Il fantastico golpe del ’21: ecce homo Fati

Lo sguardo freddo e il silenzio, la mancanza di empatia e un saluto “di dovere” perché proprio non lo si poteva evitare. Un’immagine brutta, quella del neopresidente acclamato che mette a tacere la moglie, in malo modo. Un’immagine bella, quella di Giuseppe Conte che si stupisce per l’applauso ricevuto ma condivide la sua commozione con la moglie.

Infine lui, colui che al solo nominarlo mi viene la tachicardia, lui che ha prima aiutato e poi tradito nella maniera peggiore: il rinascimentale, il Saudita, il rospo che si vuole gonfiare e diventare bue.

Che teatrino triste, squallido, tragico ci tocca osservare in questa Italia che dovrebbe festeggiare i settecento anni dalla morte del Sommo Poeta.

Questi due anni sono stati un incubo per tutti e Conte ci ha fatto persino arrabbiare per i suoi decreti ma era un uomo: di cuore, di carne.

Non so se lo avete notato, sono tornati quelli di prima e in pompa magna:

qual è la vision? A me sfugge. Non mi sfugge invece la mission: il potere deve essere maschio. Infatti tra i nove ministri senza portafoglio cinque sono donne.

Oggi ci troviamo con un Governo “che farà bene”: non si sa cosa farà ma già è intoccabile, algido, lontano.

Niente Social, niente sorrisi, probabilmente niente felpe né selfie. Tutto sterile, meglio che con la mascherina: pecunia non olet e il banchetto del magna magna è allestito per chi ci sta.

Mi sento fragile come un cristallo rotto, probabilmente è un problema mio quello di non riuscire a comprendere perché i governi italiani cadano a comando. Questo governicchio così raffazzonato ha tutta l’aria del golpe:

Renzi parla con Draghi e poi tace.

Renzi a un certo punto impazzisce e ritira le sue…ancelle.

Il Parlamento si finge scosso e il vomitevole reality si svolge mentre gli Italiani sono tenuti in pugno dalla pandemia.

Il Governo Conte cade ma non si possono indire elezioni perché c’è la pandemia.

Mattarella pone Draghi, mai eletto ma solo acclamato e invocato, come Presidente del Consiglio e lo Spread diminuisce.

Ecce homo, ecce golpe.

Rosa Johanna Pintus


Covid V Scuola tre a zero, perché?

Covid contro Scuola e vince il Covid 19 per tre a zero. Una sconfitta bruciante per i giocatori della Scuola, capitanata dalla Ministra che, in ogni modo, ha cercato di tener duro. Ma la squadra non ha retto agli attacchi degli avversari esterni ed interni: in primis una marea di giocatori indegni che ha implorato fino all’ultimo di chiudere le scuole con toni simili all’ammutinamento del Bounty.

La Ministra, a dire il vero, ci ha messo del suo, offrendo assist decisivi agli autogoal perché incompresa nelle sue performances migliori (una perla in mano ai porci!).

La squadra del Covid guardava incredula ciò che capitava nel campo avversario: l’incapacità del Governo di governare i propri governatori, ad esempio! Il Covid, essendo madrelingua cinese ma volenteroso nell’apprendimento dell’italiano, ha per un momento pensato che governo e governatori, avendo la medesima radice nel nome, fossero concordi; a questo si deve il suo tergiversare estivo, al timore di trovarsi di fronte una sorta di ordinata e coordinata testuggine romana, altrimenti ci avrebbe fatto tutti fuori prima.

Invece di coordinato non c’era proprio nulla: non gli ospedali, privi ancora di percorsi adeguati e di medici specializzati, non le Regioni, non lo Stato, non i Trasporti, non la Scuola.

La Ministra in realtà, con mente geniale e divergente, aveva intuito che uno dei maggiori problemi sarebbe stato quello dei trasporti e avrebbe ovviato al problema con i famosi e criticati banchi a rotelle, ultima ratio-nonostante le buche di Roma e dell’Italia intera- per consentire ai ragazzi un mezzo di trasporto a prova di furto (si sa che fine fanno in Italia monopattini e biciclette).

Ma ha pestato il piede sbagliato perché, mentre lei implorava il Commissario eletto di velocizzare l’acquisto dei suddetti banchi, il Governo intendeva calmare gli animi disillusi e il ventre affamato e scarno degli Italiani con il bonus biciclette, in netta concorrenza con la proposta del banco a rotelle.

Non credendo ai propri occhi per tanto facile bordello e osservando l’accesa sensualità dell’ala destra in campo, impegnata in selfie, formaggette e discoteche, il capitano del Covid 19, pur trovandosi in Sardegna, si è sentito sul Rubicone: “Alea iacta est” ha dichiarato ai prodi e facilmente ha assediato l’italica virtute che si pavoneggiava fiera e bella.

La Ministra, l’unica che, nel delirio di onnipotenza governativo-collettiva, aveva chiara la vision , ha gridato: “Non toccatemi la Scuola!” il Governo però, osservando la mission, e cioè la carenza di insegnanti che ha colpito persino il pargolo del Premier, ha smesso di riconoscerla come caposquadra.

Così, nel marasma totale, il virus si è diffuso e non per i droplet; tre sono stati gli alleati Covid e i traditor di patria: incompetenza, vanità e paura.

Paura non del Covid ma della cultura che avrebbe potuto rivelare in breve come l’incompetenza, in Italia, regni sovrana.

Ecco il senso profondo dell’epurazione dei nuovi sovversivi: le ballerine, gli attori, gli studenti, i prèsidi ispirati, gli insegnanti volenterosi, i nonni.

Ecco il senso profondo della chiusura delle scuole di danza, dei teatri, dei cinema, dei vecchi che sono narrazione di un passato democratico.

Ecco il senso profondo di una Dad forzata per gli adolescenti che hanno diritto all’istruzione, considerato che poi saranno loro a pagare i nostri debiti.

Apriamo le scuole e chiudiamo i parchi! Niente, nessuno mi sente.

E non posso che concludere con le parole del carme che più amo, il Bruto Minore di Leopardi, che esprime i miei pensieri meglio di quanto possa fare io:

In peggio
precipitano i tempi; e mal s’affida
a putridi nepoti
l’onor d’egregie menti e la suprema
de’ miseri vendetta. A me d’intorno
le penne il bruno augello avido roti;
prema la fèra, e il nembo
tratti l’ignota spoglia;
e l’aura il nome e la memoria accoglia
.


Un minierasmus a Velva: la didattica dell’Aktive Schule

Velva è un paese particolare che ospita stranieri già dagli anni Ottanta.

Ricordo, all’epoca venivano i Francesi delle Vacances Vivantes, col loro pullman e i loro capelli biondi. Ci si innamorava e ci si lasciava nello spazio di quei venti giorni, pur senza capirsi pienamente che tanto non importava.

Negli anni Novanta cominciarono a venire i Tedeschi e gli Inglesi, ma delle incredibili relazioni con l’Inghilterra vi parlerò nel prossimo articolo.

Io all’epoca non parlavo inglese, neppure mio fratello e il mio amico che, però, attraverso la chitarra riuscirono a creare relazioni cantando testi di cui non comprendevano il significato.

Erano ancora gli anni in cui ci si ostinava a insegnare la grammatica delle lingue straniere esattamente come si insegna la grammatica latina: attraverso nozioni utili a tradurre ma non a parlare.

Poi è cambiato il modo di insegnare, dando maggiore importanza al lessico, e le persone hanno cominciato a capirsi.

E io ho cominciato a parlare anziché limitarmi a leggere e scrivere.

E’ curioso, nonostante le mie perplessità sugli insegnamenti che mi venivano forniti, sono diventata una docente.

-Chissà perché proprio tu;- mi disse una volta mio fratello- tu che volevi incendiare il liceo con tutti i professori dentro.

Quando ci ripenso mi rendo conto di ciò che ero: avevo lanciato un libro all’insegnante di filosofia accusandola di non capirne il contenuto, ero scappata dalla finestra della scuola per evitare un’interrogazione ma non ero pazza; ho continuato a seguire gli studi classici in università, laureandomi prima di terminare il quarto anno.

Erano quella scuola e quella didattica che mi esasperavano, mi parevano sterili e violente.

Credo di essere sopravvissuta solo perché riuscivo a tradurre il greco senza usare il vocabolario: avevo capito che il lessico era l’unica vera possibilità per vincere.

Prendevo anche dei nove ma mi chiedevo se quella del terrore fosse l’unica metodologia di insegnamento.

Forse per questo sono diventata una docente: per distruggere Alcatraz.

Seduta sui gradini della chiesa di Velva mi accorgo che i miei figli giocano con una bambina tedesca; tra giochi e liti determinati dalle barriere linguistiche e superati dal sorriso.

In quest’occasione conosco Irina, il cui nome-se lo riporto alla radice greca-significa pace; tra noi due si crea subito il desiderio di comunicare e, tra un caffé con ghiaccio e un’occhiata ai bimbi, scopriamo di essere entrambe docenti.

Irina però non insegna in una scuola tradizionale. insegna all’Aktive Schule Peters Hausen.

  • La Active School Petershausen è una scuola aperta tutto il giorno. Ai bambini viene offerta la colazione e il pranzo. I piatti sono preparati con ingredienti e cibi prevalentemente biologici e / o regionali.
  • I bambini imparano gli uni dagli altri in gruppi di anni misti.
  • I bambini imparano in un’atmosfera rilassata secondo le loro capacità e il loro ritmo senza dividere le lezioni in 45 minuti.
  • L’insegnante è il progettista dell’ambiente di apprendimento e assume il ruolo di aiutante e compagno nell’ulteriore sviluppo del processo di apprendimento del bambino. Un gruppo di apprendimento è supervisionato da due guide di apprendimento.
  • Sotto la stretta supervisione della guida all’apprendimento, i bambini sviluppano le loro conoscenze in modo indipendente, senza la pressione dei voti, attraverso un’auto-riflessione regolare.
  • Le lingue inglese e spagnolo sono coinvolgenti già dal 1 ° grado.
  • La “giornata all’aperto” settimanale risveglia nei bambini una consapevolezza duratura della nostra natura e dell’ambiente.

Si tratta di una scuola che potrebbe essere paragonata alla nostra “scuola parentale”, il sistema educativo si basa principalmente sul metodo Montessori senza escludere il metodo Steiner che, anche qui da noi, si sta diffondendo.

Irina mi spiega che è stato molto difficile lasciar approdare questo sistema in Baviera poiché la regione è estremamente conservatrice.

Per questo motivo gli allievi dell’Aktive Schule affrontano, ogni due anni, un esame nel quale vengono valutate competenze e conoscenze.

I bambini vengono divisi in base all’età in due gruppi e i più grandi aiutano i più piccoli.

Quando viene data una consegna, che gli insegnanti chiamano progetto, ogni gruppo lo sviluppa attraverso le proprie armi cognitive e le proprie competenze: si lavora nel tempo-scuola, il tempo-famiglia è sacro.

Accade così di lavorare sull’Impero Romano attraverso disegni, testi o Power Point e il lavoro si termina nei locali scolastici, poi c’è il tempo del gioco e della scoperta che ha lo stesso valore.

Nell’Aktive Schule i bambini studiano inglese e spagnolo con docenti madrelingua, le altre materie con insegnanti tedeschi.

Le chiedo come sia possibile insegnare matematica senza una lavagna e una disciplina ben stabilita.

“Ci sono diversi metodi per risolvere un problema, noi li descriviamo e poi ciascuno sceglie il suo. Certo, la lezione frontale c’è perché per alcune materie è necessaria, ma è molto breve rispetto a quella della scuola tradizionale e i bambini non ascoltano passivamente, si industriano per giungere a una soluzione.”

Irina ritiene questo metodo vincente:

“I nostri studenti non imparano solo un metodo di studio ma si costruiscono un metro per analizzare la realtà: si parte dalla conoscenza del sé, dal dare un nome alle proprie emozioni, magari cercando di descriverle.

Il docente non si fa chiamare professore, è piuttosto una guida che facilita l’apprendimento e osserva il ritmo del gruppo: un lernbegleiter.

Sono gli studenti, ad esempio, a decidere il nome della loro classe mentre il docente aiuta a risolvere ed analizzare gli eventuali conflitti.”

Irina ci tiene a precisare che gli studenti non sono tenuti nella bambagia e che è molto faticoso insegnare ad imparare, è più facile imporre la conoscenza.

Tuttavia la scuola tradizionale, da lei frequentata, le pareva aggressiva e assurda.

Per questo ha deciso di laurearsi in scienze pedagogiche e…Velva chiude il cerchio.


Sandwich: la jeanseria che ci diede un nostro brand

Sandwich non è soltanto una jeanseria ma rappresenta, per le generazioni del ponente genovese, il rito di passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza.

I ragazzini, specie tra la prima e la seconda media, hanno sempre mostrato con orgoglio i capi acquistati da Sandwich e andare da Pino significa dimostrare al gruppo dei pari di essere finalmente cresciuti.

“Mamma, non è possibile che chiuda Sandwich proprio adesso!” mi dice Vanessa, la mia figliuola xxs, alla quale sono riuscita a comprare un paio di jeans ma non i costumi che avrebbe desiderato perché, il suo corpo, è ancora in fase di sviluppo.

Mio figlio invece si è servito alla grande in questo store perché Pra’ adolescente veste Boy London.

La più piccola invece non commenta, ci rimane semplicemente male perché per lei Sandwich non ci sarà.

Nessuna descrizione della foto disponibile.

M’intristisce questa chiusura, il mio primo ricordo di Sandwich è legato a un vestitino rosso che comprai diciannovenne per andare in discoteca con Giovanni Lunardon e Fabrizio Benente, come me studenti di archeologia. Benché avessi già diciannove anni, per me quel vestito significava Libertà. Ero finalmente uscita dal liceo classico, dallo studio matto e disperatissimo che aveva caratterizzato i miei ultimi cinque anni di vita (praticamente un’adolescenza negata) e riuscivo finalmente a unire studio e divertimento.

Sandwich rappresentava tutto questo e molto di più.

Perché il negozio, che adesso si trova in una bella Aurelia pavimentata ad arte, affonda le sue radici nella Pra’ degli anni Ottanta, quella Pra’ sui cui muri vi era scritto: “L’eroina uccide lentamente ma noi non abbiamo alcuna fretta”.

La Fascia di Rispetto non era neppure ipotizzata, i ragazzi ancora non conoscevano il Parkour e l’atrio di Sandwich era su un marciapiedino stretto stretto vicino alla fermata dell’Uno.

E ci si andava, che si provenisse da Pra’, dal Cep o da Voltri perché Giuseppe Fasolino aveva avuto una grande intuizione: creare una sorta di brand popolare che univa uno stile cool a prezzi accessibili per il proletariato ponentino, un Genoa Western Brand.

Bagnara per noi era inaccessibile e, forse, non rispecchiava neppure i nostri gusti; Sandwich era diverso: potevi guardare, sentire i tessuti, chiedere il prezzo e alla fine ti arrivava sempre lo sconto.

Il fenomeno Sandwich è andato ben oltre il concetto di negozio, è diventato un vero e proprio brand che ha dettato la moda a generazioni e ha diffuso marchi che prima non erano così noti.

La chiusura di questo negozio storico, immutato eppure giovane in una Pra’ che mutava, ci lascia un gusto amaro tra le labbra, forse quella lacrima che non siamo riusciti a trattenere nella stesura di questo articolo.

Rosa Johanna Pintus


I Promessi Sposi da Don Rodrigo all’Innominato

I Promessi Sposi non è un romanzo d’amore, è un romanzo storico; in tutto il romanzo non vi è neppure un bacio, non un momento di passione eppure Manzoni ci tiene inchiodati alle sue pagine. Il periodo in cui colloca l’intera vicenda la storia del XVI e del XVII secolo, un periodo molto importante per la formazione dell’Europa.Vediamo insieme la linea del tempo per capire dove ci troviamo perché, ormai lo sapete, quando affrontiamo il passato è come se facessimo un piccolo viaggio nel tempo.

Questa linea del tempo vi mostra alcuni fatti importanti del 1500, quella che vi propongo adesso è “artigianale” ma riguarda direttamente noi.

La foto è un po’…lunga. Poco male, immagina di fare un tuffo nel tempo…

Chiaramente, perché il discorso non sia noioso e tedioso, dovete trattenere per un attimo il respiro, chiudere gli occhi e immaginare di essere dei giornalisti in missione nei tempi antichi.

Dunque il vostro atteggiamento non deve essere, come si dice in Italia, “che barba, che noia” ma piuttosto “che bello! Viaggiamo nel passato!”. E il viaggio nel passato è privo di rischi perché, se le cose si mettono male, si può interrompere il video e tornare al presente.

Il 1517 è un anno cruciale per l’Europa, cruciale significa che è molto importante.

Siamo in un periodo che si chiama Rinascimento, in Italia ci sono artisti famosi e l’uomo si sente al centro dell’universo.

Nelle scorse unità didattiche che vedete in FAD, abbiamo visto Dante. All’epoca di Dante c’era Dio al centro dell’ universo.

Nel Rinascimento l’uomo è molto importante ma per poco tempo perché nel 1517 un monaco, Martin Lutero, capisce che la Chiesa pensa solo ai soldi e si ribella.

Accanto agli artisti, sempre bravissimi, si apre un periodo molto buio in cui ci si ammazza in nome della religione e della verità: sangue e arte.

La Chiesa decide di rinnovarsi, di essere più seria, ma non vuole più essere messa in discussione e fa una riforma durissima, decide inoltre di punire tutti i sapienti e gli scienziati che mettono in discussione la Bibbia.

La situazione si fa serissima quando comincia pure la guerra! Tra il 1618 e il 1648 scoppia la guerra dei Trent’anni. Pensate che vuol dire:30 anni di guerra! Aiuto!

La guerra dei 30 anni

Genova, in questo periodo così difficile, avendo perso il suo ruolo sul Mediterraneo che era in mano ai Turchi e al terribile Dragut, un pirata .

La nostra città riuscì a trasformare i suoi uomini da marinai e commercianti a banchieri! Si parla infatti de El siglo de los Genoveses poiché i Genovesi prestavano i soldi agli Spagnoli, potenti ma spendaccioni.

Il secolo d’oro dei Genovesi

Questo periodo è molto interessante ed è piaciuto a uno scrittore del 1800, uno scrittore molto religioso ma molto critico nei confronti della società del Seicento. Egli denuncia soprattutto il fatto che per il popolo era molto difficile ottenere giustizia perché il mondo era in mano ai prepotenti!

Manzoni è importantissimo perché, se Dante ha inventato la lingua della poesia, lui ha inventato la lingua dei romanzi. Prima di Manzoni, i romanzi erano scitti soprattutto dagli Inglesi e dalle scrittrici inglesi (che se poi decidevano di sposarsi smettevano di scrivere romanzi poiché pentole e arte non vanno molto d’accordo!). In Italia non c’era nessuno che scrivesse romanzi così appassionanti, noi eravamo soprattutto pittori, scultori e poeti.

Manzoni, che parlava meglio il francese dell’italiano, ci riesce.

La lingua del Manzoni 

E di che cosa ci parla? Guardate il video.

Ora io qui vi lascio una lettura guidata di alcuni passi così vi esercitate a leggere e ad ascoltare la lingua italiana. All’interno degli epub ci sono anche alcuni esercizietti che vi aiutano a capire se avete capito.

It’ a long long novel, good if you can’t go out.

Don Abbondio e i bravi

Don Abbondio e Perpetua

Così il giorno dopo Renzo ha un’amara sorpresa.

Perpetua però non può sopportare che ci vada di mezzo il suo padrone

E a questo punto cosa pensa il nostro Renzo? Perché Lucia non gli ha detto nulla? E Don Abbondio? Ma come si permette? E chi è mai quel prepotente?

E’ davvero il caso di sapere la verità, qualunque essa sia!

L’ora della verità

Però che Lucia si sia rivolta a Padre Cristoforo e non a Renzo e a sua madre è strano. Chi è Padre Cristoforo? E’ il confessore di Lucia e a quei tempi, in cui la psicologia non esisteva, il confessore ti aiutava a capire i tuoi pensieri e, a volte, a trovare la soluzione. E se non la trovavi tu, ti aiutava lui.

A differenza di Don Abbondio, Padre Cristoforo rappresenta la parte buona della Chiesa; be’, non si tratta di un tipo qualunque: ha un passato con delle ombre ma riesce, nel buio, a trovare la sua luce, a differenza di altri o altre che vedremo dopo…

Dicevamo, si tratta di un uomo coraggioso e decide di affrontare Don Rodrigo, seguitemi così conosciamo il cattivo della storia!

Padre Cristoforo contro Don Rodrigo

Dunque la spedizione non ha l’esito sperato e Renzo e Agnese che, con grande fatica, convincono Lucia a tentare un matrimonio segreto, portandosi come testimoni due ragazzi che sono in debito con Don Abbondio!

Ora, se hai capito bene, prova a guardare questo video; qui, Alberto Sordi, uno dei più famosi attori comici italiani, interpreta Don Abbondio nella notte degli imbrogli.

Senza saperlo, Agnese e Renzo, pur combinando un pasticcio, salvano Lucia che, se fosse rimasta a casa, sarebbe caduta nella bocca del lupo…

Don Rodrigo infatti cerca di rapire Lucia ma la casa delle due donne è vuota. Così quei birbanti non trovano Lucia ma Menico, un ragazzino che era stato inviato da Padre Cristoforo a Lucia per avvertirla del pericolo.

Dunque i nostri tre amici (perché ormai li conosciamo un po’) sono costretti, proprio come voi, a lasciare il loro paese.

Oltrepassato il lago, Renzo e Lucia si dividono. Noi seguiamo Lucia.

Dove va? Cosa le succede? 

Gertrude era stata costretta dal padre a diventare monaca…

Quindi, a differenza di Padre Cristoforo, la povera Gertrude non ha trovato pace perché nel Seicento era meglio, se donne, nascere tra le braccia del popolo come Lucia: meglio la fame che un destino odioso!

Qualcuna riusciva a ribellarsi, non mancavano donne determinate, ma quanta sofferenza!

E Don Rodrigo che fine fa? Rinuncia a Lucia? I potenti non sono mai soli e qui entra in gioco un nuovo personaggio: l’Innominato.

E qui concludo questa prima parte, rimandandovi alla seconda per la conclusione del romanzo.

Rosa Johanna Pintus


Oltre che ignoranti, li vogliamo segaioli!

Oltre che ignoranti, li vogliamo segaioli! E’ questo, in sintesi, il messaggio de”Il fu Ministero dell’Istruzione”. Attenzione però: non segaioli di seghe mentali come quelle di un Nanni Moretti che ironizza fingendo di decidere se sia meglio partecipare alla festa standosene in disparte o non andarci proprio.

No: segaioli alla maniera di Benigni quando racconta come il prete del catechismo leggesse gli umori e le vergogne di cui i cresimandi si macchiavano nella notte.

E’ la fase 2: dopo la fase 1, in cui è stata sdoganata l’ignoranza facendo chiaramente credere che la nazione può fare a meno della Scuola e delle scuole, ora si apre la fase 2.

Tale fase consente ai bambini di materne, elementari e medie (o, se preferite, di infanzia e primaria e secondaria di primo grado) di frequentare le lezioni, onore che non sarà concesso agli allievi delle superiori.

Perché?

I motivi sono molteplici:

-a quattordici anni un ragazzino può stare in casa da solo e autogestirsi nella Dad ( se motivato, determinato, responsabile e impegnato);

-la scuola è un grande baby parking, non è necessario imparare le tabelline, l’importante è stare lì e non farsi troppo male sennò mamma e papà non possono lavorare… ma a quattordici anni sei autonomo.

Ma, udite udite qual è l’obiettivo ultimo e la causa prima di questo sfacelo: privati del contesto sociale, dei genitori in casa, degli insegnanti che in presenza li renderebbero uomini e donne pensanti, i ragazzi passeranno le mattinate a masturbarsi e diventeranno ciechi.

Ed eccola qui il fine della fase 3: la cecità! Così i ragazzi non solo non capiranno ma neppure vedranno la casta politica che li tiene in pugno.

E il delitto perfetto è servito: sapevatelo!

Ah…siccome ho parlato di sesso e non sta bene che una donna lo faccia, mi firmo…

Roso Johanno Pintus


Di chi è un libro?Diritto di paternità e di maternità

Di chi è un libro? Di chi lo scrive o di chi racconta una storia senza averne le parole? E’ un fatto che gli autori siano destinati a prendersela nel lato B, talvolta in maniera dolorosa.

Capita, quando decidete di raccontare la storia di qualcuno, di non servire più e di essere gettati come uno straccio vecchio in una conca sporca e maleodorante. Ma non vi sentite sporchi, vi sentite stuprati, che è peggio.

Perché non c’è differenza tra essere stuprati nel corpo e nell’anima: io li ho provati entrambi gli stupri, e per quello fisico bastano una doccia e un esame, seppur angosciante, dell’HIV.

Perché noi autori siamo creature di anima, il corpo è un accessorio che spesso non ci rendiamo neppure conto di avere.

Stasera una casa editrice mi ha consigliato “di fare la brava”:

Signora, 

da più d’una voce — e una di queste è … stesso — non risulta che lei sia coautrice né dell’una né dall’altro.

Posto questo, e posto anche il fatto che sarebbero gradite delle informazioni omogenee da parte di due persone che, evidentemente, hanno collaborato per lungo tempo ma che, altrettanto evidentemente, non si trovano concordi sulla natura della collaborazione — il che mi farebbe riflettere, se posso dirle in tutta onestà —, è evidente che da parte del nostro sito, che è l’unica cosa della quale rispondiamo, lei non è stata citata perché mai prima d’ora il suo nome ci era stato citato come autore di alcunché.Se il suo intento fosse stato quello di aiutarci per  evitarci problemi (da parte di chi non si sa, visto che gli autori sareste, nella sua versione dei fatti, voi due: chi debba porre altre questione è cosa che mi sfugge), la ringraziamo; del resto, mai e poi mai abbiamo parlato o pubblicato contenuti del libro, ma solo e soltanto della poesia, in quanto risultata selezionata al nostro Concorso.

Mi auguro che ora abbia compreso perfettamente cosa noi abbiamo condiviso — la poesia, solo e solamente quella —, come l’abbiamo fatto — con le informazioni che ci sono state fornite —, e perché lei non sia stata citata: perché, a detta di … stesso, lei non è co-autrice di libro e poesia, ma esclusivamente collaboratrice degli stessi.

Augurandole un più sereno proseguimento,porgiamo cordiali saluti”.

Come? E tutte le metafore ?E il gatto a cui hanno tagliato i baffi? E i brandelli?

Sento l’impulso di ribellarmi.

Ma poi mi rendo conto che chi mi risponde questo, è stato raggirato esattamente come me.

E mi rendo conto finalmente di quanto sia importante avere dietro una casa editrice, evitare il self publishing, foriero di ambiguità.

Perché le personalità narcisistiche hanno un tale forte ego che ti manipolano in qualsiasi lingua.

Scrivo al mio avvocato, alla mia amica, alla fine a me stessa.

La casa suddetta mi risponde:

Fossi in lei, non userei le parole con così tanta libertà. Qui nessuno la prende in giro — le assicuro piuttosto che la sensazione è reciproca, ma non mi tratterrò su questo. A noi ha detto di essere l’unico autore, quindi non c’è bisogno che lei ceda alcunché — lo ha già fatto lui, con un documento ufficiale inviato dalla associazione di cui fa parte, alla nostra mail. Peraltro, non c’è nessun “resto”: noi mai abbiamo pubblicato altro rispetto alla poesia, di cui si dichiara — se così non è, ne parli lei con lui, noi non centriamo nulla — unico autore, quindi non ci è chiaro perché lei ci scriva di “resto” o di cose altre dalla poesia. Ripetiamo in conclusione: a noi è stato lui a dirci di essere unico autore. Se secondo lei così non è, chiarisca con lui, non coinvolgendo noi che abbiamo solo pubblicato il suo testo. Infine, ma questa è solo una valutazione morale che non c’entra con il contenuto, credo che di questa spiacevole vicenda — che certo non ci fa piacere, ma che ha prima iniziato e poi protratto lei — la cosa più importante sia l’unica che lei ha citato solo sporadicamente, quasi fosse un dettaglio: merita questo spazio, questa visibilità, e questa contentezza. Per noi il discorso termina qui. 

La mia amica mi fa sorridere, mi manda un video: il plagio

Metterei in croce il mio essere stupendamente imbecille ma non imbelle.

Rileggo la lettera ricevuta: quel centriamo scritto da un editore mi lascia di stucco. Centriamo anziché c’entriamo? Lapsus, non errore: centriamo!

Che mi vogliano sparare? Forse è davvero il caso di fare la brava: che mi vogliano sparare?

E di che libro si parla?

Questo lo lascio scoprire a voi, fatevi un giro su Amazon.

Un fatto mi fa riflettere: noi scrittori siamo ladri di storie quanto i protagonisti delle storie sono ladri di parole.

E se uno dei ladri di parole ha ottime capacità relazionali (cosa di cui uno scrittore è totalmente privo perché appunto scrive ma non sa parlare) lo scrittore rimane fottuto.

Per una volta.

Una volta soltanto:

“Eh…scusa …ho spedito 11 poesie ma è proprio piaciuta quella”

Casualmente l’unica che abbiamo scritto insieme con le sue emozioni e le mie parole: mia o sua?

A metà: madre e padre.

E il padre, in quanto maschio, vince.

In quanto personaggio vince.

E la cosa più buffa è che se la avessi spedita io a mio nome non avrebbe vinto.

Ma passi la poesia: la posso pur cedere una poesia.

Resto incredula quando mi si dice che neppure il romanzo è mio.

E’ lì che mi spezzo, che mi frantumo.

Per tutte le notti passate a scrivere.

Imbecille, non imbelle.

Lo si sappia.


La città deserta-racconto distopico

7 novembre 2028

Il giorno in cui tutto è cambiato, siamo rimasti attoniti attorno al tavolo della sala, mio nonno, col cucchiaio a mezz’aria, si limitò a dire un bah.

Mia nonna commentò: <<Mi pare un’esagerazione, hanno spiegato e rispiegato che si tratta solo di un’influenza: viviamo nell’era dell’allarmismo>> e continuammo a mangiare cibi prelibati.

<<Se chiudono le scuole, ci sarà un motivo serio.>>

La voce era di mia madre che, per quanto facesse la dirigente scolastica, in famiglia era percepita come un essere un po’ naif e quindi non del tutto degno di credibilità. Il torto di mia madre era quello di dipingere ovunque potesse: dipingeva su vecchie lenzuola, su tele di poco prezzo, sui muri di casa e scriveva quaderni fitti fitti di parole, secondo me scriveva anche quando presiedeva il collegio docenti e, nel contempo, spiegava grafici incomprensibili per lei ma che qualche collaboratore le aveva preparato interpretando le sue intuizioni e i suoi desideri.

Era di sicuro così poiché lei parlava tutti i linguaggi tranne quello matematico e, pur essendo di origine argentina, danzava divinamente ma…senza musica! Della musica sentiva la melodia, non il ritmo, e questo la portava a sbagliare tutti i tempi.

Era naif, l’ho detto, eppure era un genio e a scuola riusciva ad essere rigida, ferma, decisa perché il caos che aveva dentro era nascosto dalla riga di eye-liner e dal tailleur dal taglio perfetto.

<<La circolare è precisa: dice che le scuole si devono dotare di dispenser e gel disinfettante, altrimenti non possono riaprire.>>

Lo disse e tacque.

Continuammo a mangiare, era il compleanno di mia nonna Mirella, la madre di mio padre.

Mio fratello Chegue gioiva: aveva scoperto due ore prima dell’inaspettata notizia che sarebbe stato interrogato di letteratura latina e che non gli sarebbe bastato usare come fonte la Papereneide poiché la sua professoressa faceva sul serio e voleva sapere tutto sul verso sunt lacrimae rerum.

Mio fratello e il latino non si amavano; in realtà mio fratello non amava neppure la matematica, nonostante i voti altissimi: sognava di aprirsi un marchio di moda, un suo marchio, e vendere magliette.

La chiusura della scuola, in quel momento, pioveva come manna dal cielo e lo vidi sorridere sotto il cappuccio.

Io invece amavo la scuola: vivevo per la danza; stavo preparando un solo su Evita Peron per le gare di danza sportiva. La danza mi dava sicurezza, sapevo di essere brava ed ero riuscita a entrare, al liceo coreutico.

Tuttavia, in quel preciso momento, per l’emergenza virus, venivano chiuse le scuole e bisognava accettarlo. Una misura precauzionale che mi preoccupava ma non più di tanto: almeno gli allenamenti in palestra non erano stati sospesi.

Tutto il resto, e mi riferisco ai ragazzi, era per me un dovere, una finestra sulla vita sociale e a quindici anni ero ancora vergine, a differenza di alcune mie compagne che frequentavano altre scuole.

Vivemmo due settimane in una sorta di vacanza che non potevamo comprendere: alcuni sostenevano che la malattia fosse gravissima mentre altri continuavano a sostenere che si trattasse di una banale influenza.

Ricordo che addirittura deridevamo chi usciva con la mascherina: i politici dicevano che non serviva a nulla, che tutto sommato morivano solo le persone anziane, che entro una settimana saremmo ritornati a scuola.

Mia mamma però aveva altre notizie e si stava organizzando, insieme ai colleghi per la didattica a distanza e il fatto che la Scuola, così pesantemente ancorata alla lavagna e al cancellino, cambiasse, era la chiara finestra di un cambiamento epocale perché la Scuola era come la Curia: immobile.

Dopo una settimana ci dissero che non saremmo tornati a scuola fino al 3 aprile poi che non saremmo più tornati a scuola e neppure a danza.

Mi sentivo morta dentro.

I contagi aumentavano in maniera esponenziale, specie al Nord, nel cuore dell’economia italiana.

Cominciarono ad ammalarsi i primi politici, i primi medici, i primi infermieri, mia zia.

Panico.

Furono vietate anche le passeggiate.

Si poteva uscire solo per fare la spesa, andare al lavoro (in ospedale e nei supermercati, tutte le altre attività si dovevano svolgere in smartworking).

Mia cugina, Sefi Safian, appassionata di tessuti aerei, circense per natura, mi telefonava disperata e mi diceva che almeno io, essendo una ballerina, mi potevo allenare in casa mentre lei non poteva fare neppure quello!

<<Non essere infantile! Posso fare solo sbarra a terra! Tutte le mie acrobazie me le scordo, sto esattamente come te!>>

<<Qui è un continuo passaggio di ambulanze, io non ne posso più. Chegue che fa?>>

Da sempre aveva una mal celata cotta per mio fratello, un amore impossibile dato il legame di sangue ma Sefi Safian era particolare e per lei queste cose non contavano nulla, contavano solo l’amore e i tessuti aerei. Ci mettemmo d’accordo per allenarci insieme via Skype e, in queste occasioni, mi diceva che le davano parecchi compiti, peggio che a scuola; lei frequentava il liceo classico e non stentavo a crederlo.

La prima settimana di prigionia fu insopportabile, poi venne la pioggia e parve più accettabile, tornò il sole: caldo, primaverile, beffardo.

Lezioni on line, messe on line, spesa on line: tutto.

Mio fratello Chegue, nei suoi sedici anni, era in piena crisi ormonale; non poteva vedere la sua ragazza, facevano l’amore su whatsapp.

Gli chiedevo se non temessero di essere visti, lui faceva spallucce e si chiudeva in camera. I miei lo immaginavano ma non dicevano nulla, bisognava far finta di niente e avere pazienza, poi tutto sarebbe tornato come prima.

Solo due anni prima mio fratello sarebbe stato ingestibile e, se quanto accadde nell’anno 2020 fosse avvenuto prima, non so come ne saremmo usciti.

Due anni prima, al tempo del ponte Morandi, una vita fa…

Quella vita ora è stata cancellata, con un colpo di spugna, dal Covid-19.

Il Covid -19, una realtà che pareva lontana dal nostro Paese.

Ci sbagliavamo: il mondo, all’epoca, era globalizzato e i virus viaggiavano con gli stessi mezzi di trasporto dell’uomo.

Cerco di ricostruire da alcuni giornali conservati in casa, da alcuni libri, da alcuni vecchi diari scritti da noi durante quell’eterna quarantena, i fatti del periodo.

Diari che mia madre ci aveva costretto a scrivere, pena la disconnessione, perché potessimo elaborare l’angoscia che sentivamo.

Noi la odiavamo per questo, in particolare Chegue, che era un genio matematico senza alcuna attitudine umanistica, ma adesso la ringrazio perché da questa enorme massa di carta ingiallita e che voglio copiare, in modo organico, prima che si deteriori.

Internet non mi aiuta, tutto è stato cancellato in nome della pace, della tranquillità indotta attraverso droghe e terrore. E la mia narrazione vuole essere una testimonianza del prima, nella convinzione che il sole brillerà di nuovo.

Eravamo in un periodo politico molto caotico nel quale si stavano affermando i peggiori nazionalismi: il Centro Africa distrutto dalla guerra, da Ebola, dall’Hiv, cercava di raggiungere l’Europa, terra di speranze; i Cinesi e gli Americani erano nel pieno di una guerra tecnologica per il predominio economico del globo, in Siria e in tutto il Medio Oriente piovevano bombe, le foreste australiane bruciavano e Greta, una quindicenne molto particolare, gridava al mondo che l’uomo e la terra si sarebbero estinti a causa dell’inquinamento.

Greta: una profetessa bambina che vedeva oltre il muro dell’individualismo. O la amavi o la odiavi perché era intelligente e l’intelligenza contava meno della furbizia.

Insomma, per dire…questo virus aveva pure le sue ragioni: stavamo distruggendo un pianeta…

Le restrizioni però aumentavano e quando mia sorella, la piccola Simonetta, annunciò che aveva sognato il buio, tutti ci guardammo spaventati.

Rosa Johanna Pintus


Linguaggi non solo verbali-didattica a distanza

LINGUAGGI NON SOLO VERBALI

UDA DI ITALIANO

Oggi voglio approfondire con voi il discorso sui linguaggi, non solo quelli verbali (tecnico, poetico, etc.) ma soprattutto quelli non verbali.

Sotto vedete un’immagine particolare però, prima di arrivarci, bisogna faticare un poco e dividerò la lezione in tre parti:

  • Che cos’è il linguaggio;
  • breve storia dei linguaggi;
  • da un manga a un film: Alita, angelo della battaglia.

Preciso che questo ciclo di lezioni va studiato da tutti, anche dal corso A ove insegno storia e non italiano.

Anzi, per par condicio (espressione latina, traducetela così: per giustizia), vi inserisco anche una scheda del film Pompei che abbiamo visto insieme.

Ci sono molti modi per raccontare una storia: la si può scrivere, disegnare, recitare, danzare, suonare, cantare.

Vi sono dunque tanti LINGUAGGI a disposizione di un artista per narrare una storia e ognuno sceglie quello più adatto al proprio talento cioè alle proprie capacità.

Ma che cos’è un linguaggio?

Il linguaggio è un codice utilizzato da un gruppo.

Noi, in classe, ammettiamolo, abbiamo il nostro codice che è molto vicino al leggendario esperanto:senza rendercene conto, parliamo utilizzando le caratteristiche di diverse lingue e ne creiamo una lingua nuova, semplificata ma comprensibile: per imparare l’italiano usiamo, di fatto, una sorta di INTERLINGUA che unisce sguardi, gesti, parole inglesi, parole francesi, parole spagnole, parole albanesi ma… ci capiamo.

Tante volte ricorriamo ai disegni o alle immagini, questo avveniva soprattutto all’inizio perché non conoscevate la lingua: il livello A2 è un livello che garantisce la sopravvivenza e non altro; insieme abbiamo capito che, se scriviamo le parole alla lavagna, è più facile comprenderle perché le parole scritte si somigliano, è la loro pronuncia che crea confusione.

Insieme ci siamo accorti, e qui ci ha aiutati il caso, che la lingua albanese ha le declinazioni come la lingua greca e latina.

Noi ci comprendiamo perché, inconsapevolmente, ci siamo adattati a un linguaggio, a un codice.

Un codice che in casa mia, per esempio, non funziona: quando esco da scuola e sono particolarmente stanca, ho bisogno di un po’ di tempo per tornare alla lingua madre.

Noi utilizziamo il nostro codice per imparare l’italiano, la storia, la geografia.

Io uso un codice per trasmettervi delle informazioni, voi usate un codice per trasmetterle a me.

Potrei esagerare e dirvi che anche la matematica è un codice, si parla infatti di linguaggio matematico.

Il linguaggio non è solo verbale (cioè fatto di parole).

Attenzione: rientrano nel linguaggio non verbale anche il trucco, l’abbigliamento, i tatuaggi, i gioielli.

Ve lo dico perché un datore di lavoro guarda tutto!

Torniamo a bomba! Si tratta di un modo di dire e significa: torniamo al punto da cui siamo partiti.

Il linguaggio può essere:

GESTUALE

linguaggio gestuale

non vi ho messo il terzo dito ma lo conoscete bene!

CORPOREO

Ne sono un esempio danza e teatro

Roberto Bolle in un remake della coreografia di Bejart

ESPRESSIVO

L’attore/regista Dario Fo


SIMBOLICO

Segnali stradali

FIGURATIVO-ICONICO

Alita, manga di Yukito Kishiro

Esiste anche il linguaggio della musica, utilizzato in diverse occasioni, utilissimo per accompagnare la suspance nei thriller.


Non vi inserisco il trailer perché vi potrebbe spaventare! Vi basti la musica!

Esercizio


La danza sportiva, quel campionato di cui non si parla azzerato dal Coronavirus

Ci sono alcuni sport, come la danza sportiva, di cui non si parla: i giornali ci raccontano del dramma delle imprese, dell’incubo delle scuole chiuse (che costringono i genitori a fare i genitori), della crisi del turismo, della perdita d’immagine dell’ Italia (avevamo un’immagine?).

L’economia, di gran lunga più importante delle persone, è in forte sofferenza e il Governo emana decreti talora contraddittori, pressato sia dagli avversari politici sia da un virus che desta comprensibile panico.

Gli imprenditori accusano, additano e incombono come giudici severi su una politica asservita alla finanza; uno dei problemi di scottante attualità è il calcio: potranno i tifosi andare allo stadio? Potrà giocare la Roma? Potrà la Juventus festeggiare?

Il calcio, il “panem et circenses” che seda i coatti, non è l’unico sport che si pratica in Italia. Tuttavia il calcio, a porte aperte o a porte chiuse, sopravviverà perché ha le sue risorse, le sue vacche grasse. In questo momento distopico il mio pensiero va a quelle attività meno conosciute che muovono esse pure l’economia del Paese ma che sono ignorate dalla massa, in particolare penso alla danza sportiva le cui competizioni sono state azzerate dal Coronavirus.

Ma che cos’è la danza sportiva?

Vanessa Galaverna-Imponente Danza

La danza sportiva è, in primis, danza e cioè una racconto artistico-coreografico; a differenza della danza che praticavo io, nella danza sportiva vi sono regole ben precise sui tempi, sui costumi, sulle scenografie, sull’esecuzione.

Non è stato facile per me accostarmi a questo mondo poiché, per conto mio, la danza ha la sua ragion d’essere in teatro; eppure, seguendo le mie figlie, mi sono resa conto di come il racconto coreografico riesca ad essere completo anche in un qualsiasi palazzetto dello sport e senza l’ausilio di luci e gelatine.

La narrazione deve dunque essere perfetta, pulita, avvincente. Mia figlia, la più grande, per arrivare a questo si allena tutti i giorni e passa dalle due alle quattro ore in palestra.

Oggi avrei dovuto accompagnare le mie figlie a Calenzano e, probabilmente, ci saremmo andate in pullman perché, trasportare una squadra e le relative scenografie è tutt’altro che semplice: noi, tifosi della danza sportiva, dobbiamo essere in grado di montare, smontare, truccare i danzatori-atleti, siamo coinvolti e immersi in quest’attività sconosciuta ai più.

In tempi di Coronavirus questo settore, come gli altri, è in evidente sofferenza economica: le gare sono ferme, le palestre sono chiuse (per cui gli insegnanti non lavorano), i pullman non partono, i palazzetti non aprono.

Il comunicato della FIDS è chiaro e logico:

In merito alle ordinanze proclamate dal Governo attraverso il Ministero della Salute d’intesa con i Presidenti delle Regioni Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Emilia Romagna e Liguria, che prevedono lo stop alle “manifestazioni ed eventi e di ogni forma di aggregazione in luogo pubblico o privato anche di natura sportiva” per i casi sanitari di CoronaVirus registrati in questi giorni, la FIDS comunica a tutti i tesserati che i prossimi eventi federali in programma sono sospesi e rinviati a data da destinarsi. Convocata a breve una taskforce per analizzare la situazione e fornire informazioni specifiche.

Sono sospesi con effetto immediato:

  • Corso di formazione per tecnici federali (recupero) che si sarebbe dovuto tenere nei giorni 28-29 febbraio e 1 marzo a Bentivoglio (BO);
  • Corso di formazione ed allineamento qualifiche tecniche (ex FAD) che si sarebbe dovuto tenere nei giorni 29 febbraio e 1 marzo a Bentivoglio (BO);
  • Congresso di aggiornamento ed esame danze filuzziane che si sarebbe dovuto svolgere a Budrio (BO) il 1 marzo;
  • Campionato Regionale Marche, Toscana e Veneto Danze Folk Romagnole e il Campionato Regionale Emilia Romagna Danze di Coppia che si sarebbe dovuto svolgere dal 29 febbraio al 1 marzo a Burdio (BO)
  • Campionato Regionale Piemonte e Valle d’Aosta Danza di Coppia in programma dal 29 febbraio al 1 marzo a Biella (BI).

Tra le mille ordinanze emanate in questo periodo, ve n’è una che cozza con le altre: scuole chiuse ma palestre private aperte.

La FIDS Liguria ha dunque consigliato alle società sportive che ne fanno parte di sospendere anche gli allenamenti poiché il contagio non avviene necessariamente solo a scuola.

Mi chiedevo dunque questo: quali misure adotterà il governo perché le piccole società non falliscano?

Chi cadrà in piedi dopo questa crisi?

Rosa Johanna Pintus