo in lui non un fascista- quello per me era Fini e lo apprezzavo maggiormente- ma uno spietato neoliberista.
Ero giovane e ragionavo in base agli impulsi, agli amici, al desiderio di andare contro il Sistema ma non avevo compreso che l’antisistema era lui.
Lo aveva compreso invece l’Europa. E nel 2011 fece il primo golpe in Italia inaugurando l’austerity e il loden grigio.
Che schifo. Che scema.
Nel 2011 ero grandicella e avrei dovuto capire quanto avveniva.
Avevo già due figli ma non avevo capito.
Con l’approvazione (o forse fu un’imposizione?) di Napolitano, Monti prese l’esecutivo defenestrando, come sottolinea Francesco Forte , il Presidente eletto da un congruo numero di Italiani in un momento in cui non era ancora nota la desertificazione delle urne.
Fu un precedente pericoloso che anticipò il golpe del 13 febbraio del 2021 quando un convinto Mattarella incoronò Presidente del Consiglio Mario Draghi, l’aristos, l’optimus, il migliore tra gli oligarchi, l’uomo che così venne definito da Cossiga:
Torniamo a Berlusconi, o meglio, al mio Berlusconi.
Berlusconi e le donne
Come Craxi fu fatto cadere per le tangenti e Conte per la pandemia, Berlusconi fu fatto cadere per le donne.
Esse costituirono un cavallo di Troia costruito ad arte, a detta della Sinistra, Berlusconi non le rispettava.
Questo è un falso storico: Berlusconi aveva un rapporto ciceroniano con la figlia Marina e amava le donne belle e intelligenti.
Forse la sua debolezza fu la ricerca della bellezza in una visione estetica della vita che impose anche se stesso, la medesima visione di cui è schiava Lily Gruber con il suo metus senectutis.
E’ indubbio che le donne per Berlusconi dovessero essere affascinanti e curate, non necessariamente belle; ciò che non tollerava di Rosy Bindi era l’ostentata sciatteria, tipica di chi attinge invece al mondo dell’etica.
La battuta fu infelice ma geniale nel sarcasmo: “E’ più bella che intelligente”. Attenzione, non disse che Rosy Bindi era brutta, utilizzò un’ironia sagace che, certo, offende ancora oggi non per quanto concerne la bellezza bensì per quanto riguarda l’intelligenza della donna che viene ingiustamente messa in dubbio.
E che dire della Merkel? Qui la narrazione si condisce di detti e non detti: fu definita “culona?” non v’è certezza; sicuramente Berlusconi non apprezzava la rinuncia totale alla femminilità così come detestava il disfacimento del fisico maschile. Non bisogna dimenticare che oltre ad essere un politico era un imprenditore del patinato mondo dello spettacolo e che i suoi canoni erano quelli.
Berlusconi, la Mafia e le Toghe Rosse
L’unica condanna di Silvio Berlusconi fu quella per la frode fiscale per la compravendita dei diritti di Mediaset, per il resto vi sono molte accuse ed oltre trenta processi.
Considerato che l’essere umano non è onnisciente e che, in termini di Diritto, l’unica che conta è la verità processuale, a questo punto occorrerebbe tacere.
Invece si parla, si ride, si strazia il cadavere: era mafioso?
Se la domanda viene posta da Italiani di Potere, l’unica risposta che mi sovviene è quella di Craxi:
I partiti – specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli,
giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie
strutture politiche e operative,-hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma
irregolare o illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia
puramente criminale, allora gran parte del sistema è un sistema criminale.
Bettino Craxi
E’ un fatto che la Magistratura inizi ad indagare su Silvio Berlusconi nel 1994. L’accusa è quella di aver pagato tangenti al leader socialista Bettino Craxi, ed è per questo che io- più che di Toghe Rosse- parlerei di toghe angloamericane.
O Toghe Neoliberiste.
Mi limito quindi a fare le più sincere condoglianze alla famiglia Berlusconi sottolineando che, se con Craxi morì l’ultimo dei socialisti, con Berlusconi, che dette forte impulso all’imprenditoria italiana, se ne va l’ultimo dei Mohicani.
Ora siamo in pasto all’America, all’Europa, alle loro brame neoliberiste che umiliano il lavoratore e innalzano l’intelligenza artificiale.
Venduti da false sinistre democratiche attratte dal denaro e dalle Banche, ci ritroviamo in un’Italia in macerie ove il reddito di cittadinanza l’ultima spiaggia poiché il lavoro non c’è più.
Penso alla vicenda della lettera di Firenze, scritta da Annalisa Savino con intento educativo; considero la reazione del ministro Valditara che scandalizza i più . Mi sorprende lo scalpore che suscita la risposta del ministro, mi fa sorridere. Non lo nego, i fascismi, o meglio i totalitarismi, nascono dalla legittimazione dei cittadini.
E fa bene la dirigente a proporre una riflessione ai giovani, a ricordare il Fascismo ( anche Stalin comunque “sedeva su un mucchio di ossa”) ma, ed è questa la domanda che mi tormenta, mi chiedo se questa dirigente abbia scritto qualcosa anche l’anno scorso quando il cosiddetto Fascismo, un fascismo liberista, c’era davvero. Già, lo ammetto, io non dimentico.
Non dimentico l’anno scorso, quando i docenti non vaccinati venivano buttati fuori dalle scuole e considerati dei reietti da genitori e colleghi. L’anno scorso, quando non potevano prendere l’autobus né entrare nei negozi, quando le signore vaccinate con i loro cani prendevano il caffè in tiepidi bar e gli studenti non vaccinati stavano fuori al freddo o rischiavano multe salate sul treno se provavano a raggiungere le scuole . Se totalitarismo c’è stato in questo Paese, e c’è stato, è stato l’anno scorso, nel 2022, con un ministro dell’Istruzione che non ha mai difeso i suoi docenti. Riflessioni sull’anno scorso non ne sono ancora state fatte: si è permesso in un assordante silenzio che i dissidenti perdessero il lavoro e con lo stesso assordante silenzio si decide oggi di non parlarne, come se non fosse accaduto nulla. Quindi sorrido di un sorriso amaro perché l’ indifferenza, quella stessa indifferenza citata dalla dirigente, e non la violenza ( che si vede e si sanziona) , è alla base del potere totalitario. Valditara, che i colleghi di Sinistra disprezzano, ha le idee chiare e sta riportando la serietà in una Scuola ridotta dai precedenti governi e dai precedenti ministri a un diplomificio, è intervenuto in difesa della docente colpita dalla pistola a salve, ha scritto una circolare contro l’utilizzo dei cellulari in classe; il ministro dichiara improprie alcune affermazioni della lettera e ha ragione perché il mondo non è diviso in fascisti e antifascisti ma in élite transnazionali e sudditi, in governi che pensano agli interessi dei cittadini e in altri in cui i parlamenti vengono esautorati in nome di una qualsiasi emergenza. La dirigente Annalisa Savino cita Gramsci che io amo; ecco, Gramsci era da citare l’anno scorso, quando davvero sarebbe servito. Gramsci stesso, del resto, provò la prigione e l’odio degli amici, oltre a quello dei nemici chiaramente. A me sembra strumentale la citazione di un eroe della libertà in un momento di libertà democratiche accettabili, e strumentale è il vuoto utilizzo di parole importanti, di concetti che vanno affrontati a fondo leggendo direttamente gli storici o le fonti, non di certo i manuali atti a narrare gli eventi storici in maniera moralistica, superficiale e comunque dal punto di vista dei vincitori.
Mi pare molto facile avere il coraggio di schierarsi quando c’è libertà di parola, quando tutto è normale e democratico.
L’anno scorso nulla era democratico, chi ha difeso le persone che non condividevano la logica di Draghi e di Speranza? Nessuno di questi personaggi che gridano contro un ipotetico e improbabile fascismo ha scritto una qualche lettera agli studenti per spiegar loro che le libertà democratiche erano soppresse.
Noi non pretendevamo tanto, “se uno il coraggio non ce l’ha, non se lo può dare”, ci sarebbero bastate delle scuse. Non sono mai arrivate.
E allora fateci un favore: non riempitevi la bocca di -ismi quando non li avete voluti riconoscere.
Si avvicina l’inizio del nuovo anno scolastico, il terzo d.C. (dopo il Covid).
Il primo fu quello dei banchi a rotelle e del distanziamento di un metro, con dirigenti geometri, docenti che incollavano sensi unici adesivi, bidelli infermieri col termometro all’entrata.
Il secondo fu all’insegna dell’esclusione ma con l’obbligo, per i docenti, di corsi sull’inclusione, i presidi sceriffi, i bidelli poliziotti e il distanziamento di un metro “ove possibile”.
Il terzo è questo ma nulla si deduce all’orizzonte poiché ci sono le elezioni e il MI è un mistero eleusino.
Ci tengono buoni.
Ci sedano con show politici in cui compare l’immancabile Calenda e, siccome qui esisti se sei in TV, il centro esiste.
Ci va bene che la Gruber sia ancora in vacanza.
Ma, dicevo, sta per cominciare il nuovo anno scolastico, the year after dopo l’apocalisse, e io non provo nulla. Nulla.
I miei sentimenti e i miei entusiasmi sono stati congelati da una serie di docce fredde l’anno scorso. Da qui le manifestazioni, la TV, gli scioperi e la militanza con Italexit, quindi le critiche.
La TV è arrivata subito grazie a un articolo della Pedemonte, poi L’aria che tira.
La discussione con Paone, l’affondo di Costa che “mai vorrebbe per i suoi figli docenti così”.
Alunni e genitori mi studiano, mi osservano con curiosità, i colleghi con perplessità e sentimenti vari.
Ogni 48 ore presento il green pass da tampone e così fanno mio marito e il mio ex marito, spendiamo capitali in farmacia.
Anche i figli devono sottoporsi a tampone per prendere i mezzi e per andare in palestra: altri soldi.
Il Governo si illude che prima o poi capitoleremo, sa che siamo sottopagati. Come possono sopravvivere i sanitari? Come i docenti?
Resistiamo, è un fatto. Non ci ammaliamo di Covid, è un altro fatto.
Arrivano le leggi fascistissime, fascistissime in senso proprio: un parlamento che non legifera, un governo che decide.
La fascista è la Meloni?
Casa Pound è fascista?
Non posso più entrare a scuola, neppure con dieci tamponi al minuto.
Sui gruppi FB dei docenti c’è chi esulta, chi dice che era l’ora.
Bastardi, penso.
La supplente arriva presto, non sono necessaria, è brava ma ha un altro metodo di lavoro. Io non so neppure se riuscirò a tornare a scuola e, nel dubbio, cerco un altro lavoro che trovo perché dopo due anni di Dad, nel delicato passaggio tra la seconda e la terza superiore, i ragazzi annaspano.
Inizio a insegnare greco e latino privatamente e sbarco il lunario.
Le critiche sono ghiaia sulle ferite.
Quelle dell’entourage familiare più forti: “Vuoi essere al centro dell’attenzione”, “Fai i capricci”, “Vaccinati altrimenti lasci degli orfani”, “Vaccinati perché hai il dovere di mantenere i tuoi figli,” “Vaccinati perché i miei professori sanno che sei una no vax”, “Vaccinati perché non cambierai il Sistema”.
Resisto. Mio marito no. Il mio ex marito no. Per una volta concordi ci pensano loro: “Combatti: i soldi più o meno ci sono.” Guerriera grazie a due sponsor, direte voi.
Sicuramente più fortunata di altri: questa battaglia la combattono le donne perché gli uomini si sacrificano. E si sacrificano perché il loro stipendio è maggiore.
Le femministe lo possono riconoscere il sacrificio di quelli che definiscono semplici fuchi?
Le femministe dove sono? Oggi sono tutte “My body, my choise”, dov’erano l’anno scorso?
L’autodeterminazione di una madre per proteggere i figli da un vaccino ottenuto da feti uccisi non conta.
Meglio difendere l’aborto: il traffico dei feti rende soldi alle multinazionali.
Io credo sia meglio insegnare l’utilizzo del preservativo ma forse sono troppo antica.
Le stesse femministe guardano Juno, che non abortisce ma trova un’altra soluzione.
Che anno sarà questo?
Chi vivrà vedrà. Io ho imparato ad esser più dura e non farò sconti a scuola perché l’unica possibilità che hanno i nostri ragazzi per non divenire schiavi è quella di imparare a pensare in modo critico.
Ho aspettato oggi, 18 agosto, ricorrenza della tua morte, per pubblicare questo racconto che è la prima versione di un altro, quello pubblicato su “Protagoniste genovesi”, un’antologia che raccoglie biografie di donne genovesi illustri e pubblicata da De Ferraris.
A me fu affidata Fernanda Pivano con la quale avevo un conto in sospeso.
Il racconto pubblicato sul volume citato è diverso perché-come mi fecero notare le colleghe Simonetta Ronco (ideatrice dell’antologia) e Serafina Funaro- l’idea era quella di raccogliere biografie e non interpretazioni. Così “Ciao, signora Libertà, ci vediamo” è diventato “Fernanda Pivano, una donna di parola”, una trattazione lineare e maggiormente aderente alla figura di Fernanda.
Il racconto però c’è. Forse parla più di me più che di lei, dei terribili mesi trascorsi in casa e lontana dal lavoro, misera e sporca No Vax.
Mio Dio! Quanta violenza c’è in me che mi ritengo cristiana? L’odio è più forte di ogni sentimento: l’amore ti azzera, l’odio ti salva.
Sogno ministri appesi a testa in giù.
Il cimitero di Bergamo, il la, e la lunga e geniale teoria di camion militari. E’ buio e mi chiedo perché agiscano nel buio.
La mia cugina bergamasca che piange al telefono.
Ipnosi.
Poi tutto va veloce e io non lo comprendo più.
Ho bevuto dal bicchiere di una mia amica positiva. Pericoloso? Non so; la forza dell’esasperazione e l’avvilimento della disperazione possono molto.
Ho fatto bene?
Ho fatto male?
Sono pazza?
Forse.
Ma parliamo di Fernanda che mi parla mentre muoio.
Ciao, signora Libertà, ci vediamo.
Ti ho conosciuta, Fernanda Pivano, attraverso gli occhi azzurri di Clemente che era il mio ragazzo e avevamo vent’anni.
Vent’anni.
Tanti, pochi, abbastanza per immaginare un embrione di futuro, una bozza di sogno che seguisse la nostra inclinazione naturale: la scrittura.
Mentre i coetanei passavano la vita in Vico San Bernardo, a bere e a strafare in quel capolavoro di birreria che era il Moretti, ove l’arredamento trasudava storia, noi ci recavamo a Il Panino di Arenzano, lontani dalla folla e indifferenti alla gioia. Passavamo ore intenti a scrivere e a guardare – o meglio scrutare – film, cercando di comprendere la complessità della vita.
Non che non bevessimo, per carità, ma il bere era un accessorio da Bohème, la ricerca di una svago significante come il suono delle parole belle, e attendevamo, come Nanni Moretti, l’alba sui prati di Pegli dalla parte sbagliata: si esisteva la notte e il giorno era un nulla; la vita era scrittura, carta, inchiostro .
Fu per questo che il vecchio Clem arrivò a fondare una rivista, Poca Luce, e fu in occasione di un’intervista che ti conobbe; si era infatti messo in testa di raccontare il debito che la letteratura italiana aveva nei confronti di quella americana e di come i nostri intellettuali, fossero essi perbenisti cattolici o irreprensibili comunisti, non riuscissero a coglierne la vera essenza:
<<Perché in Italia nessuno osa veramente.>>
<<Io credo invece che sia nostro dovere attingere ai classici e, del resto, ammettilo: che cos’è Spoon River se non un coro menadico?>>
Clemente, cara Fernanda, prima di incontrarti si era inebriato dell’opera omnia di Charles Bukowski che io detestavo ma che tu avevi intervistato nel 1980 quando noi due avevamo sei anni e già scrivevamo.
L’intervista, quella a Bukowski, fu pubblicata nel 1982 con il titolo Quel che importa è grattarmi sotto le ascelle ma, grazie alla longevità della pagina scritta, potemmo leggerla comodamente anni dopo e discuterne.
A Bukowski io preferivo Hemingway perché era epico e bello, un eroe kalòs kai agathòs a cui, Fernanda, tu dicesti di no, l’unico no di cui ti rammaricasti.
Vedevi in Hemingway un uomo coraggioso ma lui si era accorto che la coraggiosa eri tu.
Apristi gli occhi nel 1917 a Genova, nascendo sotto il segno degli Americani che io tanto detesto, entrati nel conflitto mondiale da poco come una costellazione che illumina il buio. Nascevi sotto la loro egida e l’Italia, che ancora non aveva visto Caporetto, non sapeva che tutto quel Male avrebbe portato semi di Bene pur solo nell’arte.
Nell’inconsapevolezza dell’infanzia, l’America ti entrò nel sangue pur in una vittoria mutilata.
Furono arbitri, gli Americani, e Woodrow Wilson segnò i quattordici punti che avrebbero dovuto salvare l’Europa e furono tuoi.
Imparasti l’inglese in famiglia, poi la Scuola Svizzera ove apprendesti il francese e il tedesco, quindi il liceo classico Massimo D’Azeglio a Torino. Il tuo destino fu un professore che non amava se stesso ma che seppe toccare il tuo cuore: Cesare Pavese.
Non amava se stesso mentre tu, allora ragazza, lo amavi; non amava se stesso ma, donna cresciuta, ti amò con dolcezza e senza speranza: le sue lettere ti raggiunsero a Mondovì, poiché lì ti trovavi durante i bombardamenti del 1942, e quel “Lei” indicava un’intima affinità elettiva.
Che scriveva Pavese?
“E’ il momento in cui lei, se è in gamba, può acchiapparmi e bagnarmi il naso. Basta che lavori, studi, traduca e sforzi la testina. Diventerà celebre, scriverà libri, troverà la cattedra, sarà una luminare della filologia.”
Mi aiuta Ernesto Billò a ricostruire quel periodo, leggo avidamente il suo articolo semplice, intenso e chiaro: non è facile trovare tue notizie biografiche perché sembri ancora viva, ti rendono viva quei video youtube in cui parli e in cui scruti chi ascolta, e le notizie che riguardano la tua vita si ritrovano negli anfratti dei giornali locali, nelle tesi, nei teatri.
Pavese ed Einaudi: che vita! che Fato!
Nel 1943 traducesti, su incarico di Einaudi, Addio alle armi…
In Italia c’è la guerra civile, non soltanto la guerra mondiale e Torino è occupata dalle truppe naziste. Le SS perquisiscono lo studio di Einaudi: c’è un contratto a tuo nome. I soldati ridono: una donnetta, non ci credono. Il romanzo proibito dal duce può essere stato tradotto solo da un uomo. Girano i tacchi, passi in discesa per le scale. Girano la chiave nell’auto, sono nella tua via, Fernanda!
Salgono. Fermano tuo fratello Franco che li segue.
Hotel Nazionale: è lì che alloggiano.
Piangi, ti disperi, ti vesti di dignità. Decisa, vai a chiarire l’errore.
Hai ventisei anni e un bel volto; guardi i militari negli occhi:
<<Ho tradotto io quel romanzo. Ed è stato un onore.>>
<<Dove si trova Giulio Einaudi?>>
<<Non lo so.>>
Uno alza il tono, gli altri ti circondano di battute volgari che fingi di non capire:
<<Dove si trova Giulio Einaudi?>>
<<Non lo so.>> Il tuo è quasi un sussurro perché provi disgusto, rabbia e vorresti gridare.
Vieni arrestata, ti interrogano a lungo e tu sei stanca, devi fare la pipì, non osi dirlo. Alla fine ti lasciano andare ma ti confiscano i beni: non possiedi più nulla.
Tranne Hemingway che, nel 1948, incontri a Cortina; ha saputo di te e ti prende per mano:
<<Tell me about the nazi…>>.
E tu tocchi il sole.
Bukowski è invece l’ombra di un gatto persiano ubriaco e così ti dice di Ernest:
<<Hemingway si tenga le sue guerre e il suo coraggio. Io ho altre cose che accadono a me e a tutti quelli intorno a me. Milioni di uomini e donne che impazziscono e vengono assassinati centimetro per centimetro ogni giorno. Quello era il mondo reale. Quella era la morte. Perché capitava a me, lo riconoscevo e troppo spesso qualcuno mi diceva, Bukowski tu sei licenziato.>>
Eppure Bukowski muore di leucemia a settantaquattro anni, Hemingway suicida nel 1961:
<<Morire è una cosa molto semplice. Ho guardato la morte e lo so davvero. Se avessi dovuto morire sarebbe stato molto facile. Proprio la cosa più facile che abbia mai fatto… E come è meglio morire nel periodo felice della giovinezza non ancora disillusa, andarsene in un bagliore di luce, che avere il corpo consunto e vecchio e le illusioni disperse.>>
Da ventenne mi chiedevo come tu potessi essere stata amata da Hemingway, Pavese e Kerouac.
Indubbiamente eri affascinante, una donna eccezionale e insondabile come la balena bianca che avevi così sapientemente donato al pubblico italiano; ero sicura comunque che tu saresti stata in grado di mietere vittime d’amore anche a ottant’anni ed ero punta dalla gelosia per il fatto che tu frequentassi chi amavo.
Non potevo competere con la tua vita avventurosa né con le tue conoscenze: eri la porta di Narnia tra due mondi lontani mentre io altro non ero che la semplice ragazza di una periferia in cui non passava mai l’1, l’unico autobus che conduceva in centro.
Tuttavia il 18 agosto del 2009, quando moristi, constatai che era scomparsa una grande donna, una regina che, a differenza delle botulinate star televisive, quelle tigri femministe che utilizzano il corpo e il volto di un passato irrimediabilmente perduto in salotti televisivi politicamente scorretti, non aveva temuto la vecchiaia: alle radici del tuo successo c’era la testa, non l’aspetto.
Eppure in passato eri stata una bella donna, dannatamente bella, aveva detto Kerouac quando ubriaco partecipò a un’intervista della Rai.
Fernanda, ora ti vedo come una mela raggrinzita ma dolcissima, una cyborg dal busto in acciaio che cela una profondità atlantiche.
L’immagine di te anziana è una figura a tutto tondo creata da ricordi, blog e articoli di giornale e video sul web: le vene stanche per le punture e le terapie ma la testa ancora piena di passioni, di voglia di leggere, di capire.
Sei stata una talent scout nel senso più pieno del termine, in America come in Italia: leggevi e leggevi poesie e romanzi di ragazzi, e tra questi ve n’ era uno, Cento cavalli scotennati, scritto appunto da Clemente e che lui non pubblicò perché, quando la vita corrisponde alla penna, non è facile metterla in piazza.
O forse il mondo era radicalmente diverso da quello attuale e il voyeurismo era ancora considerato un peccato.
Scrivere di te, Fernanda, oggi, in questo clima di superficialità estrema, fa male.
Io credo che tu non accetteresti la banalità in cui siamo piombati: non ci hanno salvati i romanzi, non il cinema e neppure le canzoni ma il tuo Bob Dylan, cara Fernanda, ha vinto il Nobel della letteratura, spiazzando tutti, nel 2016.
Hai vissuto il diritto sospeso, in nome di una non ben precisata sicurezza, e allora mi rifugio nel tuo mondo, coraggiosa ragazza, laureata in letteratura americana ai tempi del duce, quando il cocktail era una coda di gallo.
Lo sai, Fernanda? C’è un libro che ci accomuna, un libro da cui in qualche modo ha origine la nostra storia di scrittura: la tua, da traduttrice e critica letteraria e la mia, da scrittrice e … insegnante.
Insegnante, sì, e quanto dolore provo nel pronunciare questa parola!
Ah, sapessi!
Lascia stare, non adesso. Parliamo del libro: l’Antologia di Spoon River. Ti fu dato da Cesare Pavese in un momento in cui la letteratura italiana era solo retorica di regime.
Versi scarni, privi di pathos epico, un’epopea degli ultimi e la constatazione di morti ingloriose.
La morte. La testimoniano Omero, Virgilio, Christa Wolf dando voce ad Achille piede rapido, Achille la Bestia:
<<Meglio essere l’ultimo degli uomini che il principe dell’Ade.>>
La poesia di Spoon River canta la vita attraverso la morte in un’America non ancora attanagliata dal conflitto mondiale; tu saresti nata due anni dopo, salutata dall’entrata degli USA nella Grande Guerra, da Lenin che spazza via il feudalesimo dalla Grande Russia.
Edgar Lee Masters sapeva di essere un rivoluzionario? Un inconsapevole Che Guevara seguendo il quale si finisce in carcere? Come avrebbe potuto una cultura totalitaria e patriarcale accettare questo?
E poi, immaginate:
siete una donna ben dotata,
e il solo uomo con cui la morale e la legge
vi consentono un rapporto carnale
è proprio l’uomo che vi riempie di disgusto
ogni volta che ci pensate – e ci pensate
ogni volta che lo vedete.
Chi era costui che scriveva folli parole? Costui che osava? “Il maschio fascista dispone di giorno e di notte”, recita Sophia Loren nel 1978 diretta da un illuminato Ettore Scola.
Il libro, che tu leggesti in lingua originale, ti aveva rapito. Perché? Quanto può essere pericoloso un libro? Le parole minano le fondamenta di un Sistema perché i Sistemi basati sulla forza, sul ricatto e sulla propaganda sono giganti dai piedi d’argilla. Ed eccola qui la corruzione di Edgar, la tua corruzione:
Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley,
il debole di volontà, il forte di braccia, il buffone, l’ubriacone,
l’attaccabrighe?
Tutti, tutti, dormono sulla collina.
Uno morì di febbre,
uno bruciato in miniera,
uno ucciso in una rissa,
uno morì in prigione,
uno cadde da un ponte mentre faticava per moglie e figli –
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.
Dove sono Ella, Kate, Mag, Lizzie e Edith,
il cuore tenero, l’anima semplice, la chiassosa, la superba,
l’allegrona?
Tutte, tutte, dormono sulla collina.
Una morì di parto clandestino,
una di amore contrastato,
una fra le mani di un bruto in un bordello,
una di orgoglio
infranto, inseguendo il desiderio del cuore,
una dopo una vita lontano a Londra e Parigi
fu riportata nel suo piccolo spazio accanto a Ella e Kate e Mag –
tutte, tutte dormono, dormono, dormono sulla collina.
Mi pare di vederti mentre traduci su foglietti svolazzanti questi epitaffi che ti cambieranno per sempre.
E poi ti immagino intorno a un tavolo con Einaudi e Pavese: concepite l’ idea di intitolare l’opera S.River e una censura non troppo dedita alla lettura consente la pubblicazione dell’opera ritenendola l’agiografia di un santo!
Chissà quante risate in Via Arcivescovado 7!
Pavese avrà spostato la pipa sull’angolo delle labbra e avrà sorriso dimenticando ogni tristezza: un sorriso alla Mastroianni.
Einaudi non saprei, un giusto, secondo me; rimandato in latino da Augusto Monti, non provò rancore e comprese che il suo professore era un esempio di valore morale e civile, e fu lui a introdurlo nella Confraternita.
I fascisti però se ne accorsero perché lessero, non erano tutti bifolchi, come vuole certa narrativa dell’attuale regime, e quelli erano versi che lasciavano segni profondi.
Tutto sommato è un miracolo che non ti abbiano fatto bere la cicuta.
L’epitaffio di Spoon River che mi donò a me stessa fu invece questo:
Ebbene sì, Emily Sparks, le tue preghiere
non furono disperse, il tuo amore
non fu del tutto vano.
Qualunque cosa io sia stato nella vita
lo devo alla tua speranza che non disperava di me,
al tuo amore che non smise di vedermi buono.
Cara Emily Sparks, lascia che ti racconti la mia storia.
Sorvolo sugli effetti di mio padre e mia madre;
la figlia della modista mi ha messo nei guai
e sono andato in giro per il mondo,
ho attraversato ogni sorta di pericoli,
vino, donne, i piaceri della vita.
Una sera, in una stanza di Rue de Rivoli
stavo bevendo vino con una cocotte dagli occhi neri
e le lacrime mi inondarono gli occhi.
Quella pensò che fossero lacrime d’amore e sorrise
al pensiero di avermi conquistato.
Ma l’anima mia era distante tremila miglia di lì,
nei giorni in cui eri la mia maestra a Spoon River.
E proprio perché non potevi più amarmi
né pregare per me, né scrivermi delle lettere,
in tua vece parlò l’eterno silenzio.
Cesare Pavese trovò quei versi in un quadernetto in casa tua, ti guardò e disse:
<<Ah!>>
Li prese e li portò ad Einaudi e quell’”Ah!” fu una garanzia.
La Storia, e non un qualsiasi astro, determina il destino di una persona.
Eri a cavallo con Hegel? Ti vedo sul cavallo di Hegel a cucire due mondi con un filo d’inchiostro.
La globalizzazione letteraria è l’unica rivoluzione non violenta.
Nel 1956 ti fu restituito il passaporto che il regime ti aveva confiscato e hai potuto viaggiare.
India e America, su di te prevalse la seconda.
Erano i tempi della Beat Generation.
Dopo anni di regime non avresti potuto non amare la Beat, ti ci immergesti senza esserne travolta: non usasti droghe, non passasti da un letto all’altro per affermare la tua protesta, applicasti il tuo super io vittoriano come strumento di attenta analisi e conoscenza, modificasti strutturalmente la critica letteraria liberandola da considerazioni estetiche e comprendendo l’inossidabile fusione tra vita e letteratura.
Ah, Fernanda! Il mondo attuale è una prigione di ghiaccio grigio!
Non ci voglio pensare!
Mi scendono ancora lacrime che bucano il volto.
E tu?
Chissà a cosa pensi adesso. Forse non pensi, non so neppure più se credere al materialismo o alla spiritualità e tra i due il primo mi pare il male minore perché annienta la sofferenza.
Stanno accadendo cose che vanno oltre l’umana cattiveria e l’uomo, a cui tu guardavi con speranza, è diventato quel vile homo oeconomicus preannunciato da John Stuart Mill e temuto da Aldous Leonard Huxley.
L’uomo è perduto.
Tu, vittoriana e beat al tempo stesso, determinata e ribelle, non avresti mai tollerato uno Stato in cui l’insegnamento e il diritto all’istruzione sono nuovamente subordinati a una tessera, non avresti mai immaginato che la Storia rinnovasse a tal punto i propri vizi e dalla parte antifascista.
Bastardi!
Voglio strapparvi il cuore coi denti, masticarlo e sputarlo mentre i vostri figli gridano e mi odiano!
Guarda Pavese. Non voleva firmare l’iscrizione al Partito Fascista, lo convinsero madre e sorella. Il rapporto tra Pavese e il fascismo è irrisolto, tu lo sai meglio di altri, quanto ha interferito con la sua morte?
Ci sono firme che uno in coscienza non può fare.
Se non firmi però rinunci al lavoro e stai male.
Penso alle parole che Hemingway ti scrisse: “Non ti arrabbiare, lavora”; cerco di renderle mie ma non è semplice. Non so neppure se questa biografia sarà pubblicata o se verrà considerata politicamente scorretta; ma posso scrivere della Fernanda di allora mettendo a tacere la me di adesso?
Mio figlio minorenne scappa di casa un giorno sì e l’altro pure: vuole il vaccino per essere uguale agli uguali.
Comando io, lui in silenzio mi condanna.
Pensa che io sia una criminale o una folle? I miei la prima, lui e la piccola la seconda.
Solo la danzatrice mi crede.
Ah! Perché non posso suicidarmi? Come Jacopo Ortis: un suicidio eroico.
Li devo proteggere anche se non mi capiscono.
Non prendo il Covid. La lotta mi vuole guerriera.
Non sono ancora in carcere, certo, questo no, e ciò mi dà la speranza e l’illusione di poter scrivere liberamente.
Ti saresti arrabbiata a conoscer la mia storia o forse semplicemente stupita?
Come ti stupisti quando il tuo professore, Federico Oliviero, ti impedì di proseguire la tesi su Walt Whitman perché riteneva che quei versi poco si addicessero a una signorina perbene.
Il sesso contiene tutto, corpi, anime, significati, prove, purezze, squisitezze, –proclamava Whitman e ciò era inaccettabile in un’Italia in cui persino l’intimità era dettata da rigidi canoni, in cui persino la trasgressione al bordello era controllata dallo Stato – risultati, pronunciamenti, tutte le speranze, beneficenze, conferimenti, tutte le passioni, amori, bellezze, piaceri della terra, tutti i governi, i giudici, gli dei.
Oppure:
Urrà per coloro che hanno fallito!
E per coloro le cui navi da guerra sono affondate in mare!
E per quegli stessi che sono affondati in mare!
E per tutti i generali che hanno perso le loro battaglie!
E per tutti gli eroi sopraffatti!
E, ancor peggio:
Penso a come una volta giacemmo,
un trasparente mattino d’estate,
come tu posasti la tua testa
di per traverso sul mio fianco
ti voltasti dolcemente verso di me,
e apristi la camicia sul mio petto,
e tuffasti la tua lingua sino al mio cuore snudato,
e ti stendesti sino a sentire la mia barba,
ti stendesti sino a prendere i miei piedi.
Il tuo professore conosceva il poeta, quel suo sguardo franco da druido di versi e d’amore, quei capelli argentei e lunghi, così lontani dalle pettinature di regime.
Chissà, che se lo leggesse di nascosto? Di notte? Che temesse persino di confidarlo al prete?
<<Scabroso. Signorina, questo Whitman è scabroso. Non potete davvero pensare di proporlo in una tesi, se foste un giovanotto si potrebbe capire ma una futura madre …>>.
Lo hai guardato con occhi ironici e segretamente taglienti, hai accettato di analizzare Moby Dick e ne sei rimasta rapita: Call me Ishmael, che incipit meraviglioso! Tre parole ti immergono in Achab, nella sua ossessione distruttiva, nell’attaccamento alla vita di Ishmael.
Che cosa c’è di più scabroso di Melville?
Io me lo chiedo e anche tu, stremata dal lavoro, con la tua camicia da notte di seta e il tuo carrè bombato, lo hai capito:
<<Ecce homo>>.
E, perché no, ecce America.
Fernanda: una vita d’avventura, una vita da pioniera.
Cerco i suoi tratti nei versi di Cesare Pavese, l’uomo che le spiegava Dante e la incantava negli anni Trenta, l’uomo che lei – negli anni Quaranta – rifiutava.
Così trasalisci tu pure
al sussulto del sangue. Tu muovi il capo
come intorno accadesse un prodigio d’aria
e il prodigio sei tu. C’è un sapore uguale
nei tuoi occhi.
Lo scrive Pavese ne L’estate, in Lavorare stanca, e ancora ne Il Notturno:
La collina è notturna, nel cielo chiaro.
Vi s’inquadra il tuo capo, che muove appena
e accompagna quel cielo. Sei come una nube
intravista fra i rami. Ti ride negli occhi
la stranezza di un cielo che non è il tuo.
[…]
Tu non sei che una nube dolcissima, bianca
impigliata una notte fra i rami antichi.
Frugo nella tua vita, Fernanda, e spero che tu mi possa perdonare.
Clemente ti ricorda decisa e severa, mi racconta che la tua indagine non faceva sconti alla letteratura italiana: fantasmagorica, psicologica ma priva di affondi nella vita reale.
Ritenevi che gli scrittori italiani si fossero limitati a sostituire all’ipotassi la paratassi ma che, in fin dei conti, non avevano migliorato il panorama letterario il quale continuava ad essere ripetitivo e barocco.
In realtà, Fernanda, pubblicare romanzi è sempre più difficile. Lo sai anche tu, hai dovuto lottare per portare la Beat Generation in Italia. Sai cosa penso? I tempi sono maturi per qualche beatnik europeo: in un’Europa in cui non ci si può muovere, girare in autostop con un sacco a pelo in spalla sarebbe la più grande ribellione.
Perché, come ti ha detto Kerouac, in autostop si conosce la gente.
Il bisogno di comunicare degli anni Cinquanta è stato sostituito col distanziamento sociale: da due anni i bambini giocano al parco con la mascherina.
Si ha paura di morire, come se la Morte temesse lo scudo fragile di una mascherina!
Cosa ne penserebbe Neal Cassidy? Quel Neal che già si stupì di te:
<<Tu non bevi, non fumi, non ti droghi; perché mi hai voluto conoscere?>> e tu rispondevi che volevi conoscere l’energia vitale che scorreva nelle vene di Kerouac.
Tu definisci Kerouac il genio assoluto e disperato, l’uomo che chiede a Dio di mostrargli un luogo.
<<Era bellissimo: gli occhi blu dipinti di blu e il volto da pittura del ‘300>>.
Racconti le sue tribolazioni, la fatica di pubblicare On the road, romanzo in cui la geografia d’America diviene poesia e la poesia jazz:
È il mondo troppo grande che ci sovrasta, è l’addio. Ma intanto, ci si proietta in avanti verso una nuova, folle avventura sotto il cielo. Perché ci sono troppe cose che mi piacciono e mi confondo e mi perdo a correre da una stella cadente all’altra fino allo sfinimento.
Il conflitto nucleare che temevano i beatnik non c’è stato, la guerra fredda è finita. Tu l’hai vista finire in un muro in frantumi.
Quella guerra fredda.
Ora ce n’è un’altra che vede sulla scacchiera Usa, Russia e Cina.
E in Europa, nella tua Europa che annaspa a fatica, il potere è in mano a organismi transnazionali non europei, e per questo è così difficile combattere:
i nazisti, i fascisti erano di carne ed ossa, qui l’usurpatore è invisibile.
Ci sarà una nuova guerra? Che tipo di guerra? Manca il gas e le centrali a carbone producono energia elettrica.
<<Non si può combattere contro la Russia d’inverno>> ha detto il nostro premier ma i carri armati sono già in Ucraina.
Giulio Casale ti ha raccontata in uno spettacolo dal titolo bellissimo: La canzone di Nanda.
L’ho guardato e l’ho riguardato con curiosità e con tristezza: Dylan, Tenco e De André sono stati spazzati via da rapper che inneggiano alle Jordan! Vivo in periferia, te l’ho detto, e la più grande ambizione di un giovane è far soldi per ricoprirsi di outfit costosi.
I rapper che mostrano scintillanti denti d’oro sono cattivi ma non sono ribelli: sono drammaticamente allineati e sparano minchiate.
Noi del G8 abbiamo perso: loro vogliono le Jordan e le vogliono anche i miei figli ormai reificati.
Ha vinto il consumismo, non ha vinto la Beat.
Il Sistema ha educato e il Sistema è amato e acclamato.
La fiamma tricolore di Fratelli d’Italia insieme al garofano rosso del Partito Socialista Italiano: non ha vinto Mussolini ma neppure Pertini alla fine.
Del resto è stato chiaro fin da subito: gli Americani consentivano la sfilata delle bandiere rosse mentre firmavano patti con i grandi industriali, la mafia, la politica.
Per questo è stato ucciso Pier Paolo Pasolini, questa è l’interpretazione che viene data da Rosa Johanna Pintus e Marco Bracco nei testi scritti e drammatizzati per il 15 giugno presso l’Aula Magna del Dipartimento di Scienze Politiche durante una performance organizzata da Hermes Movie per il centenario della nascita di Pasolini.
Così inizia Fabula, la performance portata in scena da Hermes Movie, con una lettera a Laura Betti, interpretata da una bravissima Antonella Rebisso:
Cara Laura, sono tornato. Come sta andando il film nella terra del socialismo reale? Mi sembra di vederti. Quanto ti lamenti per il cibo uguale per tutti? Amore mio, sei perdonata! Spero di vederti presto, sto scrivendo un nuovo film, un attacco al capo dello Stato, anche lui colluso con i poteri, con la borghesia, sta sacrificando l’Italia al migliore offerente…
Fabula, Rosa J. Pintus-Marco Bracco
E la condanna è ancora più forte in quel monologo di Pasolini
in cui la Pintus ha picchiato duro buttandoci dentro tutta la sua esperienza nella periferia e tutta la sua rabbia per un Italia che non riconosce più come sua.
Christian Adorno Bard
Una rabbia che non poteva non essere invasiva e che l’ha resa in qualche modo
la naturale erede di Pasolini benché lei non lo volesse.
Marco Bracco
Di nuovo, come in Avanti Avanti!, abbiamo in scena il coro perché il rapporto con la tragedia greca non è mai stato reciso né da Pasolini né dalla Pintus ed è Remo Viazzi, professore di greco prima del Liceo Mazzini e ora del Liceo Classico D’Oria, a raccontare le suggestioni e le connessioni che si creano sulla scena.
Rosa Johanna Pintus, Marco Bracco, Remo Viazzi
La performance è forte nel linguaggio, spietata nelle parole. Nella società Lgbt Pasolini crea ancora imbarazzo, fastidio, anche se probabilmente si sarebbe cercata un’altra scusa per farlo fuori.
Coi decreti delegati la Scuola è morta, si è sparata un colpo in bocca e non lo sa. Bisogna essere buoni (ride), fingere il figlio dell’operaio uguale al figlio dell’avvocato! Li portiamo a teatro, in un bel teatro borghese ove le nore si autodeterminano e non sono più bamboline di mariti e di papà:le nore borghesi ovviamente, le altre a fare le puttane per aver l’ultimo blue jeans! Ma dico! Ci siete mai stati tra i casermoni popolari ove il tempo scorre lento nelle piazze e nessuno lavora? Due birre, una canna, una donna e si è felici se non ci si ammazza per quella donna: a volte la si condivide mentre gli occhi osservano il sole che danza.
Christian Adorno Bard è il Pasolini di R.J.Pintus-Foto Nazar Fedunyk
Giovanni Capano è l’Edipo di Pasolini (Christian Adorno Bard) in Affabulazione-Foto Nazar Fedunyk
Quale relazione c’è tra Sandro, Benito, Nino, Marcello e Pier Paolo? La sceneggiatrice di Hermes Movie ce lo spiega citando l’Auryn de La storia infinita:
La spiegazione più prosaica, più puntuale e meno onirica arriva dal regista Marco Bracco che, commentando anche i nuovi risultati elettorali, afferma:
Riuscireste voi a distinguere le parole di Mussolini da quelle di Pertini se io non vi rivelassi l’autore? La politica è un’arte difficilissima tra le difficili perché lavora la materia inafferrabile, più oscillante, più incerta. La politica lavora sullo spirito degli uomini, che è un’entità assai difficile a definirsi, perché è mutevole. Questo è Mussolini e aggiunge: “Mutevolissimo è lo spirito degli italiani. Quando io non sarò più, sono sicuro che gli storici e gli psicologi si chiederanno come un uomo abbia potuto trascinarsi dietro per vent’anni un popolo come l’italiano. Se non avessi fatto altro basterebbe questo capolavoro per non essere seppellito nell’oblio. Altri forse potrà dominare col ferro e col fuoco, non col consenso come ho fatto io. La mia dittatura è stata assai più lieve che non certe democrazie in cui imperano le plutocrazie”.
Marco Bracco
Le parole di Mussolini appaiono modernissime oggi in un sistema in cui il Deep State decide tutto e sostituisce alla giustizia delle democrazie l’efficienza di uno Stato-azienda di cui Monti prima e Draghi adesso sono i perfetti esecutori.
E Pertini? Colloca anche il Patto Atlantico, strumento di dominio economico poiché la guerra genera guerra. Pertini lo sapeva ed era contrario al guinzaglio di una Nato liberista che avrebbe, prima o poi, minato il miracolo socialista in Italia:
Noi siamo contro questo Patto Atlantico dato che esso è in funzione antisovietica. Perché non dimentichiamo, infatti, come invece dimenticano i vostri padroni di oltre Oceano, quello che l’Unione Sovietica ha fatto durante l’ultima guerra. Essa è la Nazione che ha pagato il più alto prezzo di sangue. Senza il suo sforzo eroico le Potenze occidentali non sarebbero riuscite da sole a liberare l’Europa dalla dittatura nazifascista.
Sandro Pertini
Dunque tutto quello che Pasolini ha scritto e filmato, ciò che lo ha condotto a morte proprio mentre progettava un artistico J’accuse che denudasse i giochi della politica di un’Italia colonia d’altri, sta avvenendo e oggi partiti opposti siedono senza pudore al medesimo tavolo fingendosi nemici.
Ci si chiede quale sia il potere decisionale di codesti partiti e, ormai, di gran parte dei giornalisti: le ultime imprese della nostra gloriosa repubblica sono semplicemente agghiaccianti: trattamenti sanitari obbligatori, propaganda e invio di armi.
Sanzioni antieuropee come l’uomo che si taglia i gioielli per far dispetto alla moglie: il rublo sale e l’euro scende.
Fascisti? Il fascismo attuale è il vero mostro; i valori borghesi, quelli da combattere sempre, importati dai Liberatori con la cioccolata! Valori molto diversi e distanti dal regime mussoliniano ma molto più adatti a uccidere gli animi. E allora io faccio i film. Perché? Perché ne ho bisogno. Facendo i film esprimo me stesso, o li faccio o mi suicido. Perché voi avete degenerato il sistema educativo in nome di un’uguaglianza che non c’è, che è gratitudine, sudditanza. Mi chiedete come possiamo allontanare il rischio e il pericolo prodotti da questa società. Si è fatto tardi, magari lasciatemi le domande, mi serve un po’ di tempo per ragionarci. Come sapete per me è più facile scrivere che parlare.
Fabula, Rosa J. Pintus e Marco Bracco
In Avanti Avanti! Rosa Johanna Pintus e Marco Bracco raccontano i comuni ideali di Socialismo e Fascismo e le loro necessarie e drammatiche differenze ma, soprattutto, la storia di un Paese che si è illuso di una possibile liberazione e che oggi si trova a fare i conti con il suo status di colonia che deve riverire il padrone mentre l’unica forza, la nostra Italia, la deve trovare in se stessa.
Alessandra Giordano
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Un maledetto gioco ai soldatini, anzi peggio: c’è la perversa logica di Squid Game nella guerra in Ucraina. Vecchi nostalgici della guerra fredda, annoiati dal potere, desiderosi di essere padroni del tutto sotto l’egida del neoliberalismo e dell’imperialismo ad ogni costo. Un tutto che non basta mai e che provoca stomaci vuoti nonostante un nutrirsi continuo.
Sperimentato il quasi totale assoggettamento di un mondo acritico grazie all’horror Covid, il Nuovo Ordine Mondiale si accorge che, se le industrie farmaceutiche hanno guadagnato molto, con il lockdown le guerre sono passate in secondo piano e i fabbricanti d’armi hanno smesso di guadagnare; peccato che anche loro abbiano sponsorizzato l’insediarsi di determinati governi e che qualche regalia vada pur concessa: bellum gerendum est! E Biden ci prova con tutte le sue forze. Non ci ha mai creduto lui che la guerra fredda sia finita e che le armi vadano utilizzate soltanto in Paesi del terzo mondo: la vecchia Europa, con l’addio della Merkel, sta perdendo colpi e Putin è stato cucinato al punto giusto dalle provocazioni del Deep State. Sorride Biden senza neppure rendersi conto di essere pure lui un burattino, forse il capo dei burattini, ma di certo non il presidente del mondo: non è l’artefice della rivolta in Ucraina, della strage di Odessa, del massacro del Donbass ma si è trovato la pappa fatta e ha pensato che il nazismo fosse preferibile a un eventuale comunismo russo-cinese.
La Nato appoggia spudoratamente a forze eversive di destra che tengono in vita Zelen’sky, lontane dal nazismo quanto Hitler quando decise di lasciar partecipare alle Olimpiadi Helen Mayer. Il lupo perde il pelo ma non il vizio e non oso neppure pensare quale fine sia destinata al presidente in caso di sconfitta.
Ma vediamo i Russi. Tutti sappiamo chi è Putin ed è facile pensare che abbia ritenuto in un primo tempo di denazificare l’Ucraina nella stessa maniera in cui ha cercato di ripulire la Cecenia.
Attualmente accadono cose inimmaginabili di cui i media non fanno menzione perché sono presenti anche in Russia battaglioni neonazisti nostalgici dell’alleanza tra Hitler e Stalin. Basta cercare le notizie e non limitarsi a bere acriticamente la propaganda amica o nemica secondo la nostra personale posizione politica.
Battaglione Azov da un lato e Battaglione Sparta dall’altro correi di portare avanti, i primi in maniera consapevole poiché da loro armati e gli altri in modo inconsapevole, gli interessi degli Americani contro l’Europa tutta.
E l’Europa? I leader, in particolare il non uomo italiano che detiene il nostro Governo, scodinzola in attesa delle crocchette Nato: Russia delenda est, sostiene, e si sente il novello Catone.
I leader e i giornalisti che animano i nostri talk show non sono diversi dai vecchi che, per mero divertimento, osservano mascherati e lepeghi, il gioco al massacro di Squid Game.
pur non essendo filorussa, non cado nel tuo inganno mediatico. Probabilmente hai confuso l’Ucraina per un set televisivo ma i tuoi attori stanno morendo come in Squid Game.
Stai condannando da tempo i figli della tua terra ad essere orfani, figli già condannati una volta da Chernobyl ma, evidentemente, per l’Ucraina non ci può essere pace.
Ora appari agli occhi del popolo come esempio di resistenza ma dov’eri quando le tue donne, bionde e belle, quindi ancor più a rischio, abbandonavano il loro Paese, la loro famiglia, la loro lingua?
Tu non c’eri pur essendoci e, anzi, alcune mie studentesse ucraine, mi dicevano che nel granaio di Europa la corruzione mieteva più vittime del nucleare e che i Russi erano comunque migliori degli Americani anche se…
Altre invece sostenevano la tesi opposta: meglio gli Usa. Meglio gli Usa fino agli attuali decreti che hanno trasformato l’Italia, zerbino d’America, in una non democrazia.
Dov’eri allora, Zelen’sky? So dove sei adesso: in continua tournée mentre il tuo popolo muore. Ti segue ma muore mentre tu ti atteggi a Che Guevara e non lo sei.
Invece non vuoi. Ma essere il volto affascinante degli Americani è un’arma a doppio taglio e quindi, per conto mio, dovresti smetterla di giocare a Risiko e salvare la tua gente, quanto prima.
Perché la Storia ce la dobbiamo scrivere da noi e non farla scrivere da due superpotenze che non hanno più senso e paiono due vecchi di insensate brame.
Lascia il Donbass, lascia la Crimea: vivi e lascia vivere.
Humanae litterae, come letteratura, e infamia, come cattiva reputazione. E’ in atto un tentativo di damnatio memoriae dei morti (gli autori e gli artisti) e di apartheid dei vivi (gli sportivi e tutto ciò che rappresenta la Russia).
“Siamo fuori di testa ma diversi da loro”, penso ai Maneskin mentre l’epurazione ha inizio e io ancora fatico a crederci.
Si può davvero sanzionare la cultura di un popolo e tenersi il gas? Ancora una volta il dio dell’economia vince su tutti gli altri e io voglio solo sperare che Tolstoj avesse ragione quando sosteneva che
Be’, io credo però che adesso questo Dio debba farsi vedere perché il mondo che ha creato si sta suicidando e il decantato libero arbitrio, per dirla con Tucidide, è solo l’utile del più forte.
Eppure non mi dovrei stupire di fronte a questo maldestro tentativo di damnatio memoriae, di fronte al professor Paolo Nori, che magari si è pure vaccinato per amor di insegnamento, e che adesso viene censurato in quanto reo di tenere un corso di letteratura su Dostoevskij!
Adesso siamo tutti ipocritamente ucraini. Adesso ci interessiamo di un Paese di cui abbiamo più volte insultato le donne in fuga:
Vengono qui per rubarci gli uomini, per manipolare i nostri vecchi!
…vox populi
Quando insegnavo al Cpia ho visto ragazze e donne ucraine piangere perché veniva negato loro il permesso di soggiorno, le ho viste spendere i pochi soldi ottenuti lavorando da badanti con avvocati incaricati per i ricorsi.
Ecce Italia: un tritacarne neoliberista che ora salva chi ha ucciso in vista di qualche profitto nascosto.
Ma adesso siamo tutti bravi, tutti solidali. Con gli Ucraini perché ci servono mentre i neri li lasciamo annegare in mare.
Questo è! Togliamoci le aureole.
I cattivi sono i Russi, tutto ciò che è russo corrompe.
Diceva Leonid II’ic Breznev:
Noi dichiariamo con la massima responsabilità: non abbiamo pretese territoriali verso chicchessia, non minacciamo nessuno, siamo favorevoli al libero sviluppo dei popoli ma nessuno si provi a usare con noi il linguaggio degli ultimatum e della forza.
Breznev, rapporto al XXIV Congresso del PCUS
Basterebbe togliere le basi Nato dai confini dell’Ucraina e Putin ritirerebbe le truppe ma ormai il conflitto è partito e l’industria delle armi, che con il Coronavirus aveva perso il suo posto al sole, deve guadagnare i soldi persi con la demilitarizzazione dell’Afghanistan.
I Russi sono i vecchi comodi nemici dell’Europa e dell’America in attesa dei Visitors, dei Rettiliani o di chissà che altro.
Io però con i Russi (gli autori) ci sono cresciuta, sono stati i miei zii mentre i padri erano greci: i Russi sono arte, danza, musica, letteratura.
Dobbiamo cancellare tutto?
Sergei Loznitza non ci sta, non si giudicano le persone dal passaporto, dice, non facciamoci prendere dallafollia. E’ un regista ucraino e non condanna i Russi in toto.
Invece la follia incombe: li condanna invece Fiera Ragazzi di Bologna, li condanna persino il Comitato Paralimpico che impedisce agli atleti Russi e Bielorussi di partecipare ai giochi.
In nome dell’inclusione?
Scrive Chiara Baldi su La Stampa:
Ora l’ateneo comunica che ci ha ripensato: «L’Università di Milano-Bicocca è aperta al dialogo e all’ascolto anche in questo periodo molto difficile che ci vede sgomenti di fronte all’escalation del conflitto. Il corso dello scrittore Paolo Nori si inserisce all’interno dei percorsi “Between writing”, percorsi rivolti a studenti e alla cittadinanza che mirano a sviluppare competenze trasversali attraverso forme di scrittura. L’ateneo conferma che tale corso si terrà nei giorni stabiliti e tratterà i contenuti già concordati con lo scrittore. Inoltre, la rettrice dell’Ateneo incontrerà Paolo Nori la prossima settimana per un momento di riflessione».
Chiara Baldi
La Bicocca ci ha ripensato…e vissero felici e contenti? Allora perché quel momento di riflessione? Un sinistro controllare i contenuti di un corso?
La Scuola e l’Università sono arcistufe di una cultura declinata alla politica: prima la campagna contro studenti e docenti no vax, ora l’attenzione verso tutto ciò che rappresenta il nemico russo (ma non lo faceva l’Urss nei confronti dell’Occidente?).
La Russia non è Putin: molti Russi contrari a quest’uomo sono stati arrestati ma questo all’Europa non importa, importa soltanto esportare armi e alimentare un conflitto mentre è chiaro come questi governanti non abbiano mai letto Delitto e Castigo.
Da otto anni l’Ucraina è in guerra, un conflitto fratricida che vede da un lato i filorussi e dall’altro i filoeuropei. Viktor Janucovyc, il presidente, non potendo vincere, lascia il Paese.
Putin non ci sta: le proteste sono state finanziate dagli Stati Uniti che vogliono circondare la Grande Russia di basi missilistiche occidentali quando la Nato, caduto il Muro di Berlino, non avrebbe più senso di esistere.
Invece esiste e attira a sé gli ex paesi del patto di Varsavia! I guerrafondai sono loro, pensa Putin, e non ha torto, agli Americani l’Ucraina interessa quanto ad Agamennone interessava Elena di Troia: non per le sue grazie il re dei re sacrificò la figlia Ifigenia!
Per gli Usa Ucraina significa Europa, significa mettere in scacco matto l’avversario di sempre, significa creare ansie e difficoltà alla Cina.
L’Ucraina, ahimè, non conta: la partita è un’altra. E in effetti Volodymyr Zelen’skyj viene interpellato pochissimo, il suo curriculum di comico e di sceneggiatore ce lo mostra nella fragilità di un Nerone che suona l’arpa tra le fiamme del suo Paese.
Non può far nulla ora Zelen’skyj, presidente odiato dal Donbass, simpatizzante dell’estrema destra e filonazista nonostante le sue origini ebraiche. Zelen’skyj è un mistero di cui sappiamo troppo poco per poter osare un qualsiasi giudizio ma possiamo comunque osservare un fatto inconfutabile: manipolato e manovrato dagli Stati Uniti, ha osato l’inosabile pensando che sarebbe stato aiutato dalla Nato in caso di guerra.
Invece Zelen’skyj e l’Ucraina erano l’esca perfetta per innescare una guerra senza sparare un colpo. Il fatto è che, perché un intervento sia giustificato, occorrono delle vittime sacrificali: Agamennone sacrificò la figlia Ifigenia, la Nato gli Ucraini (meglio ancora se donne o bambini).
L’aiuto della Nato è prudente: arrivano armi, non arrivano uomini. Quali costi avranno queste armi? Nulla è gratis.
In tutta questa vicenda colpisce la completa sudditanza dell’Europa, la sua assurda incoerenza.
Perché c’è un fatto. Un gasdotto, il Nord Stream 2, costruito già al 95%, è voluto da Russi ed UE. La Germania in particolare ne conosce l’importanza economica; gli Ucraini invece sono da sempre contrari a questa soluzione poiché guadagna dal passaggio del gas nel suo territorio mentre il Nord Stream 2 riuscirebbe ad aggirare il Paese.
Cambiato il Governo in Germania, cambiano gli interessi e, con un atto del tutto suicida, la Germania rinuncia a un gasdotto già costruito. Un gasdotto non voluto da Biden, presidente a cui sfuggono alcune pagine dei libri di storia ma che deve aver letto avidamente il primo Ken Follet: la guerra fredda è terminata e con questa la ragion d’essere della Nato.
La Nato però c’è ed è spaventosamente aggressiva, a Putin non resta altro che ricostituire, per difendersi, il Patto di Varsavia e non esclude (lo sappiamo chi è Putin) la forza.
In tutto questo i già poveri civili ucraini sono l’effetto collaterale da mettere in conto: una massa, e quindi un nulla, di gente sacrificabile per Putin, Biden, Zelen’skyj.
L’unica differenza rispetto alle Troiane di Euripide è che almeno molte donne ucraine sono in salvo in Italia.